sabato,Aprile 20 2024

Arresto Messina Denaro, il boss indagato anche per l’omicidio del giudice Scopelliti

Nel 2019 al centro delle indagini condotte dalla procura di Reggio Calabria composta dal capo Giovanni Bombardieri e dagli aggiunti Gaetano Calogero Paci e Giuseppe Lombardo

Arresto Messina Denaro, il boss indagato anche per l’omicidio del giudice Scopelliti

Un arresto quello di Matteo Messina Denaro che potrebbe contribuire a concretizzare quella svolta nelle indagini nell’omicidio del magistrato Antonino Scopelliti annunciata nel 2019. Tre anni fa, infatti, tra i nuovi diciotto indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, quindi dal procuratore capo Giovanni Bombardieri e dagli aggiunti Gaetano Calogero Paci e Giuseppe Lombardo, anche l’allora superlatitante Matteo Messina Denaro. L’ultimo boss mafioso di “prima grandezza” ancora ricercato, latitante dal 1993, è rimasto imprendibile per trent’anni.

Un coinvolgimento di cui avrebbe parlato il collaboratore di giustizia catanese Maurizio Avola. Una svolta che tre anni fa aveva ammantato di una maggiore consistenza l’ipotesi secondo la quale il delitto di Antonino Scopelliti, a distanza di trent’anni ancora senza giustizia e verità, potesse essere stato frutto di un accordo tra cosa nostra e ndrangheta. La prima avrebbe non solo deciso ma anche partecipato all’agguato mortale del 9 agosto 1991.

Gli accordi mafia-‘ndrangheta

A decidere questa uccisione potrebbe essere stata la super cupola che riunisce il gotha di tutte le organizzazioni mafiose, massoni, politici e servizi deviati per una gestione unitaria di tutte le mafie italiane.

A dominare un accordo mafia -‘ndrangheta, già oggetto di indagini all’epoca del delitto con boss dello spessore di Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Nitto Santapaola e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano processati e poi assolti in via definitiva.

Con Matteo Messina Denaro, nel 2019 iscritti nel registro degli indagati per il delitto Scopelliti anche gli altri siciliani, Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola. Iscritti anche i calabresi, Giuseppe Piromalli, Giovanni e Pasquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti. A loro, qualche giorno, era stato aggiunto il boss Giuseppe De Stefano.

Nel 2012, dopo due decenni di silenzio, le dichiarazioni del pentito Antonino Fiume, nell’ambito dell’inchiesta Meta condotta dal sostituto procuratore della Dda reggina Giuseppe Lombardo, avevano già aperto un nuovo spiraglio. Era stato dichiarato che dell’agguato era responsabile un commando di affiliati alla ‘ndrina reggina dei De Stefano, assoldato per eseguire il delitto da Totò Riina e dai corleonesi, minacciati dal processo ormai alle porte. Un omicidio in cambio del quale ci sarebbe poi stato un intervento pacificatore dei siciliani tra i due cartelli reggini De Stefano – Tegano – Libri e Condello – Rosmini – Serraino – Imerti. Gli stessi che avevano insanguinato le strade di Reggio con oltre 700 morti durante la seconda guerra di mafia alla fine degli anni Ottanta.


Antonino Scopelliti

Magistrato integro e incorruttibile, indipendente e rigoroso. Pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Roma, poi presso la procura della Repubblica di Milano, quindi procuratore generale presso la Corte d’appello. Infine sostituto procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione. Si occupò di mafia e anche di terrorismo, rappresentando la pubblica accusa nel primo processo sul caso Moro ed in quelli relativi al sequestro dell’Achille Lauro, alle stragi di Piazza Fontana e del Rapido 904.

Tra i processi a lui affidati anche quello contro Cosa Nostra. L’estate del 1991 lavorava proprio al rigetto dei ricorsi avverso le condanne in appello presentati, dinnanzi alla corte di Cassazione, dagli imputati nel maxiprocesso di Palermo, istruito da Falcone e Borsellino nella prima metà degli anni Ottanta, con 460 imputati, 19 ergastoli e di oltre 2600 anni complessivi di reclusione. Proprio nella casa a Campo Calabro studiava i faldoni contenenti le carte redatte e messe insieme da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per istruire il maxi processo contro Cosa nostra.

L’agguato mortale a Piale

L’agguato si consumò il 9 agosto 1991, in località Piale, tra Campo Calabro e Villa San Giovanni, nel comprensorio di Reggio Calabria. Era a bordo dell’auto e stava tornando a casa dal mare quando almeno due uomini in moto, armati di un fucile calibro 12 caricato a pallettoni lo uccisero. Morì subito dopo. Un delitto, a distanza di trent’anni, non ha ancora avuto giustizia e verità.

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