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Su Netflix i Briganti con il reggino Alessio Praticò: «Erano dalla parte degli ultimi come Don Orlando, il mio personaggio»

L’attore della città dello Stretto nel cast della serie tanto discussa e che sta superando ogni più rosea aspettativa. Le vicende raccontano il meridione dell'Italia post unitaria

Su Netflix i Briganti con il reggino Alessio Praticò: «Erano dalla parte degli ultimi come Don Orlando, il mio personaggio»

Vola sulle ali del colosso dello streaming Netflix la nuova serie italiana, ancora tra le più viste al mondo a oltre dieci giorni dal lancio, Briganti. Liberamente ispirata a donne e uomini realmente esistiti nell’Italia post unitaria. Tra loro anche i briganti calabresi delle presila cosentina Pietro Monaco (interpretato da Orlando Cinque) e Maria Oliverio detta Ciccilla (interpretata da Ivana Lotito), la serie è stata scritta dal collettivo Grams composto dai cinque giovani autori Antonio Le Fosse, Re Salvador, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti e Giacomo Mazzariol.

La serie è stata girata soprattutto in Puglia ma la Calabria è presente nella storia con le vicende della banda dei Monaco. È anche rappresentata nel cast da Alessio Praticò (nella foto di Francesco Berardinelli) e Marco Iermanò, attori originari di Reggio e di Locri.

Alla regia Steve Saint Leger, già noto per avere diretto Vikings, Vikings: Valhalla, Barbarians, e Antonio Le Fosse (Baby) anche autore, e Nicola Sorcinelli (Balcanica), che ne ha curato anche la supervisione artistica. Una serie molto discussa, per il tema ancora oggi controverso del brigantaggio, e “promossa”da Pino Aprile, scrittore e giornalista meridionalista che ha sempre ritenuto i Briganti dei patrioti e non dei criminali.

Una rievocazione del brigantaggio in cui la base storica viene romanzata con l’inserimento di personaggi di fantasia ispirati a chi in quel contesto storico ha agito e determinato i fatti. È il caso di don Orlando interpretato dal reggino Alessio Praticò.

Don Orlando

Proveniente dalla Napoli Borbonica ed ecclesiastica, Don Orlando, in quanto tale, non è realmente esistito. Il suo innesto nella trama, tuttavia, è funzionale al racconto del ruolo che molti preti, custodi dei segreti del villaggio messi a dura prova dai piemontesi, in quel difficile momento storico ebbero. Spalleggiavano i briganti, visti come combattenti pronti a riscattare la povera gente. Dunque non come banditi in un Sud già defraudato di tutto e che tale era rimasto anche all’indomani dell’Unificazione (per alcuni annessione) al Regno di Sardegna.

«Omm s’ nasc’ brigant’ s’ mor»Uomini si nasce e briganti si muore – è il verso della ballata “Brigante se more” (1979) scritta da Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò con il gruppo Musicanova, per lo sceneggiato Rai L’eredità della prior (1980), e adesso riarrangiata per diventare la sigla della serie.

«Siamo contenti della risposta del pubblico che numeroso sta guardando in tutto il mondo la serie. Siamo anche contenti di avere raccontato uno spaccato di storia ancora attraversata da dubbi e interrogativi. Indicati come coloro dai quali nacque la criminalità organizzata, sulla base di quanto abbiamo potuto studiare e approfondire, i briganti in quel periodo storico possono essere considerati piuttosto come una sorta di partigiani, di Robin Hood dell’epoca. Io interpreto un prete, don Orlando. In quanto uomo di chiesa accanto agli ultimi e ai poveri, si sente più vicino ai Briganti piuttosto che al despota, il generale piemontese Fumel. Una causa nella quale Don Orlando crederà fino in fondo». Così racconta l’attore Alessio Praticò.

«Le scene sono spesso corali e molto impegnative.C’è stata una grande attenzione alle ambientazioni, ai costumi e armi dell’epoca affinché le battaglie fossero verosimili e la serie fosse credibile, anche dal punto di vista linguistico. Abbiamo girato due anni fa in Puglia, Basilicata e in qualche bosco del Lazio ma le battaglie rievocate hanno segnato tutto il meridione fino all’area dello Stretto», racconta ancora l’attore Alessio Praticò.

Da Reggio Calabria

Nato e cresciuto a Reggio, dove si è laureato Architettura a Reggio Calabria, Alessio Praticò (classe 1986) ha iniziato a formarsi come attore in riva allo Stretto, frequentando il laboratorio di Marilù Prati e Renato Nicolini. Si è poi diplomato in Recitazione presso la Scuola del Teatro Stabile di Genova nel 2013.

Nel suo curriculum artistico già ricco, le serie tv Boris, Blocco 181, Odio il Natale, Un’estate fa e Summer Limited Edition, serie per ragazzi ambientata in Calabria. E ancora le fiction Rai Lea e Il nostro Generale. I film Il mio nome è vendetta, L’afide e la formica, Il traditore, Lo Spietato. Il suo lavoro non si ferma. Non può dirci molto altro ma certamente lo vedremo ancora sullo schermo, talentuoso e generoso come sempre, pronto a raccontarci altre storie del nostro tempo, presente e passato.

Il cast

Nel cast con Orlando Cinque (Pietro Monaco), Ivana Lotito (Ciccilla) e Alessio Praticò (Don Orlando), anche Michela De Rossi (Filomena), Matilda Lutz (Michelina De Cesare), Marlon Joubert (Giuseppe Schiavone) e Pietro Micci (Fumel), Gianmarco Vettori (Marchetta), Federico Ielapi (Jurillo), Giulio Beranek (Francesco Guerra), Adriano Chiaramida (Antonio Monaco) e Leon de la Vallée (Celestino).

La trama di Briganti

La trama muove i passi da una condizione di estrema povertà del Sud. La donna è ancora totalmente intrappolata in un ingranaggio che la relega a un ruolo di subalternità. Ruolo che questa stessa storia ribalta, dando anche voce e spazio alle brigantesse come Maria Oliverio “Ciccilla” (realmente esistita). Ma anche a Michelina Di Cesare e alla stessa Filomena che fecero la storia. Maria Oliverio, raccontata all’epoca da Alexandre Dumas fu una brigantessa protagonista della storia nonostante, cercando sue immagini d’epoca (conservate presso il Museo antropologico Criminale Cesare Lombroso) essa sia a volte “archiviata” come Moglie di Pietro Monaco o addirittura Druda (termine dispregiativo per indicare l’amante) dello stesso. Dunque il suo spessore storico non brillerebbe di luce propria ma riflessa del marito e amante uomo. Un tentativo che certamente fallisce in questa serie, che mescola western e crime, tenendo saldo un sfondo storico complesso e tutto ancora da esplorare

Tornando alla trama di Briganti, siamo nel 1862 e l’umile Filomena, di estrazione contadina, finisce in sposa al ricco Clemente. Si ritrova moglie di un marito violento che la sottomette e la maltratta. Una condizione che, dopo aver rischiato di morire, la spinge a cercare la sua libertà fuori. Fugge nei boschi alla ricerca di Michelina di Cesare, simbolo della lotta per la libertà. Secondo una diffusa leggenda popolare, è colei che avrebbe liberato il Sud dagli oppressori. Invece viene catturata dalla brutale banda dei Monaco guidata da Pietro e Ciccilla. Una circostanza attraverso la quale l’audace Filomena ribalta la sua condizione. Conquistando al fiducia della banda, si unisce ad essa.  

L’oro del Sud

Sullo sfondo il leggendario oro del Sud, sottratto a Palermo e diretto in Piemonte. Sulle sue tracce è l’abile cacciatore di briganti, Giuseppe Schiavone detto Sparviero. E non è il solo. C’è anche lo spietato generale Fumel, impegnato anche ad arruolare uomini nel l’esercito italiano e creare conflitti tra le bande di briganti per indebolirle.

La lotta tra potere e libertà, tra oppressore e oppressi, in un Sud tutt’altro che liberato e parte di un Stato unico e unito, è feroce. Ma combattono tutti per la libertà e per il popolo del Sud? L’oro è davvero solo l’emblema del maltolto alla gente del Sud al quale restituirlo, il simbolo della terra dalla quale si nasce e per la quale si è disposti a morire? Ribellione, amore e coraggio, anche e soprattutto delle donne, dolore, perdita e tradimento si intrecciano con storia e leggenda. Con un finale aperto, terminano sei episodi di questa prima stagione tutta da vedere.

Il contesto storico e la legge Pica

È la storia tormentata e negata di un Sud. Quella della fine della monarchia assoluta del Regno delle Due Sicilie nel Meridione; quella delle violenze e delle angherie dell’esercito piemontese. Quel Sud segnato da ciechi pregiudizi in cui Lombroso aveva rintracciato i tratti somatici inequivocabili di un nemico collettivo; in cui il meridionale ha cominciato e diventare quello che ancora oggi è costretto ad essere, un emigrante; in cui coloro che osavano resistere erano definiti briganti

Segno tangibile di tale contesto, l’emanazione, soltanto un anno dopo rispetto all’ambientazione della serie, nel 1863 della legge Pica. Nel neonato Regno d’Italia, si intese contrastare il brigantaggio sospendendo le garanzie dello Statuto Albertino, applicando leggi inique e discriminando i cittadini meridionali passibili di processo. Una legge che rimase in vigore fino al 1865.

Unificazione o annessione?

Da sempre, occorre un’analisi critica del modo in cui l’unità dell’Italia, per quanto valore condivisibile, fu perseguita. Unificazione o annessione?

«L’Italia non nasce il 17 marzo 1861 ma oltre un secolo prima, quando i piemontesi colonizzano la Sardegna. Un’operazione che poi replicano, riuscendo nell’intento, 140 anni dopo nel Regno delle Due Sicilie», Così ha spiegato lo scrittore e giornalista Pino Aprile, presentando a Reggio lo scorso anno “Il nuovo Terroni”.

Quel periodo storico merita che luce sia fatta in molti suoi angoli. I fatti del Risorgimento, la spedizione dei Mille e un popolo mandato a combattere anche nelle impervie vie montuose dell’Aspromonte al seguito di Garibaldi, cambiarono il destino del popolo meridionale e, al di là di ogni sterile retorica dell’unità nazionale, dell’Italia.

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