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Berlusconi e il filo rosso con Reggio Calabria, tra processi e pentiti un legame mai sciolto

Dal processo Breakfast e i rapporti con Matacena ai pentiti che in ‘Ndrangheta Stragista hanno tirato in ballo più volte l’ex premier nel disegno della trattativa Stato-Mafia

Berlusconi e il filo rosso con Reggio Calabria, tra processi e pentiti un legame mai sciolto

È un filo rosso lungo quello che collega da anni l’ex premier Silvio Berlusconi a Reggio Calabria. Un legame divenuto una matassa difficile da sciogliere. Una ricostruzione fatta di inchieste giudiziarie, aule di tribunali e pentiti.
Il leader di Forza Italia, scomparso oggi all’età di 86 anni, ha iniziato la scalata politica in periodi delicati per il Sud e per Reggio Calabria in particolare. Anni di cambiamento e strategie politiche finite solo successivamente sotto la lente della magistratura che ha cercato, con non poca fatica, di ricostruire quei rapporti deviati tra Stato e mafia che hanno portato alla stagione delle stragi.

La testimonianza di Berlusconi al processo Breakfast


In realtà, Berlusconi è stato più volte chiamato a testimoniare come teste in riva allo Stretto nel processo a carico dell’ex ministro Claudio Scajola accusato di avere favorito la latitanza dell’ex deputato di FI, Amedeo Matacena, latitante a Dubai dopo una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa e deceduto nello scorso mese di settembre.

«Non sono a conoscenza dei rapporti tra Matacena e Scajola o tra lui e Dell’Utri», disse in quell’occasione Berlusconi rispondendo alle domande dei legali e del pm Giuseppe Lombardo.
«Claudio Scajola nel 2001 era il coordinatore nazionale di Forza Italia. E’ persona di grandi capacità. C’era stima, fiducia e un rapporto concreto su fatti concretissimi. Scajola – proseguì Berlusconi – ha avuto vicende giudiziarie dalle quali è uscito da innocente ma che hanno pesato sulla sua immagine. Lui stesso si è voluto ritirare anche dal nostro partito e non ho avuto più nessun incontro personale, solo una telefonata all’anno per gli auguri».

Il fatti

A chiedere la deposizione di Berlusconi era stato l’avvocato Bonaventura Candido, legale di Chiara Rizzo, moglie di Matacena, coimputata con Scajola. Il legale aveva presentato il nome di Berlusconi ipotizzando che la Procura volesse approfondire l’eventuale coinvolgimento della politica nell’organizzazione di trasferimenti di personaggi importanti in Libano e il perché della mancata candidatura di Matacena nel 2001.

Su quest’ultimo aspetto, Scajola, quando è stato interrogato, ha detto che fu anche una sua responsabilità politica aggiungendo che Matacena aveva fatto pressioni sull’avvocato Alfredo Biondi, suo difensore, per convincere Berlusconi a ricandidarlo ma che il leader di Forza Italia gli aveva risposto che delle candidature si occupava proprio Scajola in quanto coordinatore nazionale di Forza Italia.
Con l’andare avanti del processo, Candido aveva poi deciso di rinunciare alla deposizione di Berlusconi, ritenendo i temi già esauditi. Alla rinuncia si è però opposto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che ha coordinato l’inchiesta ed è pubblico ministero nel processo.

Processo ‘Ndrangheta Stragista


E il collegamento con Reggio Calabria si è ulteriormente stretto nell’ambito nel processo ‘Ndrangheta Stragista. È stato un lungo susseguirsi di racconti, testimonianze e ricostruzioni che hanno più volte visto i pentiti tirare in ballo l’ex premier e i presunti rapporti con ‘ndrangheta.

Pentiti a parte, fu innanzitutto il boss Giuseppe Graviano, condannato sia un primo grado che in Appello nel processo ‘Ndrangheta stragista, a ribadire più volte di incontrato, da latitante, Silvio Berlusconi «almeno tre volte».

Anche Gaspare Spatuzza, grande accusatore di Graviano, raccontò ai giudici di aver saputo proprio dal boss di Cosa Nostra del nome di Berlusconi e del nuovo progetto politico che sarebbe stato abbracciato dalla mafia e che avrebbe visto protagonista Forza Italia, con un riferimento diretto al loro “compaesano Dell’Utri”. Grazie a questo, disse Spatuzza, avrebbero avuto “il paese nelle mani”.

Il pentito Bruzzese

Fu anche il collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese davanti alla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria a raccontare che «l’espansione degli interessi della ‘Ndrangheta in tutta la Calabria dovevano avere una garanzia politica, contestualizzata da Silvio Berlusconi, che aveva amicizia con Peppe Piromalli e che aveva interessi ad ampliare accadimenti successivi. Berlusconi garantiva per il pacchetto di voti di Craxi. Lui era amico di Craxi.

E’ lì che c’è il cambiamento di prospettiva perché la Dc aveva iniziato il suo declino e la ‘Ndrangheta aveva la necessità di una referenza politica». Bruzzese avrebbe appreso di questo progetto politico dal padre, Domenico Bruzzese (da cui raccolse l’eredità di riferimento nel contatto con le altre famiglie all’età di diciotto anni, ndr), e da Teodoro Crea.

L’intercettazione di Pittelli

«Berlusconi è fottuto… Berlusconi è fottuto…»: così parlava Giancarlo Pittelli, avvocato ed ex parlamentare tra i principali imputati della maxi inchiesta Rinascita Scott. L’intercettazione acquisita anche nel processo ‘Ndrangheta stragista analizzata dal pm Giuseppe Lombardo davanti alla Corte d’Assise d’Appello. «Sto leggendo questa storia della trattativa Stato-mafia… Berlusconi è fottuto» – ripeteva l’ex parlamentare più volte al suo interlocutore. «Però dell’Utri… la prima persona che contattò per la formazione di Forza Italia fu Piromalli a Gioia Tauro. Non so se ci ragioniamo. . . » – diceva ancora Pittelli.

Il verbale

Ed è lunga la lista di racconti entrati nella storia con la sentenza del processo ‘Ndrangheta Stragista che ha ricostruito quel periodo buio dove la strategia del terrore cambiò per sempre l’intero paese. Quella trattativa spiegata passo passo in ore e giorni di arringhe e requisitorie. In quelle carte rientra anche un’informativa della Dia sulle dichiarazioni dei tre collaboratori sui rapporti tra ‘ndrangheta, Cosa nostra ed esponenti politici. Si tratta di Gerardo D’Urzo, Marcello Fondacaro e Girolamo Bruzzese.

In particolare, in un verbale di dichiarazioni spontanee rese alla polizia penitenziaria di Alessandria, il defunto collaboratore di giustizia Gerardo D’Urzo, ha affermato: «Una persona mi disse di un certo Valensise con altra persona della ‘ndrangheta della jonica di essersi recati a Roma e di aver avuto un colloquio a Palazzo Grazioli con l’onorevole Silvio Berlusconi e questi gli disse al Valensise che quello che aveva promesso lo manteneva e dovevano stare tranquilli».

Il summit sulla Piana

Il collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese, invece, in un verbale del 10 marzo 2021, ha fatto i nomi di Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. In particolare, ha descritto un episodio a cui avrebbe «assistito personalmente nel 1978-1979, poco dopo l’omicidio di Aldo Moro». A quella riunione avrebbero partecipato i vertici della ‘ndrangheta reggina e in particolare della Piana di Gioia Tauro.

«Mentre ero lì – sostiene Girolamo Bruzzese – vidi giungere nell’agrumeto Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, che ho riconosciuto per averli già visti in televisione. Al loro arrivo, mio padre mi fece allontanare su richiesta di Peppe Piromalli, facendomi accompagnare a casa da un suo uomo di fiducia». Anni dopo, il padre di Bruzzese gli avrebbe spiegato «che Craxi e Berlusconi si erano recati al summit perché Craxi voleva lanciare politicamente Berlusconi e quindi per concordare un appoggio anche da parte delle cosche interessate alla spartizione dei soldi che lo Stato avrebbe riversato nel Mezzogiorno».

Berlusconi e «la tessera della P2»

Trame rimaste oscure per anni su cui Lombardo ha puntato i riflettori evidenziando alla Corte come «in questo processo non esistono coincidenze, sono prove. E la giurisprudenza ci dice che gli articoli di giornale non sono carta straccia ma se contestualizzate possono essere prove. E noi abbiamo un articolo mai smentito che ci dice che Berlusconi era tesserato alla P2».

Ingroia e l’attentato a Costanzo

A fine processo era stato l’avvocato di parte civile ed ex pm di Palermo Antonio Ingroia a ribadire che con l’attentato a Maurizio Costanzo si cercavano tre punti: «In primis l’eliminazione del giornalista attivo che per primo portò in televisione personaggi dello Stato. Il secondo punto è eversivo. Doveva essere destabilizzante perchè si tratta di un personaggio popolarissimo. Terzo è un messaggio a Silvio Berlusconi. Lui era un uomo vicino a Berlusconi. Lì inizia un percorso per convincere Berlusconi che poteva diventare l’uomo che gestiva quel patto. Questo è emerso già da altri processi.
Maurizio Costanzo era contrario che Berlusconi scendesse in campo, mentre erano favorevoli Dell’Utri e Previti».

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