sabato,Aprile 27 2024

Vertenza Alival a Reggio, i dipendenti: «Troppo grandi per un nuovo impiego e troppo giovani per la pensione» – VIDEO

Ecco la condizione di oltre 60, dei 79 dipendenti del caseificio di San Gregorio, che stanno per perdere il lavoro

Vertenza Alival a Reggio, i dipendenti: «Troppo grandi per un nuovo impiego e troppo giovani per la pensione» – VIDEO

Caterina ha 51 anni e perderà il lavoro dopo 22 anni di servizio come Enza che di anni ne ha 57. Domenico ha 45 anni e ha lavorato per 19 mentre Francesca di anni ne ha 44 ed è entrata nel caseificio quando ne aveva 29. Dopo 15 anni anche lei perderà il lavoro. Sono solo alcune delle storie degli oltre 60 dipendenti del caseificio Alival di San Gregorio a Reggio Calabria, che dal 5 gennaio ha già chiuso battenti. Una dismissione annunciata lo scorso anno dal gruppo Nuova Castelli, proprietario dello stabilimento e facente capo alla multinazionale francese Lactaclis.

È duro e difficile il momento che attraversano gli oltre 60 dipendenti, al netto di chi abbia optato per un trasferimento fuori dalla Calabria conservando il posto di lavoro e di chi abbia già conciliato per un’altra opportunità lavorativa intervenuta. Dal prossimo 31 marzo saranno disoccupati.

Senza più un lavoro

«Purtroppo per queste aziende siamo solo numeri. Invece tutti noi abbiamo una famiglia e adesso siamo senza occupazione. Resteremo senza lavoro in un’età troppo avanzata per essere facilmente ricollocati e accedere a nuove opportunità e troppo giovane per andare in pensione. Inoltre il contesto di Reggio Calabria non offre molte possibilità, quindi ci stiamo rassegnando a un periodo più o meno lungo di grande difficoltà», raccontano i dipendenti.

Ricollocazione per noi troppo lontana

La vertenza seguita dai sindacati Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil sta registrando questo epilogo con l’aggravante di non potere contare, almeno fino adesso, su alcuna concreta prospettiva di reinserimento dei dipendenti in altra azienda. Pochi dei 79 totali hanno potuto accettare il trasferimento fuori. Le destinazioni sono lontane per chi ha famiglia.

«I nostri mariti e le nostre mogli lavorano qui e i nostri figli hanno qui la loro vita. Ce ne saremmo dovuti andare, separandoci da loro, oppure avremmo dovuto sradicarli. Non sarebbe stato né facile né giusto.  Non sono stati considerati i contesti differenti tra i due stabilimenti da chiudere. Per i dipendenti di Ponte Buggianese le possibilità di trasferimento e ricollocazione sono molto più accessibili. Non si parla di un migliaio di chilometri di distanza, come nel nostro caso», sottolineano ancora i dipendenti.

Un incentivo che non rispecchia i sacrifici

Ma non è solo questo l’aspetto per il quale i dipendenti reggini sentono di aver subito una grande ingiustizia. La perdita di lavoro brucia ancora di più, anche visti i sacrifici affrontati per un rilancio solo promesso, e di fatto preludio di una chiusura. Sacrifici che neppure l’incentivo all’esodo concordato, anche se aumentato rispetto a quello inizialmente prospettato, potrà ripagare.

«Noi abbiamo alle spalle 33 mesi di solidarietà, durante i quali abbiamo percepito uno stipendio ridotto. Un sacrificio al quale abbiamo acconsentito nell’ottica di una ripartenza che non c’è stata. Noi dipendenti abbiamo perso circa 18 mila euro ciascuno. Praticamente parte dell’incentivo all’esodo che riceveremo è quanto ci era stato decurtato dallo stipendio. L’importo di 51mila euro lordi, al netto delle tasse si tradurrà in 35-36 mila euro. Si tratta di due anni di stipendio scarsi, senza nessuna prospettiva di altra occupazione futura. Ci aspettavamo, almeno, che in sede di quantificazione dell’incentivo si tenesse conto dei nostri tre anni di sacrificio e del fatto che lo stabilimento reggino, contrariamente a quello di Ponte Buggianese, a oggi non sarà reindustrializzato», sottolineano ancora i dipendenti.

Insomma è dura guardare oltre quell’ormai imminente 31 marzo e non vedere nulla di rassicurante dopo anni di lavoro.

«Davanti a noi vediamo solo buio, purtroppo. Non avremo più un lavoro e non avremo uno stipendio», concludono con amarezza.

Nuova riunione in prefettura

Intanto è attesa dai sindacati la convocazione della nuova riunione del tavolo tecnico-istituzionale in prefettura per capire se il riassorbimento di una ventina di lavoratori da parte di altre aziende del territorio intercettate dalla Camera di Commercio sia una strada concretamente praticabile. In quella occasione di cercherà di capire anche se ci siano gli estremi, come richiesto dai sindacati, di allargare questa base visto che oltre 60 persone perderanno il lavoro. Resta la speranza, certamente sempre più flebile, di un acquirente dello stabilimento in dismissione. Ciò significherebbe salvare tutti i posti di lavoro. Da mesi, però, si attende invano che qualcuno manifesti la volontà di trattare.

Articoli correlati

top