sabato,Aprile 27 2024

Tonino, Carletto, Felice e Manuele “the voice” Ilari: dal romanticismo di uno sport che non c’è più, ai nuovi mostri…

Qualcosa è andato storto nel passaggio del testimone tra i vecchi e i nuovi protagonisti del pianeta sport. Ma questa volta Reggio ha messo alla porta i falsi predicatori

Tonino, Carletto, Felice e Manuele “the voice” Ilari: dal romanticismo di uno sport che non c’è più, ai nuovi mostri…

Prima Tonino. Poi, dopo qualche ora, Carletto. Due perdite terribili per il basket e il calcio. Il tramonto di un certo modo di intendere lo sport, che oggettivamente non c’è più. Merce rara, purtroppo, che ci manca, ma tanto.
Allenatori vecchia maniera che mettevano l’uomo al centro delle loro attenzioni e delle loro squadre. Ci mancheranno. Come ci manca il calcio giocato. Ma un fatto nuovo, in questa calda estate sportiva c’è. E va registrato con la dovuta attenzione.

La città questa volta ha sventato l’ennesimo picnic in riva allo Stretto da parte di imprenditori senza scrupoli, speculatori di bassa lega, che non avevano capito con quale giocattolo si erano messi a giocare. Non ha accolto quelli che si sarebbero svelati i “nuovi mostri” col cappello in mano, come successo altre volte. Ha chiesto informazioni, ha tastato il terreno, ha sbattuto la porta. Ha deciso con tutti i suoi attori, di far valere l’orgoglio e il vanto di un vessillo, un colore, amaranto. Schivando come un torero le incornate dei vari Saladini, Quaranta e Ilari, che tutto hanno dimostrato fuorché empatia rispetto al dramma sportivo di una piazza storica che vive e sogna col calcio.


Saladini nascondendosi dietro la frase “mi sono messo da parte perché ero io il problema”, si è dato una tale importanza nel sistema calcio, da far sorridere. Il suo impegno finanziario (15 milioni ha detto pubblicamente) non si discute, e non si può discutere. Ma quello è rimasto. Un impegno economico che non si è mai tramutato in amore, passione, attaccamento, identità. Ingredienti che i nostri Tonino e Carletto dispensavano a chiunque incontrassero sulla loro strada. Per carità coi loro metodi. Ma non c’era finzione. Al più c’era crudezza, ma sentimento vero.
Cosa che è mancata a Saladini. E l’imprenditore lametino lo ha dimostrato proprio negli scorsi giorni intervenendo a Sportitalia. Mostrando di avere in comune con Manuele Ilari, nuovo pseudo acquirente/garante della Reggina e per fortuna non più proprietario, proprio il distacco da tutto l’affaire Reggina. Venduta la patata bollente, provando legittimamente a guadagnarci qualcosa, Saladini affronta il ricorso solo ed esclusivamente per un eventuale risarcimento futuro. Pensando ancora una volta più alla cassa che alla casacca.
Non ha saputo spiegare perché non ha pagato gli ormai famigerati 750 mila e passa euro. Facendo tornare in mente agli sportivi reggini gli ultimi mesi imbarazzanti di quello che fu il mito Viola, vilipeso tra firme false e mancati versamenti.


Ilari da parte sua sembra essere stato travolto dagli eventi. Da una trattativa che non ha condotto. Da una partita che non aveva messo in conto e che non stava giocando. Sin da subito, mostrando di non aver ben compreso che qui non si trattava di una questione commerciale ha regalato due o tre perle radiofoniche memorabili, sbagliando praticamente tutto.


Manuele “The voice” Ilari, visto che lo abbiamo soltanto sentito alla radio, in quasi un mese nelle vesti di proprietario, garante e rappresentante di un non meglio precisato Fondo inglese, prima ha litigato con il delegato allo Sport, poi ha accusato Taibi di aver detto “facciamogli trovare l’inferno”, poi con molto imbarazzo ha ammesso di non sapere cosa c’era scritto nella lettera ai sindaci reggini, indirizzata alle istituzioni evidentemente da altri. Aggravando la sua posizione quando si è offerto ad un incontro con i sindaci ff solo al 27 agosto. Come se per la Reggina ci fosse il tempo di finire le vacanze.


Insomma la “pratica Reggina” per lui era una pratica qualunque. Anzi una pratica da portare in porto, per interessi diversi da quelli dello sport. Non a caso nella sua prima uscita radiofonica non è riuscito a trattenersi parlando del grande interesse per l’area reggina in vista del Ponte sullo Stretto. Un po’ come Marcel Vulpis, consulente di marketing della Pallacanestro Viola che a poche ore di distanza ci regalava la sua prima perla e il suo obiettivo: inserire un logo del Ponte sulle maglie neroarancio.


Ma cosa c’entra tutto questo con lo sport, con la passione di una città?
Certo non siamo così ingenui da escludere a priori che non è solo sport. Ma la nostra accezione è tutta votata al sociale, e al territorio, più che agli affari. E non riuscire ad entrare in contatto con la città, ma perseverare a suon di slogan oggettivamente vuoti, non ha aiutato.
La verità, forse, è che tutta questa storia del ponte, si sta trasformando in propaganda spinta. I fari sono accesi sull’intera area reggina. Le aspettative ora sono altissime. Gli appetiti sulla mega infrastruttura crescono e, chi di dovere, dovrà vigilare non solo nel consueto ambito criminale, ma anche in quello popolato da giacche e cravatte.


La città non può permettersi di cadere nelle mani dei soliti “prenditori”. Bene hanno fatto i sindaci Brunetti e Versace a mostrare i denti con un’aggressività che raramente abbiamo visto in questi mesi.
La città non è disposta a svendersi al primo che passa. Almeno non più. La lezione sembra assimilata.
Reggio pretende rispetto.
Ma Reggio deve anche saperselo guadagnare questo rispetto. Perfino così. Ripartendo anche ed eventualmente dalle ceneri. Per una “D” che è simbolo di dignità.

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