Coronavirus, ora basta con l’incoscienza. O presto torneremo a piangere morti
L’incremento dei contagi conferma come l’uso di dpi e il distanziamento sociale siano poco osservati. Fra movida, discoteche e comportamenti sbagliati, si rischia un nuovo lockdown
La notizia della positività di nove persone in poche ore, diramata nella serata di ieri dal Gom di Reggio Calabria, non fa altro che confermare quello che, da diverse settimane, appare chiarissimo: il coronavirus non è affatto scomparso. Complice la stagione estiva, la sua aggressività è certamente diminuita, quanto meno negli effetti clinici e nella percezione. Quel che, tuttavia, non è venuta meno è la sua contagiosità. Almeno stando ai numeri che circolano negli ultimi giorni.
Reggio e la Calabria in generale sono state colpite solo in parte dalla prima ondata di contagi. Grazie anche ad un’osservanza scrupolosa delle indicazioni, il numero dei casi non ha mai superato il livello di guardia ed anche le misure intraprese sono state più che sufficienti per non andare in affanno, nonostante strutture di certo non all’avanguardia come altrove.
C’è però un grave errore che da settimane si sta compiendo a Reggio Calabria e non solo: pensare che l’emergenza Covid sia terminata. Non è assolutamente così. Abbiamo avuto modo di osservare come il distanziamento sociale e l’uso dei dpi siano stati progressivamente abbandonati. Si assiste ogni giorno a saluti con strette di mano, quando non addirittura baci ed abbracci da parte di gente che non s’incontra da tempo e che, troppo spesso, proviene da zone dove i contagi sono ancora molto alti. L’uso delle mascherine si è abbassato drasticamente. Certo, l’afa e il caldo non aiutano ad indossarle, ma la percezione è che tanti ritengano ormai superfluo l’uso di questo dispositivo. Nulla di più sbagliato. Non esiste errore più grande che pensare all’emergenza Covid come qualcosa di superato.
E se per spettacoli teatrali e di piazza si registra un rigoroso rispetto delle normative, con posti più che dimezzati a distanziati, diventa francamente difficile comprendere come si possa pensare di mantenere le giuste distanze sulle piste da ballo. Solo ieri, dopo il caso di Soverato, la Regione ha deciso di chiudere le discoteche e le sale da ballo, ravvisando una oggettiva impossibilità nel rispetto delle prescrizioni. C’è da sperare che non sia troppo tardi, considerato il numero di giovani che si è presentato per effettuare il tampone.
Quel che non si riesce a comprendere è come possano, ragazzi che hanno visto scene di morte e sofferenza, non badare minimamente al rispetto delle prescrizioni, creando assembramenti e facendosi trascinare dal ritmo della musica. Sia chiaro: non abbiamo nulla contro le discoteche e le sale da ballo. Contribuiscono in modo deciso tanto allo svago dei ragazzi, quanto a creare ricchezza. Ma forse una loro riapertura avrebbe richiesto maggiori accortezze. Così, invece, ci ritroviamo a dover fare i conti con un apericena organizzato per festeggiare una ricorrenza e che vede diverse persone contagiate. Cene e altri eventi conviviali dove, evidentemente, l’uso dei dpi e il distanziamento sociale non viene osservato. E poi, come accaduto anche nella provincia di Reggio Calabria, locali che non hanno rispetto per una normativa ben chiara.
Davvero pensiamo che il solo arrivo dell’estate abbia cancellato, in un colpo solo, il coronavirus? Siamo d’accordo: tanti sono asintomatici e non presentano problemi particolari. Ma ai più fragili chi ci pensa? Una notte in discoteca vale davvero il rischio di prendere un virus e trasmetterlo poi magari a genitori e nonni in precarie condizioni di salute? Non sarebbe la prima volta. Nei mesi scorsi abbiamo registrato episodi anche drammatici, dove l’imprudenza di qualche giovane è costata addirittura la vita ad alcuni anziani. Ecco perché non possiamo permetterci di avere ancora atteggiamenti così leggeri. Soprattutto a Reggio Calabria dove – è noto – le strutture sanitarie non sarebbero nelle condizioni di affrontare una eventuale impennata di contagi e ricoveri. E ce ne importa poco dei negazionisti e dei complottisti: il coronavirus esiste, ha mietuto morte e dolore in ogni angolo dell’Italia e del mondo. Siamo stati uno dei paesi più martoriati e, a fatica, abbiamo rialzato la testa. Non possiamo credere che il divertimento – nelle sue forme più diverse – valga il rischio di tornare ad un lockdown pressoché pieno. Perché forse questo non è ancora chiaro: se la curva dell’epidemia dovesse tornare a salire vertiginosamente, non ci saranno più misure come l’uso delle mascherine all’aperto, in caso di mancata possibilità di rispetto del distanziamento, o chiusure parziali. Ma tornerà nuovamente lo spettro di un lockdown completo. È questo ciò che vogliamo, assieme a giorni di dolore e morte? Se sì, proseguiamo pure su questa scia e continuiamo ad infischiarcene bellamente di tutto quanto. Se così non è, allora bisogna tornare al rigoroso rispetto delle normative anti Covid-19. Bisogna tornare all’uso continuo delle mascherine ed al distanziamento sociale. Quando il coronavirus sarà finito potremo tornare a ballare, abbracciare, baciare e cantare quanto vorremo. Altrimenti, toccherà tornare ad abituarci al suono sinistro dei macchinari della terapia intensiva che abbiamo imparato a conoscere nei mesi scorsi. E lì ci sarà davvero poco da ballare e divertirsi. Sia che tocchi direttamente noi, sia che riguardi un nostro caro, anziano ed un po’ malandato che, senza colpa alcuna, pagherà il prezzo della nostra incoscienza.