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Varia di Palmi, le tinte noir di una storia lunga… secoli

Nel 1925, la prima processione durante il regime fascista e la colluttazione al termine della manifestazione che ispirò il romanzo “25 nero” di Mimmo Gangemi

Varia di Palmi, le tinte noir di una storia lunga… secoli

Fede, tradizione e storia: ecco l’intreccio che anima la Varia di Palmi, nel reggino. Momento rappresentativo di una comunità che oggi si rinnova in un clima di grande festa e che non sfugge alla Storia in cui è immersa.

Una tradizione che unisce, seppure oggi con peculiarità diverse, la città di Palmi e quella di Messina, nel segno della devozione alla Madonna della Lettera. La storia narra che i marinai palmesi offrirono medicinali e viveri ai messinesi afflitti dalla pestilenza nel 1575.

Il Senato di Messina, in segno di riconoscenza, donò alla città di Palmi quanto di più sacro avesse mai custodito. Fu offerto uno dei tre Capelli con cui Maria aveva avvolto la Lettera di Benedizione rivolta alla città.

La madonna della Lettera, la Vara a Messina e la Varia a Palmi

Il legame con la città di Messina rimane, nonostante le tradizioni abbiano nei secoli assunto caratteristiche diverse. Sull’altra riva dello Stretto i figuranti sulla Vara non sono più persone e la processione ha luogo proprio il giorno dell’Assunzione, a Ferragosto.

La Vara, come la Varia sono tradizioni intrisa del culto Mariano che avvolge la Calabria da oltre settecento anni. Il termine Varia è, infatti, la traduzione dialettale della parola “bara”. La base in legno del carro sacro (‘u Cippu) rappresenta appunto la bara nella quale giace il corpo di Maria prima dell’Assunzione in cielo.

Bene Unesco

La Varia è l’unica macchina processionale a spalla d’Italia ad essere popolata da persone nel ruolo di figuranti. Poi il riconoscimento Unesco in occasione dell’ottava sessione del Comitato intergovernativo dell’Unesco a Baku in Azerbaijan, nel dicembre del 2013. La lista dei beni immateriali patrimonio dell’umanità con la Rete italiana delle grandi Macchine a Spalla annovera, infatti, la Varia di Palmi. Nella lista pure la Ballata dei Gigli di Nola, la Discesa (‘Faradda’) dei Candelieri di Sassari, il trasporto della Macchina di Santa Rosa di Viterbo.

La Varia nel Ventennio

Con le sue vicissitudini, le sue pause, la Varia ha una sua tradizione secolare, interrotta dal terremoto del 1908, dalla Guerre mondiali e non solo. In particolare dopo la Grande guerra, la ripresa fu in pieno regime fascista. La prima fu nell’agosto del 1925 e fu segnata dalla violenza.

Nel 1924 l’assassinio di Giacomo Matteotti, segretario del partito Socialista Unitario, aveva inasprito un clima già carico di tensioni nel Paese. I fascisti avevano infiammato l’atmosfera imponendo con prepotenza il canto “Giovinezza” tra gli inni di accompagnamento della processione. Da qui il boicottaggio della maggior parte dei componenti delle cinque corporazioni addette al trasporto (carrettieri, marinai, beccai, artigiani e contadini) che percepirono quell’imposizione come atto di grave prepotenza e indebita ingerenza.

Ecco i prodromi della notte tra il 30 e il 31 agosto 1925: a festeggiamenti quasi conclusi la tensione che covava da giorni esplose nella piazza 1 maggio ancora affollata. Si scontrarono i fascisti e giovani di sinistra. Una vittima, Rocco Gerocarni, tre persone ferite, tra le quali l’altro militante fascista Rosario Privitera, e due passanti.

Il 25 nero

Lo scrittore calabrese Mimmo Gangemi nel 2004 ha pubblicato con i caratteri di Pellegrini un romanzo liberamente ispirato ai fatti realmente accaduti dal titolo proprio “’25 nero”.

«Quanto accaduto quella sera fu a lungo rimosso. Eppure ci fu una vittima e la migliore gioventù di sinistra ne pagò le conseguenze. La vita e la fede politica di tanti giovani fu duramente messa alla prova.

Palmi nel 1925, in controtendenza con quanto avveniva nel paese, annoverava tanti iscritti al partito socialista e comunista. Già dalla festa di San Rocco c’erano state delle tensioni e degli attriti che poi, quella sera esplose i piazza 1 maggio dove ancora si trattenevano circa 3mila persone. La processione era stata resa difficoltosa nel trasporto per la diserzione di gran parte delle corporazioni che, in segno di protesta per l’intonazione del canto fascista “Giovinezza”.

Le testimonianze raccolte non hanno mai consentito di ricostruire in modo certo e attendibile chi aprì il fuoco durante la colluttazione. Vige ancora il dubbio. Non si sa ancora oggi chi sparò, se fu un fuoco amico o nemico a uccidere il fascista Rocco Gerocarni. Le verità resta ancora oggi ignota. Oggi la Varia è un bene Unesco e l’auspicio è che la sua celebrazione divenga sempre più identitaria del nostro territorio», sottolinea lo scrittore Mimmo Gangemi.

Gli arresti e il processo

La reazione del regime non si fece, infatti, attendere. Dopo i fatti, furono arrestati molti antifascisti, accusati di complotto. Una serie di arresti eseguiti per motivi politici e che portarono all’incarcerazione e, nel caso di Rocco Pugliese, anche alla morte pur essendo innocenti. Una reazione mirata a destabilizzare la roccaforte comunista e antifascista che Palmi rappresentava. Tra gli arrestati anche il saggista Leonida Repaci che fu poi prosciolto prima del processo.

Il processo ai quindici imputati, tra cui Rocco Pugliese, ebbe inizio al cospetto della corte d’assise di Nicastro, ma poi subentrò l’istituzione del tribunale del tutto atipico del regime. Al 1928 risale il deferimento del processo al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, istituito nel 1926, composto da attivisti del partito e da consoli della Mvsn (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale), per perseguire esclusivamente i reati contro il regime, invocando leggi discriminatore per i dissidenti.

Nel 1928 le condanne: 24 anni e 7 mesi (la condanna più dura) per Rocco Pugliese – che non perse occasione di ribadire le sue idee anche durante il processo– 10 anni e 8 mesi per Natale Borghese e Vincenzo Pugliese, 10 anni e 7 mesi per Giuseppe Florio e Gregorio Grasso, 8 anni e 7 mesi per Giuseppe e Antonio Bongiorno.

Assolti gli altri sei antifascisti tra i quali Francesco Carbone, Pasquale Carella, Giuseppe De Salvo, Giuseppe Marazzita (poi senatore socialiste e sindaco di Palmi), Giuseppe Pugliese e Antonio Sambiase.

La condanna di Rocco Pugliese

La persecuzione, invece, andò oltre per Fortunato Pugliese, confinato a Lampedusa e Ustica, dove trascorse 44 giorni anche l’intellettuale antifascista e tra i fondatori del partito Comunista italiano Antonio Gramsci.

La persecuzione fu fatale per Rocco Pugliese. Dopo la condanna e la carcerazione preventiva, con l’etichetta di detenuto pericoloso, fu trasferito nel carcere di Santo Stefano, nell’arcipelago delle isole Ponziane, dove nell’ottobre 1930 morì tragicamente. Pagò con la sua vita la sua coerenza fino alla fine, la sua convinzione la sua intransigenza.

La storia del giovane militante caro anche a Sandro Pertini. Costui eletto nel 1947 nell’assemblea Costituente, e settimo presidente della Repubblica dal 1978 al 1985, fu detenuto nel carcere di Santo Stefano dal 1929 al 1930. In un intervento in aula da padre costituente ricordò che «Rocco Pugliese venne soppresso all’ergastolo di Santo Stefano quando io ero lì, al letto di forza».

La testimonianza di Pertini si inquadrava nell’ambito di una discussione avviata sul tema del trattamento dei detenuti, spesso vittime di pestaggi violentissimi e impuniti. Pertini denunciò il trattamento crudele e spesso mortale cui venivano sottoposti i detenuti politici a Santo Stefano, dove anche lui era stato detenuto.

Il proscioglimento di Leonida Repaci

Proprio quell’estate del 1925 è definita crocevia anche della vita di Leonida Repaci da Natale Pace, suo amico e scrittore palmese, autore della pubblicazione dal titolo “Mio caro Leonida”, (Pellegrini 2019).

Non mancarono le polemiche per il proscioglimento di Leonida Repaci, frutto dell’intercessione da parte di persone influenti, vicine a Repaci e vicine a Repaci.

Natale Pace spiega che «l’intervento di alti esponenti fascisti a favore di Repaci per la sua scarcerazione è testimoniato direttamente da Leonida in una lettera ad Albertina e anche da Ida Fortebuono, cugina di Leonida, la cui intervista viene riportata da Mimmo Gangemi nel suo 25 Nero: I Repaci, compresi Parisi e Mancuso, riuscirono a scamparla. Per l’amicizia di Gaetano con i Mussolini. Ne era il medico di famiglia. Anche Ciccio era stato amico di Mussolini, avevano militato insieme nel Psi, entrambi s’erano candidati alle politiche dopo la grande guerra. Ciccio a Torino, ma non fu eletto».

«Non mi sento in tutta coscienza di condannare chi, subendo una condanna ingiusta da innocente, cercò di difendersi in un tribunale certamente molto severo anche ricorrendo ad amicizie con il regime», sottolinea ancora lo scrittore Mimmo Gangemi.


Nei mesi di carcere Rèpaci scrisse “In fondo al pozzo”, un romanzo in cui si riferì anche alla vicenda della Varia del 1925.

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