domenica,Aprile 28 2024

Processo Epicentro, il pentito Cristiano: «A Villa comandavano anche le cosche di Archi»

Il collaboratore racconta la spartizione del territorio. E ricorda tanti episodi di violenza. Tra armi, droga e auto bruciate

Processo Epicentro, il pentito Cristiano: «A Villa comandavano anche le cosche di Archi»

Le cosche di Villa San Giovanni e come veniva diviso il territorio con il clan Condello. È stato questo il tema principale affrontato davanti al Tribunale collegiale nel dibattimento “Epicentro”, in corso a Reggio Calabria. Ad essere incalzato dal pm De Cara è stato il collaboratore di giustizia villese Vincenzo Cristiano, finito in cella a seguito dell’inchiesta “Sansone” nel 2016, che ha colpito le cosche di Villa San Giovanni e della zona nord del capoluogo. L’uomo, condannato per associazione mafiosa, turbativa d’asta ed estorsione ha raccontato in prima battuta la sua escalation criminale partendo nella cosca villese Zito – Bertuca.

L’ingresso nel clan

«Conoscevo i fratelli Bertuca ma ho avuto con loro un rapporto mafioso nel 1990. Abbiamo messo una bomba a un finanziere – ha raccontato il pentito -. Poi li ho rivisti (Vincenzo e Pasquale) nel 2000 con cortesie saltuarie. Ma dal 2007 è diventata una frequenza assidua e lì è nato un rapporto più stretto». Ma Cristiano scende nei particolari spiegando come era composto il vertice del clan e quali fossero le azioni criminali compiute negli anni in questione. «Il capo – ha detto – era Vincenzo per anzianità, ma il capo operativo era Pasquale, era quello che si sedeva a più tavoli di ‘ndrangheta ed era il più temuto. Nel 2010 hanno arrestato Pasquale e ho fatto un’estorsione per conto suo al sindaco Rocco La Valle, perché mi ha mandato un’ambasciata dal carcere. Ho incontrato altri personaggi sempre per conto suo».

La pace con i Condello

Ma Villa faceva gola anche alle cosche reggine e in particolare ai Condello, con i quali i Bertuca, secondo quanto raccontato in aula dal pentito, scesero a patti. «A Villa a un certo punto vi è stato un avvicendamento per chi doveva chiedere il pizzo e io personalmente su mandato di Vincenzo Bertuca sono andato a chiarire. A Vincenzo lo accompagnavo agli appuntamenti con Demetrio Condello. Andrea Vazzano era il condelliano responsabile a Villa. Tra Bertuca e Condello era un rapporto di pace perché Villa è stata divisa tra il gruppo Imerti/Buda-Condello e gli Zito-Bertuca». Ma la pace tra i clan ha visto momenti di fibrillazione, che Cristiano definisce «momento tragico quando è stato arrestato Domenico Condello, perchè è successo di tutto e di più e siamo intervenuti come gruppo Zito-Bertuca. I rapporti con i Condello erano buoni, Pasquale si incontrava con Domenico (il latitante, ndr) ma con tutti aveva buoni rapporti, con Franco Benestare, con Gino Molinetti, con Paolo Schimizzi che stravedeva per lui perché Pasquale era super conosciuto».

L’intimidazione alla Caronte

I Condello, racconta il pentito, avevano diritto a una quota delle estorsioni a Villa e questo «era stato stabilito da Nino Imerti. Noi ci occupavamo principalmente di estorsioni a commercianti, imprenditori soprattutto nell’edilizia, anche attraverso posti di lavoro come alla Perla dello stretto o l’Avr. Alla Caronte non ci siamo riusciti ad avere i posti di lavoro e gli abbiamo bruciato la macchina al direttore che era di Bagnara. Poi altri ragazzi, i fratelli Scarfone, si occupavano di droga. Il nucleo di vertice della cosca era Alfio Liotta (sostituto di Pasquale e Vincenzo dopo l’arresto), poi cera Giovanni Malara, Alberto Scarfone, Francesco Aricò».

I rapporti con i clan limitrofi 

Ma Cristiano, rispondendo alle domande del pm, ha delineato anche la linea dei rapporti con i clan di Archi, Catona, Gallico e Arghillà. «Con gli arcoti teneva i rapporti Vincenzo Bertuca che incontrava Vincenzino Zappia e parlavano  di strategie di ‘ndrangheta. Una volta ho organizzato io l’incontro alla Clinica Caminiti e una volta al cimitero a Villa. Pasquale, invece,  aveva rapporti diretti con Gino Molinetti, esponente di spicco della ‘ndrangheta di Archi dell’area destefaniana, insieme erano stati accusati di essere i killer del Giudice Scopelliti. Molinetti era il capo assoluto del suo gruppo e si comportava bene nei confronti di Pasquale, lo rispettava, erano amici fraterni che hanno fatto la guerra insieme, avevano combattuto insieme contro gli Imerti-Condello, insomma, facevano parte dello stesso esercito. Gino gli mandava soldi tutti i natali e l’anno che non arrivarono questi soldi successe un altro alterco. Franco benestare è l’uomo che comanda ad Archi da quando non c’è lo zio Giovanni Tegano, anche se comandava anche prima con lo zio e ora comanda su Reggio visto che mancano tutti i Condello e i De Stefano. Lo so per certo che lui è uno che comanda. Santo Le Pera era il boss di Catona con lui avevo rapporto.

Giovanni Rugolino, boss soprannominato Craxi, interveniva su Catona e Arghillà ma la cosca Bertuca ha sempre fatto riferimento a Nato Rugolino, che è più tosto e meno chiacchierone, è una persona di spessore della ‘ndrangheta – ha ribadito Cristiano -. Ho avuto rapporti anche con gli zingari con Cocò (Cosimo Morelli affiliato da Giovanni Rugolino, ndr) che mi ha detto che aveva 500 uomini un esercito di rom che non erano attivi ma erano tutti battezzati, ma io ci ho creduto e non creduto ma erano tanti e la prova l’ho avuta quando hanno fatto l’assalto a La Valle. Il fratello di Cocò aveva chiesto un pezzo di ricambio e lo voleva pagare un tot ma da La Valle lavorava un certo Cicco (ex pregiudicato) e da arrogante gli ha detto no e sono venuti alle mani e il Morelli è salito ad Arghillà e sono scesi in 25 e li hanno ammazzati di botte a tutti, anche La Valle le ha prese».

Le risse e la droga

Cristiano nel suo lungo racconto, non ha tralasciato dettagli ed eventi particolari rispondendo al pm, fornendo spaccati di quelli che erano i rapporti tra i clan reggini e quali fossero i motivi di tensione. «Nel 2014 – racconta il collaboratore – nel periodo natalizio, ci fu una festa al Pilone di Villa San Giovanni e ci fu una lite tra un gruppo dove c‘era Rocco Scarfone, Aricò Nicola, La Valle contro uno che lo hanno mandato in ospedale. Hanno tentato di camuffare la cosa ma un ragazzo di Catona ha testimoniato (buttafuori di Crotone, ndr). Rocco Scarfone è stato arrestato. Gli Scarfone hanno bruciato macchina e vespa ad uno dei presenti ad Acciarello per farlo stare zitto. E loro hanno cercato di avvicinare il buttafuori ma è venuto a difenderlo a Villa Franco Minniti che ha preso due sberle da Alberto Scarfone perché alla fine il buttafuori ha testimoniato».

Ma gli uomini che orbitavano attorno alla cosca Zito Bertuca erano diversi e con ruoli che, a un certo punto, hanno però creato frizioni. In particolare Cristiano fa riferimento ad «Alfio Liotta coordinava il territorio con Pasquale Bertuca era il suo braccio destro, Aricò francesco era anche un uomo di fiducia di Pasquale con un ruolo operativo, auto ne ha bruciate tante. Alfio prendeva i soldi delle estorsioni e si divideva sempre per tre e manteneva i rapporti con i Condello».

Ma in alcuni momenti, con i vertici delle cosche in carcere anche la riscossione del pizzo diventò problematica e Cristiano riferisce di diversi episodi di accavallamento che crearono non poche frizioni tra i clan. Gli attriti continuarono anche per i posti di lavoro alla Perla dello Stretto. Vincenzo Bertuca incontrava Demetrio Condello in una autocarrozzeria, non si fidava di nessuno, era tutto particolare. Io non assistevo agli incontri ma appena rientravamo mi raccontava tutto. A un certo punto non tornavano i conti, mancavano i soldi e Vincenzo era incazzato con Alfio e aveva creato disguidi anche con gli arcoti. Dopo l’incontro siamo andati a casa di Francesco Aricò e abbiamo parlato di tutto ma il tema principale era Alfio Liotta e i soldi che mancavano. Cicco Aricò aveva tanti vantaggi dall’essere rappresentante dei Bertuca, suo figlio lavorava all’Avr e la figlia è entrata al Conad nella Perla dello Stretto. Dopo il mio arresto Ciccio è andato a casa mia a parlare con mia madre per dirle che avrebbero provveduto a tutto loro, ma io mi sono pentito subito».

Il pentito parla di Liotta come un personaggio che faceva «il doppio gioco con gli Zito e i Bertuca.  Mimmo Zito si sistemava i suoi figli nei lavori al Comune di Villa. Gli Zito avevano ottenuto l’impresa di pulizia al centro commerciale e la sicurezza e i depositi alla Trony. Loro avevano ottenuto molto rispetto a noi. Nella nostra cosca c’erano le armi ma non le hanno trovate dove gli ho detto io, ma forse sono arrivati tardi ma sono tutte nascoste, sotterrate. Erano a Porticello vicino la casa di Alfio Liotta o nel villino quasi sotto il pilone abbandonato dove frequentavano i fratelli Scarfone, dove lavoravano la droga e io ci sono andato con Aricò quando organizzavano le mangiate. Vendevano la droga anche ai 15enni al chioschetto».

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