Reggio, Saeid Sardarzadeh: «Comunità Bahai perseguitata in Iran perché non rinnega la sua fede»
Nella Giornata internazionale dei Diritti umani, la consegna del premio Nobel per la Pace all'avvocata e attivista iraniana detenuta Narges Mohammadi, da sempre al fianco della minoranza religiosa perseguitata
«Accusati di attentare alla sicurezza nazionale, di essere delle spie d’Israele e di minacciare l’ordine pubblico in Iran solo perchè di fede Bahai. La mia comunità è ancora duramente perseguitata e discriminata. Il premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi, avvocata e attivista per i diritti umani, ha deciso di accendere ancora una volta un faro sulla nostra storia di ingiustizia e persecuzione. Ha gettato luce su un’altra piaga, forse più silenziosa ma non meno dolorosa, che affligge il nostro tempo come fanno le guerre in Ucraina e a Gaza».
Saeid Sardarzadeh, arrivato in riva allo Stretto nel 1980 dall’Iran, fa parte della piccola comunità che anche in Calabria fa palpitare il cuore della fede Bahai. Una comunità che non abbraccia solo iraniani stabilitisi qui ma anche molti calabresi che hanno abbracciato questa fede. La comunità calabrese non raggiunge le cento persone, con una rappresentanza più corposa nel cosentino.
Perseguitati e discriminati
«Narges Mohammadi ha aderito allo sciopero della fame di Mahvash Sabet e Fariba Kamalabad. Le donne di fede Bahai sono tornate nuovamente in carcere senza prove a favore dell’accusa, dopo una precedente e ingiusta detenzione durata già 10 anni. Narges Mohammadi ha sempre cercato di difendere i diritti delle persone di fede Bahai che in Iran sono 300mila. Ma lì non esiste il diritto di difesa. Si viene arrestati, accusati e condannati per il solo fatto di non allinearsi al regime, di non essere musulmani. Come accaduto anche a Mahvash Sabet e Fariba Kamalabadi.
La condizione della mia comunità in Iran è davvero dura. Studenti vengono banditi da scuole e università e lavorare regolarmente non è possibile. Solo lavoro nero e lo studio in università create da noi, i cui docenti, però, vengono continuamente arrestati. Anche le tombe vengono profanate e i cimiteri sequestrati. Anche da morte, le persone di fede Bahai non smettono di essere ritenute pericolose dal regime. Le ingiustizie in Iran dilagano e colpiscono le donne e le minoranze. Shirin Ebadi, anche lei premio Nobel per la Pace, continua a difendere Mahvash e Fariba, ancora una volta in carcere senza prove», racconta ancora Saeid Sardarzadeh.
Essere Bahai è un reato
«Il giudice Salavati ha dichiarato che essere Bahai in Iran è un reato. Essere qualcosa come può essere un reato? E a dirlo è un giudice. Quale difesa dunque può mai essere possibile? La nostra patria è il mondo ma la nostra presenza in Iran è un atto di resistenza e resilienza per dare voce alle ingiustizie e cercare di aprire un varco al dialogo e alla pace. La nostra storia deve avere cittadinanza globale come nella giornata di oggi come nelle altre», conclude Saeid Sardarzadeh.
La fede Bahai
La fede Bahai, religione monoteistica indipendente con ruolo consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale della Nazioni Unite, nata in Iran nel 1800. Il messaggio pone al centro un unico Dio, anche se chiamato con nomi differenti. Dalla riscoperta e dalla condivisione di questa Unità, passa la via del dialogo e dell’incontro con tutte le altre religioni, dipende il futuro dell’umanità e la possibilità di una società fondata sulla Pace e sull’Armonia.
Nato a Teheran nel 1844, Abdul Baha condivise con il padre Bahaullah la prigionia e l’esilio inflitti dagli imperi persiano e ottomano a causa della loro fede. Liberato nel 1908 dalla città prigione di Akka, in Palestina, Abdul Baha si dedicò a diffondere in tutto il mondo il messaggio del padre, viaggiando in Europa e in Nord America, incontrando migliaia di persone di ogni etnia, cultura, genere, religione o provenienza sociale.
Tutte le religioni, quindi, provengono dalla stessa fonte divina. La fede Bahai, con una propria identità, rispetta il valore e la sacralità delle altre confessioni.
La comunità Bahai è, infatti, parte integrante dell’associazione interculturale God is one, costituitasi a Reggio Calabria per promuovere il dialogo interreligioso tra le diverse comunità religiose presenti sul territorio.
Kiana, Narges, Mahvash e Fariba: il coraggio è donna
La repressione durissima di donne e minoranze in Iran oggi al centro del discorso della giovane Kiana. Da anni vive lontana dalla madre Narges Mohammadi, attivista per i diritti umani, oggi insignita del premio Nobel per la Pace. Narges Mohammadi non ha potuto ritirare in presenza perché detenuta a Teheran.
«La repubblica islamica in Iran minaccia i Diritti umani sanciti della Dichiarazione che oggi si celebra. In Iran il sistema sostiene pratiche illegali e così nega diritti, giustizia e libertà. La vita delle persone è a rischio. La risposta del regime ai manifestanti contro questo sistema genera solo vittime e incarcerazioni».
Sono parole sofferte quelle pronunciate a Oslo da Kiana, figlia diciassettenne dell’attivista iraniana Narges Mohammadi, 51 anni, detenuta a Teheran, più volte arrestata e incarcerata negli ultimi 20 anni. A lei è stato assegnato il Nobel per la Pace oggi ritirato dai familiari, poiché il governo iraniano non le ha accordato il permesso di essere presente. Kiana con il fratello gemello Ali e il papà Taghi Rahmani, esiliati in Francia dal 2015, non vede la madre da anni.
Proprio mentre si celebra la Giornata internazionale dei diritti umani, Narges Mohammadi inizia lo sciopero della fame. Un atto di solidarietà verso altre due donne iraniane Mahvash Sabet e Fariba Kamalabadi, che lo hanno indetto. Loro sono incarcerate con lei per essere parte della comunità Bahai e invocare pace e uguaglianza.
La comunità Bahai costituisce in Iran la più grande minoranza religiosa. Essa è perseguitata e discriminata dal governo iraniano che non riconosce pratiche religiose diverse dall’Islam.
Narges Mohammadi avvocatessa bahai è stata insignita del premio Nobel per la Pace per il suo attivismo contro l’oppressione delle donne. Una delle principali esponenti della rivolta “Donne, Vita, Libertà” che in Iran fu animata all’indomani della morte di Mahsa Amini, La giovane morì a seguito all’arresto a Teheran per non aver rispettato le norme rigoroso codice di abbigliamento islamico.
75 anni di diritti umani ancora negati
Parlare di Diritti Umani in questo frangente storico, in cui i conflitti armati imperversano, le impunità, la violenza e le discriminazioni sono ancora trame pervicaci e pervasive del tessuto sociale di Stati anche di proclamata democrazia, richiede una riflessione tanto complessa quanto urgente. Enunciazioni di diritti, dunque, largamente disattesi nel mondo e che per questo bisogna con forza richiamare, rivendicandone con fermezza l’attuazione. Spesso, nei contesti più critici, sono le donne e rivendicare questi diritti.
Al 10 dicembre 1948 risale l’approvazione da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite dell’Onu di un documento di elevata portata storica quale la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, recettivo delle varie istanze di riconoscimento e garanzie della Dignità dell’essere umano. Questa l’ispirazione del documento in cui si consacrano tutte libertà da riconoscersi all’individuo in una dimensione di autodeterminazione rispetto allo Stato (diritti civili) e all’interno dello Stato (diritti politici) e di portatore di diritti economici, sociali e culturali (Lavoro, Retribuzione, Riposo, Istruzione, Università, Salute, Vita scientifica, artistica e letteraria).
La Calabria, in particolare il borgo reggino di Pentedattilo, con l’indimenticato regista Vittorio De Seta, fu parte del progetto cinematografico collettivo “All Human Rights for All” con il quale nel 2008 furono celebrati i 60 anni della Dichiarazione. Qui fu girato il corto dedicato all’“Articolo 23” (Diritto al lavoro).
La magna Carta dell’Umanità
La Magna Carta dell’Umanità è dunque un corpo di valori nel loro complesso indivisibili, frutto di un compromesso storico significativo. Il blocco di paesi democratici fu promotore del riconoscimento dei Diritti Politici e Civili. Quello dei paesi socialisti e comunisti fu promotore dei Diritti Sociali ed Economici. Esso raccoglie ed enuncia una serie di principi universali e interdipendenti.
Il preambolo collega il mancato rispetto dei diritti umani agli «atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità» con chiaro riferimento agli allora recenti orrori della Seconda Guerra Mondiale. Esso indica il rispetto di tali Diritti quale «ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le nazioni», come unica via per un futuro di Pace e Libertà. Il primo articolo corona questa aspirazione ed è esso stesso incipit imprescindibile dell’enunciazione dei diritti: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti».
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Dudu), da un punto di vista meramente formale, non è vincolante. Essa appresenta una enunciazione di principi dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite rivolta all’attenzione di tutti gli Stati. Ma a vincolare gli Stati al riconoscimento dei diritti umani sono le Convenzioni successivamente sottoscritte.
Senza diritti nessuna pace duratura
Impegni che comunque non hanno impedito al mondo di presentarsi, ancora a distanza di 75 anni, come una geografia di ingiustizie e diseguaglianze scoraggiante. Ciò rende necessario richiamare l’attenzione su questi Diritti e imporre maggiore rigore nella loro osservanza. Senza Libertà e Dignità per Tutti, nessun angolo di mondo sarà godrà di pace e sicurezza duraturi.
Lo ha ribadito oggi con fermezza anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella partecipando alla «campagna di celebrazione promossa dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, nella consapevolezza che tale importante anniversario si inserisce in una congiuntura caratterizzata da violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario che offendono la coscienza delle donne e degli uomini del Pianeta. Il riconoscimento e la tutela dei valori supremi della dignità umana, iscritti nella Costituzione, costituiscono per la Repubblica un’esigenza irrinunciabile, ovunque e in ogni circostanza».
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