domenica,Aprile 28 2024

Miti e misteri metropolitani | Polsi: la Sibilla, il pastore e il vitello

Sull’origine del santuario incastonato nell’Aspromonte, in questi giorni in festa per la Madonna della Montagna, fioriscono le leggende popolari

Miti e misteri metropolitani | Polsi: la Sibilla, il pastore e il vitello

Nel santuario della Madonna di Polsi, “’A Maronna ‘ra muntagna” in dialetto reggino, storia e leggenda vanno a braccetto. Del resto, non poteva essere altrimenti in un luogo incantato, incastonato in una vallata dominata dalla bianca montagna aspromontana e immerso in un silenzio surreale. Così, il santuario, per la storia, forse in origine rifugio di monaci bizantini o addirittura risalente alla Magna Grecia e al culto legato a Demetra, per le leggende, nacque invece per “dispetto” alla Sibilla o per via della croce misteriosa trovata da un pastorello o dal conte Ruggero. 

La Sibilla Cumana

Narrano le leggende, infatti, che, tanti e tanti secoli fa, tra i sentieri tortuosi e il verde rigoglioso dell’Aspromonte incantato trovava dimora la Sibilla Cumana. La maga viveva, insieme al fratello Marco, in un castello fatato, circondato da un giardino dai fiori profumati, dove chiunque era invitato ad entrare. In questo luogo baciato dal sole, la bellissima Sibilla, che era la donna più sapiente di tutti i tempi, insegnava alle fanciulle le arti e le scienze. Un giorno, tra le giovani che solevano narrare i loro sogni, una di loro, Maria, disse d’aver sognato che un raggio di sole, entratole nell’occhio destro le era poi uscito per il sinistro.

Divinato il sogno, la Sibilla capì che quella fanciulla era destinata ad essere la madre di Cristo e fu presa da un impeto d’ira, perché, sicura della sua bellezza e della sua sapienza, non dubitava che il cielo avrebbe eletto lei. Da allora, la maga diventò cattiva e le fanciulle non andarono più da lei. Un giorno, quando seppe che il figlio di Dio era nato da Maria, pianse e confidò il suo dolore al fratello. Questi per appagare la brama di vendetta della sorella, trovò Cristo e lo colpì sulla guancia con la mano destra. Questo gesto, valse a entrambi la dannazione divina. Marco fu condannato a vagare in eterno tra gli antri del suo castello e a colpirne continuamente con la mano sacrilega, tramutata in mazza di ferro, i cancelli. Sibilla fu carcerata in quel luogo, che, per volere di Dio, venne abbandonato dal sole e trasformato in una profonda spelonca, e costretta a soffrire per l’eternità, rodendosi dall’ira, per aver osato offendere Maria. Col passare dei secoli, proprio di fronte all’antro misterioso, sorse il santuario dedicato alla Madonna di Polsi, il cui sguardo tenace è sempre rivolto alla grotta della maga malvagia, per far sì che non cerchi di vendicarsi del torto subito. Solo in un’occasione, la “Mamma della Montagna” distoglie il proprio sguardo.

Quando il popolo la porta in processione, la vara viene fatta uscire dal santuario con le spalle girate, voltando sempre il tergo alla Sibilla, quasi in segno di scherno. E quando la statua, così rivolta, entra in chiesa, oscure nubi coprono le cime della montagna. Ancora oggi, quando volge la notte e il vento risuona nei sinuosi recessi aspromontani, c’è chi giura di udire distintamente i lugubri colpi di una mazza e l’eco di eterne imprecazioni.

La croce, il pastore e il conte Ruggero

Tra le leggende più “accreditate”, il culto della madonna di Polsi e il relativo santuario nacquero, invece, grazie al ritrovamento di una strana e misteriosa reliquia che pare fosse addirittura la croce di San Silvestro

Del miracoloso ritrovamento si hanno ben tre versioni, ma il protagonista è sempre un giovane bovino. 

La versione più nota narra di un pastore e di un vitello. Il pastorello Italiano aveva disperso il proprio vitello tra le montagne. Dopo un’affannosa ricerca, lo ritrovò inginocchiato a frugare la terra con il muso, dissotterrando, poco dopo, una piccola croce di ferro. Ancora basito dalla scena, al candido Italiano apparve la Madonna che gli manifestò il volere che in quel luogo le si edificasse una chiesa. 

Secondo un’altra versione, furono dei pescatori di Bagnara che, un giorno, intenti a tirare le reti si accorsero che nell’acqua galleggiava una cassa. Trascinatala a riva, vi trovarono una statua della Vergine. La sistemarono su un carro trainato dai buoi. Ma durante il percorso, carro e buoi sparirono alla volta delle montagne e se ne persero le tracce. Della statua non si ebbero più notizie finché un giorno non venne ritrovata nel cuore dell’Aspromonte, nello stesso luogo dove il vitello aveva trovato la croce. La leggenda nella leggenda vuole che a dissotterrare la statua misteriosamente scomparsa fu sempre il pastorello che, per smuovere la pesante croce, s’aiutò con un bastone. 

La terza versione, invece, ha per protagonista, Ruggero il Normanno, il quale durante una battuta di caccia, udì latrare i suoi cani dal fondo della vallata. Accorse e vide un vitello inginocchiato davanti ad una croce. Era la croce nascosta molto tempo prima dal futuro papa Silvestro, prima di rientrare a Roma e convertire l’imperatore Costantino al cristianesimo. Per devozione, Ruggero diede ordine di edificare una chiesa che arricchì con laute donazioni. Ancora oggi, si narra che il fantasma di Ruggero, nelle notti di luna piena si aggiri intorno al santuario per vigilare su di esso. 

Il vitello “eroico”

Ad ogni modo, in tutte le novelle tramandate sino ai nostri giorni, eroe indiscusso è il giovane bovino che, per divina ispirazione, fu l’artefice del prodigioso recupero. È per questo che, accanto alle carovane di pellegrini che affrontano il lungo viaggio per rendere omaggio alla croce e alla statua di Maria, anche gli animali hanno diritto di entrare al santuario. E si narra che, quando fuori riecheggiano le note delle zampogne e gli inni della processione, i bovini, rimasti soli, vanno dritti ai piedi dell’altare e si inginocchiano a testimonianza di un’ancestrale familiarità con la madre della montagna.

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