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Il 21 marzo nella nostra storia con i familiari in marcia a Reggio Calabria, Polistena e Locri

Per non dimenticare da tutta Italia arrivarono qui, in fondo allo Stivale, nel 1998, nel 2007 e nel 2017

Il 21 marzo nella nostra storia con i familiari in marcia a Reggio Calabria, Polistena e Locri

(In foto un momento della marcia a Locri del 21 marzo 2017)

Vedere fiorire la speranza nel primo giorno di primavera negli occhi di chi è sopravvissuto a un figlio, una figlia, una madre, a un padre, un fratello, una sorella, un nipote, una nipote. Questo è il 21 marzo che Libera ha portato nella nostra storia di paese afflitto dalle mafie ma anche patria di tante persone che a quelle mafie si sono ribellate con coraggio, anche al costo della loro vita. La memoria di quelle persone diventa impegno contro l’oblio e l’indifferenza e anche semina paziente di legalità e di futuro. Diventa esempio di forza e fiducia, nonostante tutto. Oltre il 70 % delle famiglie delle vittime non conosce la verità sulla morte dei propri cari. Oltre il 70 % dei delitti è rimasto impunito, senza colpevoli.  

La memoria itinerante

Quest’anno il corteo a Milano con 500 famiglie di vittime di 70mila persone. Ogni anno una città diversa, per non dimenticare le vittime innocenti delle mafie, per marciare con i familiari e con loro nominare le oltre mille vittime innocenti. Ogni nome risuona in un interminabile rosario civile. Un appuntamento con l’impegno civile di un paese che deve resistere per chi non c’è più affinché chi verrà dopo non debba più rischiare la vita per la libertà dall’oppressione mafiosa. Un appuntamento che Libera onora dal 1998 e che dal 2017 è diventato una legge di Stato.

Il 21 marzo nel reggino

Il primo 21 marzo fu a Roma nel 1996, in piazza del Campidoglio. Poi la marcia non si è più fermata. Ancora oggi attraversa tutta l’Italia in una sorta di memoria itinerante. Ha scritto le sue pagine di memoria anche la Calabria, che con centinaia di nomi alimenta quello scrigno di storie. Anche in Calabria sono arrivati familiari da tutta Italia per non dimenticare. È accaduto a Reggio Calabria, terza città dopo Roma e Niscemi ad avere ospitata la Giornata nel 1998. Poi la grande manifestazione di Polistena il 21 marzo 2007 con una significativa partecipazione di giovani, emblema di una “Calabria in movimento per la giustizia sociale”.

E infine Locri nel 2017 con i “luoghi di speranza e testimoni di bellezza”.

Appello alla corresponsabilità

«In Calabria ho conosciuto maestri come don Italo Calabrò capace di saldare terra e cielo, dimensione spirituale con impegno sociale», aveva ricordato Don Ciotti a Locri nel 2017. Un intervento, il suo, incentrato sull’importanza della istituzione di una città educativa per tutti, con un richiamo alle parole pronunciate in questa direzione anche da Italo Falcomatà, amato sindaco di Reggio. Poi ancora un monito alla politica, in quanto etica e servizio al bene comune, e un appello alla corresponsabilità non solo per non dimenticare ma anche per costruire una società equa e libera e per ottenere verità e giustizia. «Siamo qui – ha detto più volte don Ciotti a Locriperché amiamo la vita e i nostri cari sono vivi ed esortano noi ad essere più vivi e responsabili».

Una marcia che non si arresta

Roma, Niscemi (Cl), Reggio Calabria, Corleone (Pa), Casarano (Le), Torre Annunziata (Na), Nuoro, Modena, Gela (Cl), Roma, Torino, Polistena (RC), Bari, Napoli, Milano, Potenza, Genova, Firenze, Latina, Bologna, Messina, Locri (RC), Foggia, Padova, Roma, Napoli.

Ogni piazza, ogni strada un luogo di memoria, di testimonianza e di denuncia da cui trarre la forza per il cambiamento. Nessuno muore se rimane il ricordo. Nessuno muore invano se quel ricordo è monito e sete di futuro di libertà e giustizia.

Contrasto etico delle mafie

«È evidente che la lotta alle mafie ha bisogno non solo di un maggior impegno ma di un nuovo paradigma che non è uno “schema” ma una sintesi sempre aperta e mobile di un modo d’essere e di vivere l’impegno, dettato da nuove e più profonde consapevolezze. Consapevolezza sempre maggiore che il contrasto prima che repressivo deve essere sociale, educativo, culturale, etico», ha dichiarato don Luigi Ciotti, in occasione del 21 marzo 2020 quando la pandemia non fermò la memoria e l’edizione della Giornata fu “social”.

È possibile

Quest’anno lo slogan scelto per la XXVIII edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Libera e Avviso Pubblico, richiama il senso della possibilità. «La parola “possibile” deriva da “potere” e indica ciò che si può realizzare, ciò che può accadere. In un momento storico in cui le difficoltà sono numerose, con la crisi ambientale, sociale ed economica aggravata dalla pandemia e la vulnerabilità politica internazionale provocata dalla guerra, abbiamo il dovere di indicarci insieme la strada, di dirci dove può e deve portarci il nostro impegno comune», si legge sul sito di Libera.

Il messaggio di Liliana Segre a Libera

«Ciò che ci unisce è quindi proprio il culto della memoria. Ricordare le vittime della Shoah e di tutti genocidi, le vittime della mafia e dei poteri criminali, le vittime della tratta di esseri umani e di aberranti politiche verso i migranti.

Quest’anno voi avete deciso di leggere, insieme ai nomi delle vittime della mafia anche i nomi delle persone, adulti e minori, morte nella tragedia di Cutro. Condivido del tutto questa scelta. Perché si tratta di persone. Che hanno un nome ed un cognome. Una storia, una identità, una vita.

Donne e uomini. Bambine e bambini. Colpevoli di nulla, se non di esistere e di voler vivere una vita degna. E la vita è indegna se si è sotto il terrore del razzismo, della fame, della criminalità, della guerra».

Il 21 marzo nato dal dolore di una mamma

Nasce in un giorno di sole e di dolore, il 21 marzo. Quando nel primo anniversario della strage di Capaci, a don Luigi Ciotti si avvicina una mamma affranta. Si chiama Carmela. Lei ha perso suo figlio in quella strage. Era un poliziotto della scorta di Giovanni Falcone. A don Ciotti quella madre dice: «Sono la mamma di Antonino Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai? È morto come gli altri». Da quella voce rotta dal pianto ma che invoca identità e memoria nasce il bisogno ogni anno di ricordare insieme le persone che ogni familiare, nel suo cuore, non dimentica mai.

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