lunedì,Maggio 27 2024

Scavi di piazza Garibaldi, Arillotta: «Una testimonianza di damnatio memoriae»

La riflessione del docente reggino: «Gli storici cerchino di capire cosa può essere successo in città in un momento tra il primo secolo ante e post Cristo»

Scavi di piazza Garibaldi, Arillotta: «Una testimonianza di damnatio memoriae»

di Filippo Arilotta*

Credo si possa condividere l’ipotesi avanzata dall’architetto Michaelis Lefantzis, secondo la quale la struttura romana scoperta a piazza Garibaldi sarebbe la eclatante testimonianza di una «damnatio memoriae». Quanto alla condizione del manufatto, egli opta per la ‘rasatura’ drastica di un edificio già costruito. Io, invece, fin dall’inizio dello scavo, guardo con attenzione al fatto che la superstite, robusta massicciata di pietre sembra del tutto ‘pulita’. Ma prima di addentrarci sull’argomento, evochiamo lo scenario generale nel quale ci muoviamo.

Da quelle che sono le risultanze delle ricerche sulla storia urbanistica di Reggio Calabria, su questo lato, posto a meridione rispetto al nucleo urbano principale, in età romana, qui siamo in aperta campagna. La città costruita da Dionigi il vecchio chiudeva la sua cinta muraria meridionale sull’asse piazza Camagna-via Vitrioli. Reggio romana si era allargata sino a raggiungere la riva destra della fiumara Calopinace, sull’attuale tracciato della via 21 Agosto, costruendo la grande terma di cui qualcosa resta sul Lungomare, nonché una serie di altri edifici, che hanno lasciato tracce importanti del lusso che li caratterizzava. Al di là del Calopinace, che, però, a metà del XVI secolo, avrà l’attuale orso, c’è da segnalare solo un pavimento a mosaico nell’area dell’attuale Villa Comunale, e un edificio che ha restituito un grosso tesoretto monetale, nell’area continua a piazza Sant’Agostino.

Tutto è sottoposto alle esondazioni della fiumara, come dimostra il livello al quale oggi è posta la struttura che ci interessa tanto. Tucidide sembra porre in questa zona l’area sacra ad Artemide nella quale si accampò, nel 412 a. C. l’esercito ateniese diretto verso Siracusa. E questa potrebbe essere la zona nella quale, come racconta Varrone, si estendeva il boschetto di piante di alloro sacro ad Apollo, ad un albero del quale il matricida Oreste avrebbe appreso la daga del delitto, dopo essere guarito dalla psoriasi, immergendosi nelle acque salutari che qui scorrevano. “Ad un miglio ad austro dalla città” fu sepolto il nostro primo vescovo Santo Stefano da Nicea; in questa grande spianata sulla quale si affacciava il famoso convento e scriptorium di San Nicolò di Calamizzi, nel 1042, l’esercito bizantino comandato da Basilio Pediadites, eunuco,, potrebbe aver assistito alla cerimonia della donazione del suo prezioso ‘scaramangion’, che il generale fece  alla chiesa del convento, come gesto propiziatorio per le future battaglie contro gli Arabi di Sicilia.

Infine, questa zona è rimasta senza testimonianze edilizie di un qualche rilievo fino all’immediato pre-terremoto del 1908, per cui consente ipotesi allettanti per una ricerca di archeologia botanica che tante cose potrebbe dire sulla storia agronomica di Reggio. Tornando al presente ritrovamento archeologico, osservando la costruzione da vicino, sembrerebbe che su questo, che tecnicamente si può definire un classico ‘vespaio‘ di pietre fatto per assicurare stabilità al futuro fabbricato, non sia mai stato steso quello strato più o meno spesso di malta (o quant’altro all’epoca si usasse) che serve per ripianare il tutto e preparare la base della pavimentazione.

La considerazione è importante perché, se così fosse, significherebbe che la costruzione dell’edificio, arrivati a quel livello, fu improvvisamente e definitivamente interrotta; il che marcherebbe ancor più l’ipotesi di partenza. Chiarire la situazione, spetta, ovviamente, agli archeologhi; ai quali si chiede, anche, di ridurre al massimo la forbice della datazione. Quanto al rispondere alla domanda: “i Reggini a chi volevano dedicare quella costruzione?  e perché non hanno continuato i lavori? chi è il personaggio del quale si doveva cancellare la memoria?”: questo è compito degli storici, che devono cercare di capire cosa può essere successo in città, in un momento a cavallo tra I secolo ante e post Cristo. «Damnatio memoriae». Due nomi vengono alle labbra; ma è troppo presto per pronunciarli.

*(Insegnante presso Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci)

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