Reggio, Antonella Aricò: «Mio fratello Gianni e gli anarchici della Baracca, giovani pronti a lottare per i loro ideali»
Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Anneliese Borth e Luigi Lo Celso viaggiavano verso Roma la sera del 26 settembre 1970 in cui avvenne l'impatto mortale contro un camion. Un "incidente misterioso"

«Desidero che resti intatta la consapevolezza degli ideali che animavano con forza mio fratello Gianni, la moglie Anneliese, l’amico Angelo, i giovani Franco e Luigi. Ciò nonostante, tutto il dolore che quella notte ha portato nella vita della mia famiglia e in quella degli altri ragazzi, generando altro dolore e solitudine.
Sono stati giovani immersi nel loro tempo. Un tempo difficile e complesso in cui Reggio Calabria era tutt’altro che marginale nelle geografie di un paese pronto per la sua dura stagione terroristica». Tiene molto a salvaguardare questa memoria Antonella Aricò, sorella di Gianni, uno dei cinque anarchici della Baracca di Reggio Calabria, non sopravvissuti all’impatto mortale tra un’auto e un camion con rimorchio, sulla Napoli-Roma il 26 settembre 1970.
Un “incidente misterioso”
Angelo Casile, 20 anni, Franco Scordo, 18 anni, Gianni Aricò, 22 anni, la moglie tedesca neppure diciottenne Anneliese Borth, e il cosentino Luigi Lo Celso, 26 anni. Ecco i cinque anarchici della Baracca, morti in un impatto violento, velocemente archiviato come incidente stradale e che tuttavia ha lasciato molti interrogativi senza risposte. Risposte che dopo oltre cinquant’anni difficilmente potranno essere ormai trovate.
Andavano a Roma, dopo essere partiti da Vibo, dove Gianni, AnneLiese, Angelo e Franco erano arrivati da Reggio. Lì si era unito Luigi per questo viaggio nella Capitale.
L’episodio ancora rivendica, a distanza di oltre 50 anni, la dignità di fatto storico tutt’altro che minore, di fatto che avrebbe meritato indagini più approfondite. Ad oggi molti sono i vuoti, numerosi i dubbi rimasti da chiarire. Quei documenti che avrebbero dovuto consegnare c’erano e sono stati sottratti? Da chi? Molte le perplessità, fortemente stridenti con la conclusione alla quale frettolosamente si pervenne dell’incidente stradale e potenziali varchi per ipotesi diverse. Non da escludere quella di un agguato mortale.
Insieme nella vita, nella morte e nella memoria
«Gianni prima di partire aveva detto a mia madre di conoscere informazioni che avrebbero fatto tremare l’Italia. Poi il silenzio. Per quanto Gianni fosse il mio adorato fratello e per quanto quella sera la mia vita familiare sia stata completamente distrutta, sento profondamente di voler ricordare Gianni con la moglie AnneLiese, la sorella che avevo avuto in dono da adulta, e con tutti gli altri. Insieme, così come dovrebbero viaggiare nella memoria collettiva e soprattutto in quella delle giovani generazioni». Lo sottolinea Antonella Aricò.
1970
Erano gli caldi anni che preparavano il cruciale 1970, l’anno del deragliamento del treno a Gioia Tauro ancora senza mandanti, dei Moti di Reggio e del fallito Golpe Borghese. Tutti loro credevano che fosse necessario un cambiamento da perseguire innanzitutto svelando le trame oscure di un Paese che con la strage di piazza Fontana già entrava nei suoi terribili anni di piombo.
Frequentavano la Baracca (come veniva denominato il loro luogo di ritrovo a Reggio Calabria negli anni Sessanta, nell’attuale zona del cineteatro Odeon). Erano tutti giovani, anarchici, appassionati e convinti promotori di un cambiamento volto a realizzare condizioni di giustizia sociale e a ristabilire la verità. Arguti animatori di una controinformazione, documentale e fotografica, su quanto stava avvenendo nel Reggino ed in Calabria in quegli anni e in quei mesi così caldi. Una lungimiranza nata dallo studio e dall’osservazione attenta della realtà che potrebbe averli resi scomodi.
Cosa sapevano? Avevano prove dell’attentato dinamitardo di matrice nera a Gioia Tauro? Quelle delle connessioni tra la Strategia della Tensione e la destra eversiva? Quelle del Golpe Borghese in preparazione per il dicembre di quello stesso anno? La loro morte ancora interroga coloro che cercano la verità.
Dopo piazza Fontana
«Ricordo che mio fratello era molto pensieroso negli ultimi tempi. Specie dopo l’esperienza dell’interrogatorio per i fatti di piazza Fontana. Era a Roma ed era stato fermato dalla polizia in quanto anarchico. Lui era molto protettivo nei miei confronti. Non mi avrebbe mai caricata dei “suoi segreti” ma certamente aveva dei pensieri che pesavano.
Avevo 17 anni quando l’ho perso. Dopo 50 anni di silenzio solo da qualche anno a questa parte ho iniziato a parlarne. A parlare di un fratello che sento sempre vicino a me, anche se so che non conoscevo tutto di lui. Non importa. Lo amavo e lo amo ancora profondamente», racconta ancora Antonella Aricò.
Dal troppo dolore, una memoria luminosa
«Sembra paradossale ma mi sento di nuovo più vicina a lui adesso che ho scelto di abbattere il muro di silenzio che avevo eretto per proteggermi dal troppo dolore. Solo pochi mesi dopo la sua morte, anche mio padre fu stroncato da un infarto. Non fu solo la mia famiglia ad essere violentemente attraversata dal dolore dopo quel 26 settembre. Nonostante tutto, però, spero che resti una memoria luminosa di cinque giovani pronti a lottare per i loro ideali. Cinque giovani coraggiosi e limpidi con i loro vent’anni per sempre», conclude Antonella Aricò.
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