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Guerra a Gaza, Golotta: «Israele difende la democrazia dalla barbarie»

La presidente dell'associazione di Amicizia Italia Israele di Reggio Calabria commenta il conflitto in Medioriente e la drammatica coincidenza con la memoria della shoah a 80 dal rastrellamento del ghetto di Roma. Le parole profetiche dello scrittore bovalinese Mario La Cava, nel 1973

Guerra a Gaza, Golotta: «Israele difende la democrazia dalla barbarie»

«Con Israele senza se e senza ma. Non siamo di fronte a una guerra tra due stati regolari ma a un’aggressione, a un massacro di neonati. Siamo dinnanzi a un attacco violento da parte di un’organizzazione terroristica, dunque uno stato non riconosciuto a livello internazionale, ai danni dell’unico avamposto democratico in Medioriente.

Israele oggi rappresenta un presidio valoriale da difendere dalla barbarie. La sua reazione è in realtà l’esercizio legittimo del diritto di difesa della democrazia. Deve essere, dunque, chiaro che parlare di pace oggi equivarrebbe a schierarsi a favore di una trattativa con i terroristi in mano ai quali si trova oggi la striscia di Gaza. Nello statuto di Hamas è scritto a chiare lettere il fine di distruggere lo stato di Israele, di eliminarlo dalla carta geografica». Così Anna Golotta, presidente dell’associazione di amicizia Italia – Israele di Reggio, una delle quaranta presenti in tutto lo Stivale e, con quella di Cosenza, una delle due presenti in Calabria, commenta quanto sta avvenendo in Medioriente.

Gli ebrei e la Calabria

L’associazione è attiva da oltre trent’anni a Reggio, città che con la sua Giudecca e il primo prezioso commentario al Pentateuco di Rashi stampato con data certa nel 1475 ad opera di Avraham Ben Garton Ben Yishaq, ha una sua storia legata alla presenza ebraica. In Calabria, inoltre, era stato allocato il più grande campo di internamento italiano, su disposizione del regime fascista. A Ferramonti di Tarsia, nel cosentino, era entrato in funzione nel giugno del 1940, liberato dagli Alleati, il 14 settembre 1943 fu l’ultimo ad essere chiuso l’11 dicembre 1945. Risuona ancora la storia di umanità del comandante del campo, il reggino Gaetano Marrari, che seppe proteggere quel campo dall’orrore e dalla morte che dilagavano in Europa.

La storia di ieri e di oggi

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la liberazione dei campi da parte dell’Armata Rossa e degli Alleati, il falcidiato popolo ebraico fu destinato alla terra tanto santa quanto travagliata in Medioriente. Era il 1948.

Un destino tormentato fu, soprattutto, quello della Striscia di Gaza. Dalla risoluzione Onu del 1948, passando per la Guerra dei sei giorni nel giugno del 1967 fino agli accordi di Oslo del 1994. Sulla striscia di Gaza oggi si consuma un nuovo conflitto esploso lo scorso 7 ottobre quando Hamas ha sferrato il suo attacco a Israele. Un attacco che preparava da due anni. Un orrore perpetrato da Hamas che si è accanito addirittura contro neonati e bambini nel kibbutz di Kfar Aza, sprofondando nell’abisso dell’inenarrabile. Ma, invece, bisogna narrarlo e avere il coraggio di confrontarsi, ancora oggi, con questo nuovo orrore.

«A Gaza, i suoi due milioni di abitanti arabi non sono amministrati da un governo politico ma sono in mano ad un’organizzazione terroristica riconosciuta come tale dalla comunità internazionale. Questo è Hamas che li indottrina al martirio e si fa scudo dei civili per i quali Israele ha organizzato dei corridoi umanitari verso la zona sud della città, non coinvolta nel conflitto. È bene sottolineare che l’Autorità nazionale palestinese che governa regolarmente in Cisgiordania non ha alcun legame con Hamas e con Gaza. In questo conflitto, dal punto vista geopolitico, essa non è in alcun modo coinvolta. La guerra sta riguardando Gaza e la sua zona nord, al confine con il Libano da dove cercano di penetrare gli Hezbollah», spiega Anna Golotta.

Sul filo di un conflitto che potrebbe estendersi

Mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu promette apertamente il pugno di ferro contro le milizie di Hamas, il Consiglio dell’Unione Europea riconosce a Israele il diritto di difesa pur invocando la linea di diritto, condannando fermamente il terrorismo e inviando aiuti umanitari a Gaza, l’Iran minaccia di non rimanere ad osservare. Anche la Cina ha parlato di sostegno alla causa palestinese. L’estensione del conflitto resta un’ipotesi da non escludere, purtroppo.

Il dramma

Raid aerei e un assedio perpetrato con la privazione di acqua, gas e luce a Gaza da parte di Israele che resta ancora cauta ma pronta ad agire anche via terra. Nessuna pace all’orizzonte ma solo un’escalation di violenza e combattimenti che non stanno risparmiando civili. Il numero degli ostaggi e delle vittime è in aumento da entrambe le parti. Oltre 1300 vittime israeliane, di cui 40 neonati, e oltre 3mila i feriti. Oltre 2600 le vittime dell’assedio e dei bombardamenti su Gaza, quindi gli arabi palestinesi, e quasi 10mila i feriti. Sono un migliaio i dispersi, centinaia di migliaia di sfollati e circa 600mila gli arabi palestinesi che, attraverso i corridoi umanitari, si sono spostati a sud della città di Gaza.

Un conflitto mai sopito

Ennesima pagina di sangue in una terra travagliata come la lingua di terra bagnata dal mar Mediterraneo al confine con Egitto e Israele. Quest’ultimo Stato fu istituito con la risoluzione numero 181 approvata a maggioranza dall’assemblea generale dell’Onu il 29 novembre 1947. Essa ha disposto la spartizione della regione della Palestina, dalla fine della Prima Guerra mondiale sotto mandato britannico, in uno ebraico, Israele, e uno arabo. Il 14 maggio del 1948 Ben Gurion, prima persona ad aver ricoperto l’incarico di primo ministro israeliano, lesse la Dichiarazione d’indipendenza, proclamando la nascita dello Stato di Israele. Ma non fu mai pace duratura.

Neppure la conferenza di Annapolis, nel 2007, con la soluzione dei due Stati e dei due Popoli, arabo palestinese ed ebraico israeliano, fu evidentemente risolutiva del conflitto.

Nessuna sottrazione di sovranità

«Per capire le origini di questo conflitto – spiega Anna Golotta – è necessario mettere in discussione un presupposto storico e giuridico errato secondo il quale nel 1948 lo stato di Israele fu creato su un territorio dove già insisteva lo stato della Palestina. In realtà la Palestina era un’entità araba ma non uno stato sovrano vero e proprio. Dunque, nulla è stato mai usurpato ad alcuno da Israele che è oggi un paese democratico, un prezioso avamposto valoriale in Medioriente. Uno stato di diritto che garantisce il pluralismo religioso e i diritti fondamentali di tutte le comunità, compresa quella Lgbt. In Israele vivono in pace anche arabi perfettamente integrati.

Insomma, questo è proprio il punto: qualunque atto posto in essere da Israele in questo frangente di guerra è una strenua difesa dei diritti e della democrazia dalla barbarie e dal terrorismo di Hamas che va combattuto. Attacchi annunciati su obiettivi non civili, dunque nel rispetto delle norme internazionali e senza travalicare lo stato di diritto. Chiesta sempre evacuazione prima di colpire per proteggere i civili», spiega ancora Anna Golotta.

Da che parte stare

Accanita lettrice di Oriana Fallaci, di cui ha condiviso la visione sionista e occidentalista, dopo i fatti dell’11 settembre 2001 e l’uccisione per mano dei terroristi del giornalista ebreo statunitense, Daniel Pearl, Anna Golotta matura la sua scelta di impegnarsi per la democrazia minacciata dai fondamentalismi.

«Mio padre, Giovanni, mi mostrò una foto dell’esecuzione di Daniel Pearl. “Anche se cruda – mi disse – devi capire dove sta il mondo libero e dove la barbarie. Io frequentavo il liceo e mi fu subito chiaro da che parte stare. Ciò mi spinse ad assumere un impegno di promozione che da oltre due anni si declina anche nell’incarico di presidente dell’associazione di amicizia Italia-Israele di Reggio e facente capo alla Federazione nazionale», racconta Anna Golotta.

16 ottobre 1943 – 16 ottobre 2023

In questa giornata di memoria del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma del 16 ottobre 1943, di quel drammatico sabato nero nell’Italia occupata dai tedeschi all’indomani dell’armistizio della Seconda Guerra Mondiale, Anna Golotta aveva sperato di commemorare gli ebrei non tornati dai campi di concentramento, nel segno di «pagina buia della nostra storia contemporanea conclusa e da non dimenticare, Ma non è così».

A Roma dalle prime luci del mattino del 16 ottobre di 80 anni fa – era un sabato – in forza della collaborazione dei funzionari del regime fascista della Repubblica Sociale Italiana, furono arrestate e mai rilasciate oltre 1250 persone. Prevalentemente donne e oltre 200 bambini, appartenenti alla comunità ebraica romana non fecero più ritorno a casa.  Oltre mille furono deportati direttamente al campo di sterminio di Auschwitz. Solo 16 di loro sopravvissero, 15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino, morta nel 2000.

«La memoria deve essere sempre viva ma in realtà quella di oggi è drammatica realtà. Dei 9 milioni di persone che compongono la popolazione israeliana, 1300 sono stati già uccisi. Il dato è in drammatico aumento. Si tratta dell’attacco più violento e più grave, per numero di vittime, dopo l’olocausto, che gli ebrei stanno subendo.  Seppure i contesti siano di diversificare, è lo stesso popolo ebraico a essere bersaglio di violenza e morte. Una pagina vergognosa quella di 80 anni fa, segnata anche da silenzi e delazioni, che avrei auspicato di richiamare alla memoria come pagina chiusa. Invece ripiombiamo nel baratro.

Oggi ricordiamo un genocidio che resta un unicum nella storia, mentre piangiamo oltre 1300 ebrei uccisi sulla striscia di Gaza. Una ferita che sanguina ancora lungo il drammatico fil rouge tra nazismo e mondo arabo e dall’alleanza che ci fu all’epoca tra il gran Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini e Hitler», spiega ancora Anna Golotta.

Un intreccio drammatico che dovrebbe interrogare insistentemente sulla storia. anche quando viene perpetrato l‘orrore degli orrori, esso ritorna come se nulla fosse. Una percezione chiara pensando a Gina Smiatich, sopravvissuta al campo di concentramento di Terezin e alla Shoah, ha trovato la morte nella sua casa, in questo conflitto, per mano dei miliziani di Hamas, all’età di 90 anni. Dolore e amarezza anche nelle parole della senatrice a vita Liliana Segre: «Un tempo che credevo di non rivivere più».

Invece quel tempo ritorna con altri orrori e violenze mettendo a nudo il fallimento collettivo quando non resta alternativa altra che attaccare per difendersi.

Mario La Cava: «Non poterono vivere come fratelli»

«Nel libretto parlai degli arabi viventi in Israele con umana comprensione. Ammirai la fierezza degli uomini, la dolcezza delle donne (…) Ma dei palestinesi esuli nei vari paesi arabi parlai poco. Non avvertii bene il loro dramma, del quale il mondo soltanto oggi forse ha preso coscienza, per l’ardimento delle loro imprese disperate. So bene che sono spesso delittuose, ma so pure che non si può pretendere giustizia da chi ha assunto su di sé la parte della vittima destinata al sacrificio». Queste le considerazioni dello scrittore di Bovalino, nel reggino, Mario La Cava, di cui il prossimo 16 novembre ricorreranno i 35 anni dalla scomparsa, avvenuta nel 1988.

Egli mise nero su bianco nel 1973, a distanza di un decennio dal suo “Viaggio in Israele” per seguire il processo Eichmann, riflessioni ancora oggi di sorprendente attualità. Considerazioni racchiuse in uno scritto rimasto inedito e che il figlio Rocco ha portato alla luce un decennio fa.

«I Palestinesi sono quelli che non hanno potuto vivere coi loro “fratelli” arabi, che li hanno lasciati sotto le tende, dopo la guerra del ’48. Il sentimento della patria perduta nacque e si sviluppò negli anni dell’abbandono e della fame. È questa una realtà irreversibile.

Gli Israeliani sono coloro che, in quanto ebrei dispersi nel mondo, non hanno potuto vivere coi “fratelli” cristiani. L’antica patria si tinse per essi, nella sciagura, dei colori del sogno. La riconquistarono per necessità, col sacrificio del lavoro e con le arti dell’ingegno, diventando guerrieri nelle prove supreme.

Parlando d‘Israele, non si può dimenticare quello che è stato il suo passato più tragico. Non lo si può trascurare, se si vogliono comprendere oggi le sue aspirazioni, i suoi timori, le sue pretese (…). La realtà di oggi nelle cose del mondo mi pare che sia quella antica. Niente è mutato, se non nell’apparenza. I potenti giocano con le armi sulla pelle degli altri, come prima (…).

Siamo atrocemente sconvolti dalla perversità di coloro che hanno in mano i destini del mondo. Quello che dicono, e più quello che fanno, è terribile. Hanno i loro piani da far valere e non badano alle vite umane che sacrificano. Il polverone della loro propaganda è micidiale. Raggiungono la mente umana e la distruggono», scriveva profeticamente Mario La Cava cinquanta anni fa.

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