domenica,Aprile 28 2024

La città non ha più tempo, Falcomatà guardi avanti e il centrosinistra batta un colpo

L’assoluzione ad opera della Suprema corte non restituisce il danno subito, ma c’è solo una direzione e un imperativo: non voltarsi indietro

La città non ha più tempo, Falcomatà guardi avanti e il centrosinistra batta un colpo

In molti pensavano che la conclusione naturale del processo “Miramare” arrivasse con una laconica prescrizione. I più sgamati puntavano al nodo dell’ammissibilità del ricorso presentato. Ma nessuno aveva messo in conto quella che nei fatti è un’assoluzione. Il reato di abuso di ufficio che ha impegnato per otto lunghi anni la giunta Falcomatà, i giudici, gli avvocati, i cancellieri, le guardie giurate, e così via, non solo non è stato prescritto, ma non c’è. Perché per i giudici della Suprema Corte, l’abuso d’ufficio non si è mai consumato, contrariamente a quanto stabilito dai magistrati reggini con le condanne comminate in primo e in secondo grado. Al più, fanno capire dal Palazzaccio con la decisione di ieri, si è trattato di un tentativo di abuso d’ufficio che non si è concretizzato nei fatti.

Il problema è un problema serio. Soprattutto per la città. Che si risveglia smarrita e perplessa. Appena qualche giorno fa in piazza Duomo Giuseppe Scopelliti ha parlato di una sorta di complotto ai suoi danni dicendo chiaramente che la colpa in cui si trova la città è sostanzialmente, anzi, prima, dello Stato, e poi della cattiva gestione amministrativa. Da parte sua Falcomatà in attesa di essere giudicato dalla Cassazione ha ricevuto un secondo rinvio a giudizio nel Miramare bis, e la trasmissione degli atti in procura (è un atto dovuto ma fa lo stesso notizia vista l’attesa per la pronuncia della Cassazione) per la questione Brogli che invece ha visto rinviato a giudizio Antonino Castorina. Su questo, crediamo, si dovrà aprire anche una riflessione.

Ma quello che ci si può chiedere in una situazione del genere è se Giuseppe Falcomatà, da questa vicenda ne esca più forte o più debole. Otto anni di processo sono tanti. E sono logoranti. Ma la sospensione sicuramente lo è di più. Due anni lontano dallo scranno che i reggini gli hanno accordato alle elezioni del 2020. E per di più a ricordarglielo c’ è anche il processo sui presunti brogli di quella tornata elettorale, che lo sfiora, soprattutto mediaticamente. E ancora, il rinvio a giudizio per un altro abuso d’ufficio che avrebbe commesso nell’ambito di un “Miramare bis” che forse ora non ha senso far rimanere in piedi.

Il tutto succede in una cornice che definire girone dantesco sarebbe riduttivo. Palazzo San Giorgio nel suo apparente immobilismo è un edificio politicamente in fiamme. La maggioranza vive sul filo, e l’attesa della Cassazione per il sindaco sospeso non ha aiutato a serrare le fila. Nel fuggi fuggi generale si nascondono motivazioni politiche e ripicche personali, aspirazioni elettorali e strategie spicciole.
Ma Falcomatà trova anche un Partito democratico diverso, dentro e fuori il palazzo, a cui ha provato a dare una mano da sospeso. Un partito distratto, che non ha trovato il tempo di dire qualcosa, un commento o una smentita, rispetto alle verità fornita da Giuseppe Scopelliti davanti ad una Piazza Duomo gremita di supporters, soprattutto rispetto al buco di bilancio che sarebbe stato originato da Italo Falcomatà.

Ma poi, lì, fuori il Palazzo, c’è la città. Una Reggio che da protagonista è diventata cornice. Una città che ha ospitato il sindaco sospeso come un cittadino qualunque, mettendo a nudo, a volte sbattendola in faccia, la realtà della sua condizione, fatta di ritardi, incapacità, mancanza di servizi, illogicità. Una Reggio che continua a perdere su diversi fronti. Che buca le mense scolastiche e chiude gli istituti a stagione iniziata, che perde 100 milioni di finanziamenti per la mobilità sostenibile perché in tredici anni non si è riusciti a produrre un progetto che fosse anche solamente fattibile. Una città che non a caso fa passi indietro e non uno avanti sul Calopinace. Una città eternamente divisa e ricca di candidati alla sua successione.

Dunque logorato, certo, ma sicuramente Falcomatà è anche più forte. Il canonico “ho fiducia nella giustizia” a cui ogni imputato si affida durante il suo calvario, con lui ha trovato il suo senso compiuto. Falcomatà ne esce pulito, innocente, e soprattutto danneggiato. Non potrà ora commettere l’ingenuità di voltarsi indietro, riaprire ferite, e guardare al passato. La città deve andare avanti. Reggio ha bisogno di essere riportata quantomeno sui binari giusti. E per farlo il suo sindaco deve guardare avanti. Perché in questo “terzo tempo” nessuno gli farà più sconti.

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