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22 luglio 1970, a Gioia Tauro il deragliamento del Treno del Sole nell’Italia della Strategia della Tensione

Pochi mesi dopo la strage di piazza Fontana a Milano, anche in Calabria fu teatro di un attacco eversivo alla Repubblica. Sei persone morirono e settantasette rimasero ferite. Condannati gli esecutori dopo trent'anni, quando erano già deceduti. Rimasti ignoti i mandanti.

22 luglio 1970,  a Gioia Tauro il deragliamento del Treno del Sole nell’Italia della Strategia della Tensione

Circa duecento persone in viaggio da Palermo a Torino in quel 22 luglio 1970. Dieci minuti dopo le diciassette la violenza di un deragliamento destabilizza le carrozze del treno direttissimo, il Treno del Sole, che sui binari collega l’Italia. Siamo sulla linea ferroviaria di Battipaglia – Reggio Calabria, soprastante le ferrovie Calabro-Lucane e la stazione di Gioia Tauro. Sei persone muoiono e settantasette rimangono ferite, molte delle quali subito ricoverate negli ospedali civili di Palmi e Taurianova. Andrea Gangemi, Adrianna Vassallo, Rosa Fassari, Rita Cacicia, Letizia Palumbo, Nicolina Mazzocchio. I loro nomi sono riportati sul primo rapporto giudiziario redatto il 28 luglio del 1970 dal commissariato di Pubblica Sicurezza di Reggio Calabria, relativo alle indagini svolte subito dopo il deragliamento. Si tratta del primo dei quattro documenti consegnati nel novembre del 2014 all’allora direttrice dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria, Mirella Marra, dal questore aggiunto Mario Lucisano in osservanza alla richiesta di invio di documentazione inoltrata del dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno (prot.225/CRC/2014/7178/U) avente ad oggetto il riferimento alla direttiva del presidente del Consiglio dei Ministri relativa alla declassificazione e al versamento degli atti relativi alla strage di Gioia Tauro del 22 luglio del 1970.

La desecretazione

Un atto compiuto nella cornice delle decisione assunta nel 2014 del governo Renzi di rimuovere il segreto di Stato. Una desecretazione, Totale disclosure, che tuttavia non ha prodotto il risultato sperato di accrescere il livello di conoscenza su quanto avvenuto a Milano (Piazza Fontana 12 dicembre 1969, questura 17 maggio 1973), Gioia Tauro (stazione 22 luglio 1970), Peteano di Sagrado in provincia di Gorizia (31 maggio 1972), Brescia (Piazza della Loggia 28 maggio 1974), Bologna (stazione 2 agosto 1980, San Benedetto Val di Sambro, Grande galleria dell’Appennino attentati dinamitardi ai treno Rapido 904 il 23 dicembre 1984, e all’Italicus la notte tra il 3 e il 4 agosto 1974).

Le indagini e i processi

La prima indagine giudiziaria sul deragliamento di Gioia Tauro concluse che si trattò di un cedimento strutturale, per un difetto tecnico nel materiale rotabile. Le successive perizie esclusero le ipotesi di errore o di guasto, ma non quelle di impiego di esplosivo che, deflagrato all’aperto, avrebbe potuto non lasciare traccia nelle immediate vicinanze. Nessuna negligenza, dunque, ma neanche prove certe che si fosse o non si fosse trattato di un attentato dinamitardo. Caso chiuso ma mai chiarito. Un mistero o forse un segreto. Un incidente o una strage?

Quel deragliamento tornò alla ribalta nel febbraio del 1993 quando rientrò nell’inchiesta giudiziaria che il Gip del tribunale di Milano, Guido Salvini, stava conducendo sulle stragi degli anni Settanta e sul coinvolgimento dell’estrema destra eversiva nella Strategia della Tensione. Strategia che lo stesso giudice Salvini ha definito «guerra civile a bassa intensità condotta tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta con trecento morti, tutti cittadini innocenti, centinaia di feriti e decine di stragi mancate». Non un manipolo di fanatici, dunque, ma gruppi strutturati e sostenuti da Servizi di Sicurezza italiani e stranieri. In quella occasione alcune testimonianze raccontarono di un attentato dinamitardo eseguito a Gioia Tauro da gruppi vicini a chi stava fomentando in quel momento i moti a Reggio Calabria.

Negli anni Novanta, proprio a Reggio Calabria, era in corso anche il processo Olimpia I contro decine di affiliati alla Ndrangheta. I pubblici ministeri erano Giuseppe Verzera, Ettore Squillace Greco e Salvatore Boemi, che dal 1993 al 2001 fu a capo della Direzione Distrettuale Antimafia. In quella sede, le dichiarazioni di due pentiti, Giacomo Ubaldo Lauro e Carmine Dominici, uomo di punta di Avanguardia Nazionale e uomo di fiducia di Felice Genoese Zerbi, dirigente della stessa organizzazione fascista, gettarono luce sui legami all’epoca nascenti tra la criminalità organizzata e l’eversione nera, imponendo la riapertura del caso sul deragliamento di Gioia Tauro. Una riapertura che lasciò, però, ancora una volta domande senza risposta, specie su quel livello superiore rispetto al quale in questo Paese continua a regnare l’impunità.

Mandanti ignoti

Una bomba sui binari fornita dalla ndrangheta ma finanziata, posizionata e fatta esplodere da gruppi neofascisti. Perché? Perché in quel momento? Chi erano i mandanti?

Solo nel 2001 la Corte di assise di Palmi stigmatizzò l’insufficienza della indagini condotte nei venti anni precedenti. Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella vennero condannati come esecutori della strage compiuta con esplosivo ma erano già tutti deceduti. Da fare le indagini per mandanti e finanziatori. Mai eseguite. Nel marzo del 2003 fu confermata la sentenza dalla corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria.

I ricordo del presidente Mattarella nel 2020

Per la prima volta, nel cinquantesimo anniversario di questa strage, lo scorso anno, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto ricordare le vittime stigmatizzando, in un passaggio cruciale e storico, la connessione dell’evento tragico con i fatti di Reggio Calabria. «(…) I colpevoli dell’attentato rimasero per lunghi anni sconosciuti ma, seppure con ritardo, il percorso della giustizia è riuscito a raggiungere un traguardo di verità, svelando gli esecutori, la loro connessione con frange estremiste neofasciste che tentavano di strumentalizzare e condizionare le proteste di Reggio Calabria, e svelando anche il legame con organizzazioni criminali radicate nel territorio. La strage di Gioia Tauro seguì di pochi mesi quella di piazza Fontana a Milano. La strategia della tensione e l’attacco eversivo alla Repubblica si stavano dispiegando, lasciando una scia di sangue che mai potrà essere cancellata o dimenticata (…)».

Intreccio di misteri e segreti

Ignoti rimangono ancora oggi i mandanti di quel deragliamento e dubbi e perplessità sussistono anche su un altro evento drammatico, successivo di soli due mesi e frettolosamente archiviato come incidente stradale. Si tratta dell’impatto mortale tra un’auto e un autotreno con rimorchio, sulla Napoli-Roma in cui, il 26 settembre 1970, morirono gli anarchici reggini Angelo Casile, 20 anni, Franco Scordo, 18 anni, Gianni Aricò, 22 anni, la moglie tedesca neppure diciottenne Anneliese Borth, e il cosentino Luigi Lo Celso, 26 anni.

Frequentavano la Baracca (come veniva denominato il loro luogo di ritrovo a Reggio Calabria negli anni Sessanta, nell’attuale zona del cineteatro Odeon), ed erano tutti giovani, tutti anarchici, tutti appassionati e convinti promotori di un cambiamento volto a realizzare condizioni di giustizia sociale e a ristabilire la verità, tutti arguti animatori di una controinformazione, documentale e fotografica, su quanto stava avvenendo nel Reggino ed in Calabria in quegli anni e in quei mesi così caldi. Una lungimiranza nata dallo studio e dall’osservazione attenta della realtà che potrebbe averli resi scomodi. La loro morte ancora interroga coloro che cercano la verità.

I moti di Reggio e la storia d’Italia

A Reggio, capoluogo di provincia, in quel frangente storico bruciava la sconfitta per il capoluogo di Regione assicurato a Catanzaro. Solo una settimana prima dell’attentato a Gioia Tauro, i fatti di Reggio, la protesta guidata dal sindaco democristiano Pietro Battaglia e poi scontri, barricate, rabbia, repressione violenta, vittime in una città assediata. Un contesto che ebbe non pochi riflessi sui tentativi di ricostruire la vicenda di Gioia Tauro di cui restano ignoti i mandanti e sulla quale resta fitta l’ombra dell’eversione neofascista. L’attentato al Treno del Sole allora si collocava poco prima della costituzione del Comitato d’Azione per Reggio capoluogo guidato dal dirigente missino Ciccio Franco e quasi cinque mesi prima della data in cui era stato programmato, salvo poi essere improvvisamente annullato, il colpo di Stato in Italia, noto come Golpe Borghese.

Trama complessa e variegata che non può prescindere dall’ordito tanto per compiersi tanto per essere compresa. Una Storia frammentata da depistaggi, deviazioni e sviamenti, occultamenti e sottrazioni di documenti e prove, da verità negate, volti cancellati, voci silenziate, da un passato con cui pare impossibile fare apertamente i conti. Eppure non c’è altra strada che questa. Lo stesso presidente della Repubblica Mattarella, nel ricordare lo scorso anno le vittime della strage di Gioia Tauro, per la prima volta soltanto a mezzo secolo di distanza, ha sottolineato che «Fare memoria, anche delle pagine più dolorose della nostra storia, è opera preziosa di civiltà e richiama tutti a un gravoso e irrinunciabile esercizio di responsabilità».

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