Delitto Scopelliti ancora senza verità, Matteo Messina Denaro non si pente e non parlerà

Tra i segreti che si ostina a mantenere l’ultimo padrino di Cosa Nostra ancora in vita, Matteo Messina Denaro, forse anche la verità ancora negata sulla morte del magistrato reggino Antonino Scopelliti. Fu ucciso a Piale, tra Campo Calabro e Villa San Giovanni nel reggino, il 9 agosto1991 da mano sconosciuta. Oggi è il trentaduesimo anniversario del delitto rimasto ancora impunito.

La figlia Rosanna, presidente della fondazione a lui intitolata e fortemente impegnata in attività di promozione della legalità, purtroppo lo aveva previsto. All’indomani del suo arresto, che aveva definito come «un importante risultato conseguito dalla squadra di Stato», aveva manifestato di non avere molte aspettative.

L’amarezza di aver avuto ragione

«Sarà un traguardo ancora più importante e che avrà ancora più senso – aveva detto – nel momento in cui Messina Denaro si deciderà a raccontare quello che sa sul delitto Scopelliti e a fornire elementi per capire cosa sia accaduto a mio padre e ad altre vittime. Temo che Messina Denaro dirà poco, forse nulla. In tutto questo tempo non ha mai dato segno di pentimento o manifestato intenzione di collaborare con lo Stato».

Purtroppo Rosanna Scopelliti ha avuto ragione, anche se avrebbe voluto sbagliarsi. Un altro muro di silenzio inestricabile si è posto tra lo Stato e quanto di inconfessabile resterà nella mente del boss. Un muro sempre più invalicabile che anno dopo anno sembra sempre più granitico. E quella verità mancata pesa sempre di più.

Nessun pentimento

Matteo Messina Denaro non si è pentito. Nonostante le condanne per le stragi del 1992 e del 1993, nel verbale di interrogatorio dello scorso 13 febbraio depositati ieri, giorno in cui è stato ricoverato con urgenza presso l’ospedale de l’Aquila, afferma di non essere coinvolto in alcuna strage e che non si pentirà mai. Avrebbe conosciuto Cosa nostra solo dai giornali. Il boss mafioso, catturato lo scorso 16 gennaio presso la clinica Maddalena di Palermo dopo trent’anni di latitanza, è affetto da un tumore, curato nel carcere in regime di 41 bis fino al trasferimento blindato e d’urgenza all’ospedale de L’Aquila avvenuto ieri. Con quanto dichiarato ai magistrati compie l’ennesimo atto sprezzante verso lo Stato e verso il dolore dei famigliari delle vittime che ancora attendono giustizia. «Non mi pentirò mai – dice – mi avete preso solo perché sono malato».
Tra le vittime che ancora attendono giustizia c’è anche Rosanna Scopelliti. In vista delle iniziative di commemorazione dell’odierno anniversario, si è detta stanca di non vedere che alla memoria segua la verità.

Le indagini della procura di Reggio Calabria

Nel 2019 tra i nuovi diciotto indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, quindi dal procuratore capo Giovanni Bombardieri e dagli aggiunti Gaetano Calogero Paci e Giuseppe Lombardo, anche l’allora superlatitante Matteo Messina Denaro. Da tre anni, dunque, l’ultimo boss mafioso di “prima grandezza” arrestato nel gennaio scorso, figura tra gli indagati di un delitto irrisolto ormai da 32 anni.

Antonino Scopelliti

Pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Roma, poi presso la procura della Repubblica di Milano, quindi procuratore generale presso la Corte d’appello. Infine sostituto procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione. Si occupò di mafia e anche di terrorismo, rappresentando la pubblica accusa nel primo processo sul caso Moro ed in quelli relativi al sequestro dell’Achille Lauro, alle stragi di Piazza Fontana e del Rapido 904.

Tra i processi a lui affidati anche quello contro Cosa Nostra. L’estate del 1991 lavorava proprio al rigetto dei ricorsi avverso le condanne in appello presentati, dinnanzi alla corte di Cassazione, dagli imputati nel maxiprocesso di Palermo, istruito da Falcone e Borsellino nella prima metà degli anni Ottanta, con 460 imputati, 19 ergastoli e di oltre 2600 anni complessivi di reclusione.

Proprio nella casa a Campo Calabro studiava i faldoni contenenti le carte redatte e messe insieme da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per istruire il maxi processo contro Cosa nostra.

A settembre avrebbe dovuto rappresentare la pubblica accusa nel giudizio di appello avverso le condanne seguite al Maxiprocesso di Palermo; il processo penale più imponente di sempre. Per manifestare vicinanza ai familiari, poche ore il delitto dopo arrivò a Campo Calabro da Palermo, proprio Giovanni Falcone.

9 agosto 1991

L’agguato si consumò il 9 agosto 1991, in località Piale, tra Campo Calabro e Villa San Giovanni, nel comprensorio di Reggio Calabria. Era a bordo dell’auto e stava tornando a casa dal mare. Almeno due uomini in moto, armati di un fucile calibro 12 caricato a pallettoni lo uccisero. In quel luogo è stata posta una stele in memoria. Lì oggi alle 19, la consueta solenne commemorazione a Piale, quest’anno promossa dalle amministrazioni di Reggio Calabria, Campo Calabro e Villa San Giovanni. Saranno presenti le massime autorità e anche la fondazione presieduta dalla figlia Rosanna. In assenza di verità e giustizia, quest’anno Rosanna Scopelliti aveva deciso di non riunire le istituzioni dinnanzi alla stele in memoria di suo padre. La memoria, infatti, continua ad essere carente di verità e giustizia. In quel suggestivo affaccio sullo Stretto c’è quanto Antonino Scopelliti poté vedere prima di morire.

Condividi
Impostazioni privacy
Privacy e termini di Google