25 novembre, Giudy: «Calci, pugni e mani al collo.Vorrei che più nessuna donna subisse questo» – VIDEO
La donna rivoltasi al centro antiviolenza Angela Morabito di Reggio ha trovato il coraggio di liberarsi e di denunciare. Il cammino di libertà è, tuttavia, lungo e difficile, specie in assenza pene severe e certe
«So bene quanto sia duro e difficile staccarsi da una persona violenta che non amiamo più e che non intende lasciarci libere. Conosco la paura di non farcela ma so anche quanto il nostro coraggio possa fare la differenza per riscattare la nostra vita e la nostra libertà. Il primo coraggio da trovare è il quello di chiedere aiuto».
Giudy, nome di fantasia, inizia ricordando Giulia Cecchettin il suo racconto di vita, come avvolta in un afflato materno che spesso nel dolore e nella sofferenza unisce in modo profondo anche due donne sconosciute e di generazioni diverse, legate però da storie simili e drammatiche.
«Ho sentito subito Giulia come una mia figlia. Anche lei, come me, una vittima di uomini, anzi pseudo uomini, che sembrano angeli e invece sono diavoli. Quel dolore, anticamera della morte che ha spezzato la sua vita, io l’ho conosciuto. L’ho sfiorato due volte. Un cuscino sopra il volto e le mani al collo. Ho visto la morte in faccia. Per questo grido e griderò sempre che sono una sopravvissuta».
La mano tesa del centro antiviolenza
«Mi rivolgo a tutte le donne: non restate isolate a raccontarvi che lui cambierà, che non lo fa apposta o che potrete ancora sopportare quella “non vita”. Accettate di prendere la mano tesa dalle persone che operano nei centri antiviolenza. Io l’ho fatto. Mi sono rivolta al centro Angela Morabito Piccola Opera Papa Govanni di Reggio Calabria. Quello è stato per me il primo passo verso un senso di liberazione e protezione. Grazie al centro ho poi compiuto anche il secondo passo, quello di denunciare per tutelare i miei cari. Ho realizzato che senza la nostra consapevolezza non possiamo essere aiutate e non possiamo contribuire a fermare questa mattanza, perché è di questo che si tratta: una mattanza in cui le donne continuano ad essere maltrattate e uccise».
Una violenza dai tanti volti
Giudy si porta ancora dentro le ferite profonde di una violenza che, nell’arco della sua vita, ha assunto tante forme e ha avuto tanti volti. Forse proprio per questo oggi, acquisite forza e consapevolezza, sente l’urgenza di raccontare e di testimoniare, con la viva speranza di potere aiutare altre donne a trovare il coraggio di staccarsi e di amarsi di più.
Tutto ha avuto inizio con un’infanzia molto dolorosa. Poi un’adolescenza travagliata dove unico punto di riferimento anche affettivo era rimasto il papà. Giudy si è poi sposata. Nessuna violenza e una fine arrivata per diverse vedute sulla vita e sul futuro. Un matrimonio che le ha donato un figlio, la luce dei suoi occhi.
Giudy ha poi desiderato ancora di essere felice. Purtroppo, però, per lei è iniziato un nuovo calvario segnato dall’incontro con uomini che l’hanno illusa e l’hanno ingannata prima di mostrarsi intolleranti, violenti e vendicativi.
Giudy ha rischiato di morire. La misura è stata colma quando le minacce di morte, che lei aveva sopportato per paura che si concretizzassero, hanno riguardato anche suo figlio.
Lì è scattato il coraggio di chiedere aiuto al centro antiviolenza Angela Morabito e poi di denunciare. Il momento di dire basta è arrivato in nome dell’amore, che a lei era stato così a lungo e con violenza negato, nel nome del quale lei ha voluto proteggere il figlio.
Il coraggio difficile e necessario
«Senza il nostro coraggio questa mattanza continuerà. Senza il centro antiviolenza Angela Morabito non ce l’avrei mai fatta. Prima di camminare di nuovo da sola ho avuto bisogno di capire quanto fosse importante volermi bene e avere io per prima rispetto di me stessa. Amiamoci donne e lasciamo i mostri che ci costringono a vivere come prigioniere. Nessun amore è tale se in esso e con esso non ci sentiamo libere. La nostra libertà conta, anche se ci vogliono far credere il contrario e ci annientano.
Io mi sono sentita annientata. Mi hanno ucciso dentro ma a un certo punto ho sentito che c’era un altro modo in cui avrei potuto vivere e grazie al centro antiviolenza Angela Morabito ho iniziato a cercarlo. Il percorso è lungo e assai difficile ma è l’unico possibile. Dunque vi prego, donne, non arrivate troppo tardi a questa consapevolezza», incalza ancora Giudy.
Ancora troppe donne “prigioniere”
«Non ho dimenticato le violenze fisiche e psicologiche, i calci, i pugni, i lividi, il tentato soffocamento con il cuscino, il tentato strangolamento con le mani. Non dimentico ma non posso ridurre solo a questo la mia vita. Mi angoscia profondamente il pensiero che quella condizione sia in questo momento quotidiana per tante donne, come lo è stata davvero a lungo per me. So che è così. Per questo il 25 novembre deve essere tutti i giorni. La violenza sulle donne, ma in realtà ogni forma di violenza, si deve combattere ogni giorno. Ciò sarà necessario fino a quando anche solo una donna continuerà a trascinare la sua vita dentro un inferno, pensando di non avere alcuna speranza. Io sento di volere raccontare e testimoniare l’importanza di chiedere aiuto e di denunciare anche quando intorno, pure persone molto vicine, sminuiscono dicendo che in fondo quell’uomo è una brava persona. Brava come bravo era il giovane che ha ucciso Giulia».
Liberata ma non libera
Non ha dubbi Giudy che dopo avere denunciato oggi dice: «Non sono più costretta a vivere con l’uomo che mi maltrattava e che ha tentato di uccidermi. Mi sono liberata da quella vita ma non mi sento libera. È lui ad essere libero. Io sono un codice rosso, attenzionata e monitorata dalle forze dell’ordine per essere protetta da chi ancora potrebbe farmi del male. Ho le pattuglie che girano sotto casa. Gli stessi carabinieri mi hanno consigliato di non uscire di casa da sola», racconta ancora.
Giudy ha denunciato e rifarebbe la sua scelta, nonostante tutto. Si è liberata, certo, ma non si sente ancora pienamente libera. La paura non l’ha completamente abbandonata.
«Noi tutti dobbiamo fare di più. Lo Stato deve fare di più. Nonostante le misure di protezione previste dalla legge e i processi, gli uomini che maltrattano e minacciano di morte continuano troppo spesso a fare ciò che vogliono. Lo fanno anche dopo la denuncia e spesso anche dopo le condanne, quando non le scontano in carcere. Ci vorrebbero pene più severe e più certe, anche il carcere a vita se necessario, per proteggerci», sottolinea con fermezza.
La difficile strada verso la libertà
Nessun uomo vuole accanto oggi a sé né lo vede nel suo futuro, Giudy. Eppure le due persone che più hanno contato e contano nella sua vita sono due uomini: il padre che purtroppo ha perso da poco, e il figlio. Nel ricordo del primo e nell’amore del secondo percorre la sua difficile strada di libertà, abbracciando con convinzione la volontà di testimoniare e di esserci per aiutare altre donne a ritrovare la loro strada e a riprendersi, giorno dopo giorno anche se con fatica, la loro vita e la loro libertà.