A Reggio i muri raccontano la storia: scritte anarchiche richiamano i caldi anni Settanta – FOTO

Hanno denunciato le angherie dei potenti e le ingiustizie sociali. Ma hanno anche declamato principi per alimentare e consolidare il consenso delle masse. Nelle varie epoche i muri della città hanno sempre parlato. Hanno dato voce ai regimi ma anche ad ideali fervidi che hanno conquistato in strada la ribalta altrove negata.

Scrivere sui muri è un atto invasivo di uno spazio comune. Un gesto impositivo nei confronti della collettività, da sempre segno dei tempi che lo animano, siano parole, simboli o disegni ad essere tracciati. Nelle pieghe del tempo, i destini di quelle scritte possono essere diversi.

La storia di una Città e di un’epoca

Così a un tratto, del tutto casualmente, queste scritte possono ritrovare la luce, dopo essere state coperte, e forse anche protette, da centimetri di manifesti apposti in decenni e poi rimossi. Quando riemergono dal passato, esse stesse assumono un valore storico, nutrito dall’atto di forte protesta e viva contestazione a suo tempo compiuto.

Esse raccontano la storia di una Città. Ma mai la storia di una città è avulsa da un’epoca. Meno che mai lo è la storia di Reggio Calabria negli anni Settanta quando l’anima anarchica era palpitante e scomoda, animava il circolo della Baracca frequentato da tanti giovani tra i quali Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Anneliese Borth che, con Luigi Lo Celso di Cosenza, persero la vita in un incidente rimasto avvolto nel mistero, durante il viaggio verso Roma, la sera del 26 settembre proprio del 1970. Poco più di due mesi dopo i Moti di Reggio e il deragliamento del treno a Gioia Tauro.

Le scritte perdute, quella cancellate, quelle sopravvissute

Un frangente caldo in cui anche a Reggio Calabria gli anarchici, giovani arditi e liberi e arguti pensatori non ebbero vita facile. I muri della città furono luoghi per manifestare il proprio pensiero libero, il proprio dissenso. Molte tracce esposte alle intemperie, e poi anche soggette a sovrascrizioni, sono ormai andate perdute o difficili da riconoscere e scandire. Ma altre no.

«Ci passavo spesso davanti e mi chiedevo cosa ci fosse scritto prima che qualcuno, con vernice bianca, coperto quelle parole. Un pensiero ricorrente, un nodo mai sciolto che, del tutto casualmente, solo qualche giorno fa per una serie di congiunture, è stato sciolto», racconta Fabio Cuzzola, scrittore, storico e docente reggino.

Angelo Casile e “Reggio Libera”

«Quella foto mi ha acceso una lampadina. Lo scatto ferma esattamente la scritta oggi cancellata che in questi anni mi interrogava. Scritta con la vernice bianca, con la grafia di bambini, per evitare che fosse riconducibile ad alcuno, ma con accanto il simbolo dell’anarchia. Credo che quella sia stata scritta dal giovane Angelo Casile proprio in via San Pietro, nel quartiere Ferrovieri Pescatori dove era nato e cresciuto. Una traccia davvero preziosa e da “raccontare”», spiega ancora Fabio Cuzzola.

«In occasione del cinquantatreesimo anniversario della loro morte, l’amico e scrittore Vins Gallico sui social aveva ricordato i cinque giovani anarchici calabresi morti in un “incidente troppo misterioso“. Tra le risposte al suo tweet anche la foto dell’agenzia fotografica Getty Images scattata proprio a Reggio Calabria nel rione Ferrovieri tempo fa, con il commento di appezzamento di Carlo Lucarelli riferito al mio libro “I cinque anarchici del Sud”.

Ma le tracce non si fermano qui. Dalla zona sud arriviamo alla zona nord della città di Reggio Calabria.

“Labate e Campanella” e “Piombo col Piombo”

Su via Torrione, nel tratto compreso tra via Rosselli e via Willermin, campeggiano delle scritte straordinariamente nitide che inveiscono contro Santillo, all’epoca dei moti questore di Reggio Calabria, e contro la polizia che perseguitava gli anarchici in tutto lo stivale, specie in quell’anno seguito alla strage di piazza Fontana.

Scritte che ricordano le prime vittime dei moti di Reggio, il ferroviere Bruno Labate e l’autista Angelo Campanella.

Scritte che richiamano il “piombo col piombo” e che invocano la lotta continua dei lavoratori prevaricati e sfruttati. C’è tutto il fermento delle lotte per la giustizia sociale che furono condotte. C’è poi la firma inequivocabile degli anarchici con la A cerchiata, ossia la lettera A dentro la lettera O, dunque Anarchia come viatico per perseguire l’Ordine.

«Anche in questo caso l’utilizzo della vernice, visto che lo spray è successivo agli anni Settanta, unitamente ai contenuti e al simbolo anarchico ancora una volta presente, lascia presumere che si tratti di scritte con oltre 50 anni di vita. Tracce di un periodo storico importante, che come tali andrebbero preservate», prosegue lo scrittore e docente Fabio Cuzzola.

Insomma sarebbe il caso di approfondire. Eventualmente il Comune dovrebbe attuare interventi di tutela e valorizzazione di questo manifesto storico che circostanze fortuite, nel fluire del tempo, hanno lasciato in vita. È necessario spiegare e raccontare.

Spazi urbani custodi di storia

Non è affatto un caso se da qualche decennio esiste la street art, forma di arte che si è fatta strada nei contesti urbani, divenendo veicolo di forte denuncia sociale oltre che strumento di riqualificazione, valorizzazione estetica e cura degli spazi, pure come antidoto al degrado.

Con tanto di regolamenti di cui i Comuni, compreso quello di Reggio Calabria, si sono muniti per disciplinarne le modalità, essa costituisce un mezzo di espressione potente, capace di attraversare il tempo. Come hanno fatto queste scritte, la cui arte va riconosciuta nella storia che a distanza di oltre 50 anni custodiscono e ancora raccontano.

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