lunedì,Maggio 13 2024

’Ndrangheta, false fatture: 33 arresti e perquisizioni in 12 province

Un giro di fatture false per oltre 20 milioni di euro realizzato mediante almeno 7 società "cartiere", intestate a prestanome o a imprenditori compiacenti con sedi in Lombardia, Umbria e Calabria

’Ndrangheta, false fatture: 33 arresti e perquisizioni in 12 province

Un giro di fatture false per oltre 20 milioni di euro realizzato mediante almeno 7 società “cartiere”, intestate a prestanome o a imprenditori compiacenti con sedi in Lombardia, Umbria e Calabria, per riciclare i proventi delle attività del clan ‘ndranghetista della famiglia Arena di Isola di Capo Rizzuto, è stato ricostruito dai militari del comando provinciale carabinieri e del comando provinciale della Guardia di finanza di Bergamo, che hanno dato esecuzione a un’ordinanza che dispone misure cautelari personali e reali emessa dal Gip del Tribunale di Brescia, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura bresciana, nei confronti di oltre 30 persone.

In particolare, il provvedimento dispone la custodia cautelare in carcere o ai domiciliari nei confronti di 33 indagati, nonché il sequestro finalizzato alla confisca, anche per equivalente, di oltre 6,5 milioni di euro. Contestualmente, sono in corso decine di perquisizioni in 12 province tra Lombardia, Veneto, Piemonte, Umbria, Sardegna, Basilicata e Calabria.

Gli indagati sono ritenuti gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione per delinquere, con l’aggravante di aver agevolato le attività della cosca ‘ndranghetistica del crotonese, in relazione a condotte di usura, ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, favoreggiamento, nonché reati tributari e fallimentari. 

Le indagini avrebbero inoltre consentito di delineare, in ipotesi accusatoria, il ruolo di alcuni professionisti contabili, i quali sono indiziati di avere ideato e attuato modelli seriali di evasione fiscale a beneficio delle società riconducibili al sodalizio criminale. Sarebbe anche emersa la compiacenza di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, colpito da una misura cautelare perché accusato di corruzione. Secondo gli inquirenti, a fronte di sistematici compensi, il funzionario si sarebbe reso disponibile ad agevolare l’erogazione di alcuni servizi di natura fiscale richiesti da uno dei citati professionisti.

Le attività investigative, svolte anche attraverso un costante monitoraggio degli spostamenti e degli incontri sul territorio degli indagati, avrebbe permesso inoltre di far emergere riscontri sulle presunte condotte usurarie denunciate da alcuni imprenditori in difficoltà.

Gip: «10 euro a funzionaria per pratiche fiscali»

Si sarebbe messa «continuativamente a disposizione» di uno dei commercialisti che, secondo la Dda di Brescia, facevano parte di un clan della ‘ndrangheta radicato nel Bergamasco e con collegamenti con la famiglia Arena del Crotonese, la funzionaria dell’Agenzia delle Entrate finita ai domiciliari nell’inchiesta della Gdf di Bergamo che oggi ha portato a misure cautelari nei confronti di 33 persone. E avrebbe incassato un «compenso indebito» da «10 a 15 euro per ogni pratica svolta» a favore del professionista legato alla cosca. In particolare, si legge nell’ordinanza del gip di Brescia Carlo Bianchetti, Lia Alina Gabbianelli, a cui viene contestata la corruzione, «funzionario in servizio presso l’Agenzia delle Entrate di Milano 5», tra il settembre 2019 e il febbraio 2021, avrebbe agevolato il commercialista Marcello Genovese (finito in carcere) «nell’esecuzione delle pratiche di attivazione e revoca dei cassetti fiscali e della fatturazione elettronica» che di volta in volta richiedeva.

E gli avrebbe evitato «l’onere di presentarle allo sportello», si legge nell’imputazione, perché sarebbe andata lei «a prelevare le pratiche» in un ufficio indicato dal commercialista e se ne sarebbe occupata di persona. O le avrebbe fatte «lavorare da ignari colleghi». E avrebbe così ottenuto in cambio dal commercialista e da una presunta intermediaria «un totale di almeno 6.730 euro». L’accusa a carico della donna è uno dei 106 capi di imputazione contestati dalla Dda di Brescia nell’inchiesta che vede indagate 66 persone, 18 finite in carcere e 15 ai domiciliari. Genovese, secondo l’accusa, sarebbe stato alle dipendenze di un altro commercialista, Giovanni Tonarelli, e avrebbe gestito la «contabilità» delle società «cartiere» usate dal clan per realizzare frodi fiscali e altri reati.

Utili anche i “prestanome” novantenni

«C’ha quattro commercialisti novantenni che firmano al posto suo (…) novant’anni che gli devono fare a un commercialista di novant’anni? Niente!». Così Martino Tarasi, «appartenente alla famiglia Arena» della ‘ndrangheta e presunto capo del clan collegato e radicato in provincia di Bergamo, raccontava, intercettato, come il commercialista Giovanni Tonarelli (in carcere e che avrebbe fatto parte dell’associazione mafiosa) si preoccupasse «di non comparire personalmente», potendo «contare su collaboratori che gli facevano da “prestanome” per gli adempimenti più pericolosi».

L’inchiesta che ha portato oggi a 33 arresti è la prosecuzione della “Operazione Papa”, scattata dopo un incendio doloso nel 2015 in un’azienda di ortofrutta nel Bergamasco. Dalle indagini, poi, è venuto a galla, si legge nell’ordinanza del gip di Brescia, che «all’interno della P.P.B. Servizi&Trasporti Srl si erano insediati alcuni soggetti collegati alla criminalità organizzata di Isola Capo Rizzuto», ossia proprio Martino Tarasi, marito della figlia di Giuseppe Arena «scomparso a seguito di “lupara bianca”».

Tarasi, secondo le accuse, avrebbe messo in piedi un’organizzazione specializzata in reati «economico-finanziari con modalità standardizzate e professionali» basata su una serie di società «cartiere». In un’intercettazione del gennaio 2020 diceva: «Solo fatture, dalla mattina alla sera (…) avevo due tre ragazzi con due tre aziende (…) loro fatturavano a sti clienti, i clienti gli facevano il bonifico (…) e io glieli riportavo in contanti e mi tenevo il 10%, il 15». E un “ruolo fondamentale” nel mettere a segno le presunte frodi fiscali l’avrebbe avuto proprio il commercialista Tonarelli.

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