venerdì,Aprile 26 2024

Reparto Psichiatria, la denuncia: «Non solo farmaci. Anche porte in ferro e contenzione meccanica»

Dopo l'inchiesta sulla morte della 41enne a causa di un overdose di psicofarmaci, l'Unasam chiede all'Asp se i due infermieri accusati di omicidio «hanno continuato a lavorare durante i due anni di indagine?»

Quanto accaduto a Reggio Calabria ha causato sgomento ma la vicenda legata all’arresto dei due infermieri dell’Asp di Reggio Calabria con l’accusa di aver sedato fino alla morte una paziente ricoverata nel reparto di psichiatria del Gom, merita ulteriore approfondimento. A pochi giorni dalla notizia ad insorgere è l’associazione Unasam, come ci spiega la referente regionale Immacolata Cassalia, che aveva segnalato già nel 2018 quanto stava accadendo.

Una morte inspiegabile

«Quando è accaduta questa morte improvvisa ci occupammo subito del caso perché ci pervenne un’informativa da parte di alcuni familiari. Quando abbiamo appreso la notizia eravamo in riunione in audizione con la terza commissione sanità. Era presente il direttore del dipartimento della salute mentale e il commissario Scura e li chiesi le motivazioni di questa morte e perché i carabinieri erano andati a prendere la documentazione».

Porte di ferro e contenzione meccanica

«Sempre in quell’occasione avevo chiesto come mai nel reparto di psichiatria del Gom ci fosse una porta di ferro. Ero ben a conoscenza di quanto accadeva dietro quella porta, considerato che diversi familiari ci avevano riferito che svolgevano la contenzione meccanica». La contenzione meccanica in psichiatria è un procedura che utilizza mezzi fisici (lacci, catene, camicie di forza) e chimici (terapia del sonno, farmaci) per limitare i movimenti dell’individuo. Questi mezzi si contrappongono al contenimento psicologico relazionale o emotivo. «Quindi non solo contenzione farmacologica, che è stata quella che ha portato alla morte la donna di 41, ma anche quella meccanica. Proprio per questo abbiamo più volte chiesto chiarimenti per avere un rapporto di conoscenza anche perché le direttive sanitarie non sono queste. Il paziente, che prima di tutto è una persona, viene presa in carico non per sedarla ma per aiutarla».

Sedazione come prassi o evento isolato?

Adesso i familiari dei pazienti psichiatrici chiedono verità e giustizia perché, secondo quanto raccontato da chi vive questa realtà, non sarebbero eventi isolati. E la paura è che altri pazienti possano vivere quest’incubo. 

«Li sedano, purtroppo è questa la verità ed è una prassi. Per loro sono persone che danno fastidio non comprendendo che, invece, esprimono solo la loro debolezza e fragilità. L’Unasam può farlo e si costituirà parte civile. Nel territorio calabrese, considerando le gravi carenze di personale e soprattutto strutturale, emerge una critica difficoltà nel programmare i servizi». 

Le carenze e le responsabilità

Le carenze del settore sono state denunciate da anni ma l’inchiesta sulla morte di una donna di 41 anni lancia nuove ombre e l’associazione non intende fermarsi perché ad essere a rischio sono persone fragili e senza voce.

«Se la ragazza aveva necessità, bastava adottare altre procedure o, qualora la situazione fosse ingestibile, chiamare il medico reperibile per avere le istruzioni per agire con farmaci adeguati. Noi vogliamo sapere se in questi due anni di indagini queste persone hanno lavorato. Perché questa è una cosa grave, considerando che, in tal caso, avrebbero trattato altri pazienti ugualmente fragili. In tutto questo ci sono delle responsabilità da parte del dipartimento della salute mentale che avrebbe dovuto fare un’indagine interna e verificare se effettivamente queste persone hanno abusato della loro autorità e in caso sospenderli». 

Per tutto questo l’Unasam ha chiesto spiegazioni all’Asp di Reggio Calabria e al dottor Palma per i diritti civili.

I chiarimenti richiesti e le segnalazioni

L’Unasam si è rivolta direttamente al direttore sanitario aziendale Antonio Bray e il direttore del dipartimento di salute mentale Michele Zoccali.

A loro è stato chiesto di sapere se: «A suo tempo erano stati assunti provvedimenti cautelativi a tutela degli altri pazienti del SPDC o se, in questi due anni, i due infermieri hanno continuato ad operare all’interno del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura».

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