Reggio, dopo il ciclo Immagini scritte il circolo del cinema Zavattini propone Amira

Al via oggi il terzo ciclo “Diversamente figli, diversamente genitori” della nuova rassegna “Il presente diseguale” proposta dal circolo del cinema Cesare Zavattini di Reggio Calabria. Ad aprirla Amira, pellicola di Mohamed Diab. Uno sguardo sulla complessità del conflitto politico tra Palestina e Israele e sul dissidio che attanaglia chi, cercando un’appartenenza, è attraversato dalle lacerazioni della storia.

La pellicola è distribuita CineClub Internazionale, fondata e guidata dal reggino Palo Minuto. La casa editrice del cinema, nata a Reggio Calabria oltre dieci anni fa, propone da sempre uno sguardo squisitamente internazionale ai film d’autore in cerca di spettatori appassionati e attratti da produzioni indipendenti e originali. Tante le proposte in oltre due lustri di attività. Adesso arriva Amira. Appuntamento con le due consuete proiezioni alle 18 e alle 21, al cinema La Nuova Pergola di Reggio Calabria.

«Amira è tra i film che di più ha ispirato la titolo delle nostra rassegna “Il presente diseguale”. Il tema della formazione della famiglia si incrocia con quello dell’identità, calata ancora una volta nella cronaca di questi giorni, vista l’ambientazione in Palestina. Una scoperta genererà nella vita della giovane Amira una serie di contraddizioni. Un film che induce a riflettere, senza posizioni ideologiche, invita a ragionare, silenziando le armi». È quanto evidenzia il presidente del circolo del cinema Cesare Zavattini di Reggio Calabria, Tonino De Pace.

Le immagini scritte

Questo ciclo segue quello intitolato “Le immagini scritte”. Un focus affascinante sul rapporto tra il cinema e i libri. «Una relazione profonda che abbiamo voluto esplorare non nella consueta dimensione della trasposizione sul grande schermo. C’è infatti una relazione profonda tra il cinema e la scrittura, anch’essa fase essenziale per la realizzazione dei film e la vita del cinema stesso». Così spiega ancora Tonino De Pace. Spazio, dunque, al documentario candidato al David di Donatello “Umberto Eco: La biblioteca del mondo” (2022) del regista Davide Ferrario e al film “Dovlatov-I libri invisibili” (2018) del regista e sceneggiatore russo Aleksej German jr., vincitore dell’Orso d’argento per il miglior contributo artistico al Festival di Berlino.

Umberto Eco: i libri e la memoria

«La biblioteca è simbolo e realtà di una memoria collettiva. Non a caso Dante nell’ultimo canto del Paradiso, descrive audacemente la visione beatifica di Dio così: “E vidi raccolto in un volume ciò che nel mondo si squaderna”, anticipando di secoli la visione di Borges. Dunque Dio è la biblioteca delle biblioteche». Con queste parole di Umberto Eco, il regista Davide Ferrario apre il suo viaggio dentro la labirintica biblioteca del semiologo, scrittore, filosofo, studioso, che con la sua ironia e la sua arguzia ci ha insegnato che, in un quotidiano in cui tutto appare relativo, «la letteratura offre un modello di verità incontestabile diceva».

In quello scrigno di 1200 libri antichi 30 mila volumi moderni si muovono i familiari e gli amici di Eco, testimoni eletti di un’esistenza spesa a leggere, scrivere, indagare dentro la parola, dentro la storia in cui essa assumeva sostanza, dentro la vita.

La biblioteca di Umberto Eco è stata ceduta dalla famiglia allo Stato. L’accordo prevede la sua valorizzazione presso la biblioteca Braidense di Milano e presso la biblioteca universitaria di Bologna. Pure la città emiliana teneva ad accogliere una eredità del professore dopo le indimenticate lezioni di Semiologia tenute al Dams.

Il documentario di Davide Ferrario è un viaggio tra gli scritti e tra le parole sempre dispensate da Umberto Eco con generosità e arguta ironia durante le sue lezioni, le sue conferenze, le sue interviste.  

«C’è una memoria vegetale, quella dei libri oggi purtroppo fatti con il legno e una volta con il papiro. C’è una memoria organica che è quella del cervello e c’è una memoria del silicio ossia la memoria elettronica. Noi, nella misura in cui possiamo dire io, siamo la nostra memoria,  quindi la memoria è l’anima. C’è un corrispettivo della memoria individuale che è la memoria vegetale delle biblioteche. L’insieme delle biblioteche è, dunque, la memoria dell’umanità», diceva Umberto Eco e dopo queste sue parole Davide Ferrario offre un affascinante viaggio per immagini dentro le principali e maestose biblioteche del mondo.

Le biblioteche, la memoria dell’Umanità

Le biblioteche Norberto Bobbio e Antonio Graf dell’università di Torino e la Biblioteca Reale e l’Accademia della Scienze sempre di Torino, la Braidense di Milano, la Comunale di Imola. E poi il viaggio continua all’estero presso la biblioteca Vasconcelos di Città del Messico, la City Library (Stadtbibliothek) e la Bibliothekssal kloster Wiblingen di Ulm e la Stadtbibliothek di Stuttgart in Germania, la Biblioteca Abbaziale di San Gallo (Stiftsbibliothek St Gallen) in Svizzera, e la Binhai Library a Tianjin in Cina.

La lectio magistralis a Reggio nel 2005

Scomparso nel 2016, nel 2005 Umberto Eco era stato a Reggio Calabria. Era stato insignito della laurea ad honoris causa in Architettura presso l’università Mediterranea la sua lectio magistralis Sulla Bellezza. «Il pittore che ha maggiormente celebrato l’esperienza del Sublime è stato certamente Friedrich. Quando Friedrich rappresenta il Sublime quasi sempre, di fronte allo spettacolo naturale, mette in scena esseri umani che godono Sublime.

L’essere umano è di spalle e, per una sorta di messa in scena teatrale, se il sublime è la scena. Esso sta sul boccascena, dentro allo spettacolo – per noi che siamo in sala – ma rappresentando la parte di chi sta fuori dello spettacolo. Così noi siamo obbligati a separarci dallo spettacolo guardandolo attraverso di lui, mettendoci al suo posto, vedendo quello che lui vede, sentendoci sì come lui un elemento trascurabile nel grande spettacolo della natura, ma in grado di sfuggire al potere naturale che potrebbe sovrastarci e distruggerci.

Ecco, credo che nel corso dei secoli l’esperienza del bello sia sempre stata quella che si prova stando così, come di spalle, di fronte a qualcosa di cui non facciamo e non vogliamo a ogni costo far parte… In questa distanza sta l’esile filo che separa l’esperienza della bellezza da altre forme di passione».

Sergej Dovlatov: scrivere ed esistere

Dunque le biblioteche come templi vivi del sapere e dell’esistere. I libri come manifestazioni profonde della nostra essenza ed esistenza, Ma i libri possono anche essere ferite profonde, luoghi in cui trionfa la narrazione omologata di una società che, spacciandosi per giusta e ordinata, soffoca la libertà e alimenta censura e omologazione. Complice della manipolazione della realtà, quella narrazione produce l’estrema conseguenza della falsificazione e della negazione della realtà. Come uno scrittore libero, escluso ed emarginato dai circuiti vive questa dimensione? Lo racconta con il biopic “Dovlatov – I libri invisibili”, il regista russo Aleksej German jr..

Egli guardando alla Leningrado degli anni ’70, oggi San Pietroburgo, racconta la vita culturale dei giovani autori dell’epoca. Un’epoca severa e avara di libertà che il circolo del cinema Zavattini propone, ancora una volta, rispondendo ad urgenze di questo tempo. A pochi giorni prima dei due anni dall’invasione dei carri armati russi in Ucraina (24 febbraio). All’indomani della morte sospetta di Aleksej Navalnyj, attivista, politico e blogger russo tra i principali oppositori di Putin, di cui si è voluto nascondere il pensiero come ora si sta facendo con il suo cadavere.  Una riflessione che il circolo Zavattini aveva avviato già alcuni anni fa con una riflessione sulla vita, sul giornalismo di inchiesta e di denuncia e sulla morte nel 2006 della giornalista russa Anna Politkovskaja.

«Con un’estetica lontana da quella occidentale, Aleksej German jr. crea immagini ricche e composite, immagini da scavare. Esse ci restituiscono il ritratto di Sergej Donatovič Dovlatov, scrittore quasi sconosciuto in Italia in cui oggi si iniziano a pubblicare le sue opere. In sei giorni cruciali della sua vita lo scrittore, escluso e privato di ogni spazio per esprimersi, realizza faticosamente e dolorosamente che la letteratura esiste o non esiste. La sua, a dispetto del regime, esisteva», prosegue Tonino De Pace, presidente del circolo del cinema Cesare Zavattini di Reggio Calabria.

L’esilio e il riscatto postumo

Con Dovlatov siamo nella Russa sovietica degli anni Settanta. Qui lui è alla ricerca di un posto negato nella società russa e quindi nel mondo. Sergej Donatovič Dovlatov (interpretato da Milan Maric) incarna l’uomo libero che in una società piatta dubita anche di esistere, percependo la sua dimensione esistenziale come un completo fallimento. Gli editori sono censori ed espressione di un regime in cui gli autori per avere successo ed essere pubblicati devono avere un’unica voce.

Così in sei lunghi giorni, con piani sequenze sempre molto stretti e pieni di personaggi, Aleksej German jr. descrive la vita di un homo sovieticus diverso da quello della propaganda. Un uomo diverso da quello che la letteratura del regime voleva creare. Dunque egli e ciò che scrive “esistono” nella esatta misura in cui non esistono per il regime.

Sergej Donatovič Dovlatov (1941 – 1990) fu un giornalista e scrittore sovietico che conobbe solo in esilio l’esperienza della pubblicazione alla luce del sole. Pubblicò dodici libri negli Usa e in Europa da emigrato. In Unione Sovietica solo copie clandestine, i cosiddetti samizdat. Dopo la sua morte e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, numerose raccolte di storie brevi vennero pubblicate in Russia. Divenne uno dei più amati scrittori russi della seconda metà del ventesimo secolo. Ma lui non seppe mai di poter essere amato anche in patria.

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