Reggio, terra di sbarchi tra dolore e speranza – VIDEO

Una giornata per commemorare chi non è sopravvissuto al mare. Chi non è sopravvissuto dopo essere partito non sempre nel tentativo di avere un futuro diverso ma, la maggior parte delle volte, per avere una possibilità di futuro. Dal 2016, il 3 ottobre è la giornata della Memoria delle vittime delle migrazioni, istituita con legge per non dimenticare quanto avvenuto al largo di Lampedusa esattamente dieci anni fa, nel 2013.

In quel naufragio persero la vita 368 persone, uomini, donne e bambini, cercando di raggiungere la sponda europea. Una delle più a gravi catastrofi nel Mediterraneo. Vittime delle migrazioni che continuano ad aumentare e che soltanto dal febbraio di quest’anno annoverano anche 94 migranti tra cui 35 bambini morti nel naufragio consumatosi al largo di Steccato di Cutro, nel crotonese.

Non è possibile conoscere quante vite si siano spezzate nel Mediterraneo. Secondo l’Oim, nei primi sei mesi del 2023 sono morti o dispersi circa 1300 migranti. Il dato più alto dal 2017 che, tuttavia, tiene conto soltanto dei naufragi noti.

Racconti strazianti spesso vengono portati alla nostra conoscenza da chi riesce a raggiungere la terraferma. Ciò che accade in mare aperto trova strade drammatiche per manifestarsi. I migranti accolti al porto di Reggio Calabria sono stati, dall’inizio del 2023, oltre 10mila, provenienti da Lampedusa oppure soccorsi in mare. Nel luglio scorso attraverso le parole rotte dal dolore e dalla disperazione di una madre arrivata al porto di Reggio Calabria con il corpicino esanime del suo piccolo di quattro anni tra le braccia.

Nel maggio del 2016 l’arrivo al porto di Reggio di 45 salme, trentasei uomini, sei donne e tre bambini. Il barcone su cui viaggiavano era affondato nel canale di Sicilia. Un’ecatombe senza fine.

La speranza che non soccombe

Nei mesi scorsi, l’approdo di due donne in gravidanza a Reggio Calabria è stato seguito dalla gioia della nascita. Tatiana si è messa in viaggio a fine gravidanza dalla Costa d’Avorio per far nascere nel luglio scorso la sua bimba lontano dal paese che il Governo ha nei mesi scorsi inserito tra quelli di origine sicura verso i quali indirizzare i rimpatri. Nel marzo scorso Mariama, arrivata a Reggio Calabria dalla Nuova Guinea, ha dato alla luce due gemellini.

Cosi l’accoglienza è vita. Ma nella Città dello Stretto essa è andata anche oltre la vita stessa. Ciò è accaduto con l’arrivo di 45 salme al porto di Reggio Calabria nel 2016. Allora iniziò a Reggio Calabria l’intensa esperienza del cimitero dei migranti e dei poveri di Armo. Un luogo di preghiera universale oltre di forte denuncia delle ingiustizie sociali che sono alla radice di ogni migrazione.

Un’opera segno frutto del progetto finanziato da Caritas Italiana che anche con l’aiuto di molte donazioni e dell’arcidiocesi tedesca di Paderborn. Prezioso l’apporto di Martin Kolek, attivista in mare, giunto a Reggio Calabria dalla città tedesca di Delbrück, che seguendo le tracce dei piccoli Mohamed e Maryam, i cui corpicini senza vita aveva tratto dalle acque del Mar Mediterraneo, era giunto in riva allo Stretto, ad Armo, dove i corpicini erano stati seppelliti.

“Armo, storie di volontari e di migranti”

Caritas Italiana ha raccontato questa accoglienza oltre la del docufilm realizzato da Antonio Melasi. Esso è stato presentato lo scorso maggio, in prossimità della giornata di commemorazione delle vittime della migrazione che il Comune di Reggio Calabria ha istituito per il 3 giugno. Proprio in questa data nel 2016 ebbe luogo la sepoltura ad Armo. 

Una ferita nel cuore dell’umanità

Le vittime del Mediterraneo continuano ad esserci. Per sanare questa ferita che incessantemente sanguina nel cuore dell’umanità servirà ancora la solidarietà di ogni comunità, locale, nazionale e internazionale. Serviranno leggi giuste, volte a proteggere i più fragili e i più vulnerabili e non a ostacolare la loro ricerca legittima di futuro e libertà. Ma i segnali non sono incoraggianti.

Le politiche e i diritti

Stretta sui rimpatri verso i “Paesi sicuri”. Paesi sicuri da cui genitori, non avendo sufficienti mezzi economici, lasciano che figli adolescenti partano addirittura da soli, andando incontro a numerosi rischi per terra e per mare. Da cui giovani donne partono con figli di pochi mesi o addirittura quando ancora li portano in grembo. Paesi dai quali interi nuclei familiari si avventurano con la sola certezza che l’unico futuro possibile sia altrove.

Stretta sulla permanenza e in caso di richiesta di asilo anche l’imposizione di una cauzione di quasi 5mila euro per sottrarsi ad un trattenimento che è vietato dalle convenzioni internazionali.

Procedure invasive per la determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati.

Queste le soluzioni individuate dal governo Meloni per fermare i flussi migratori che stanno ponendo sotto pressione l’estremità Sud dell’Italia. Queste unitamente a quella, l’unica certamente condivisibile, del contrasto serrato al traffico di esseri umani. Una sfida che sembra essere finalmente europea.

Quando partire non è una scelta…

Nessuno discute che il fenomeno debba essere governato e che per garantire un’accoglienza dignitosa e sicurezza per ogni persona sia necessario distinguere chi abbia diritto da chi non ne abbia.

Ma come si può concepire che un padre e una madre accettino che per i propri figli non ci sia possibilità di studiare e avere delle opportunità di costruire un futuro libero. Come altrimenti potrebbe essere giudicata la scelta di partire o lasciar partire, al prezzo di rischiare la vita, se non come necessaria?

I “paesi sicuri”

Nell’elenco dei paesi sicuri, dal quale per ragioni belliche è stata rimossa l’Ucraina, sono stati aggiunti con l’ultimo decreto del 2023, Nigeria, Gambia, Costa d’Avorio e Georgia. Eppure tanti arrivano ancora dalla Nigeria, dal Gambia e dalla Costa d’Avorio in condizioni di indigenza e povertà. Ma allora come possono essere ritenuti paesi sicuri, verso i quali poter essere rimpatriati?

Secondo le stime dell’Unesco, in Nigeria circa 20 milioni di bambini e giovani non frequentavano la scuola a causa di barriere di tipo economico e di prassi socioculturali che scoraggiavano l’accesso all’istruzione formale. Questa situazione era aggravata dall’elevato livello di insicurezza e dal fenomeno dei rapimenti degli studenti.

Secondo Amnesty International in Nigeria migliaia di civili sono stati uccisi, feriti o sfollati nel contesto del conflitto armato nel nord-est del paese tra i gruppi armati Boko haram e Provincia dello Stato islamico in Africa occidentale (Islamic State West Africa Province – Iswap) e l’esercito nigeriano. Uccisioni illegali e violenze vengono perpetrate dai banditi con sparizioni forzate, tortura, detenzioni arbitrarie e gravi limitazioni alle libertà d’espressione e riunione pacifica. Eppure la Nigeria è ritenuto un “paese sicuro”.

L’attuale elenco degli altri Paesi di origine sicuri per l’Italia comprende adesso: Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia. “Un’origine sicura” che spesso stride con le violazioni dei diritti umani denunciate dagli osservatori internazionali.

Un istinto di sopravvivenza

Lo scenario è vario e complesso. Si fugge per non vivere in un paese in guerra, per sfuggire a persecuzioni o a una condanna a morte. Ma si scappa anche da paesi in cui andare a scuola sia rischioso oppure troppo costoso, in cui la soglia di povertà sia bassa al punto da non avere prospettive alcuna di miglioramento.

La migrazione economica, che storicamente ha segnato la storia di tanti popoli, compreso quello italiano, possiede molteplici sfaccettature che sono tutt’altro che sfumature.

Senza un approccio adeguato, non ci saranno le premesse per comprendere e governare questo fenomeno. Nessuna politica, neppure la più severa e restrittiva, potrà fermare le migrazioni.

È un istinto di sopravvivenza che non si placherà complicando le partenze, gli arrivi e le permanenze. È necessario intervenire sulle cause. Riequilibrando le risorse. Sanando le profonde e ataviche ingiustizie sociali. Assicurando i diritti umani nei paesi di provenienza.

Vedere arrivare al porto, i migranti scalzi e stanchi, infreddoliti e disorientati, non deve destare pietà ma responsabilità. Questi popoli hanno il diritto di riscattare la propria esistenza. Come può essere impedito, seppure per garantire la sicurezza all’interno dei propri confini, di cercare una possibilità di vita dignitosa? Sono loro a mettere a rischio tutto, persino la vita.

Condividi
Impostazioni privacy
Privacy e termini di Google