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Reggio, Sea Eye 4 ferma al porto da 14 giorni: ancora nessun ricorso notificato dalla ong tedesca

Dopo lo sbarco di 144 migranti soccorsi in mare, l'organizzazione è stata destinataria di un provvedimento di recidiva che blocca l'imbarcazione per 60 giorni, per violazione del decreto Piantedosi. Per le prossime sei settimane non potrà tornare in mare. Incombe anche il rischio della confisca del mezzo

Reggio, Sea Eye 4 ferma al porto da 14 giorni: ancora nessun ricorso notificato dalla ong tedesca

È ferma al porto di Reggio Calabria da due settimane esatte la Sea Eye 4, la nave della ong tedesca destinataria di un provvedimento di fermo con recidiva. Con ogni probabilità il primo da quando il decreto Piantedosi è vigente, ossia dal gennaio dello scorso anno.

L’imbarcazione era entrata in porto con a bordo 144 migranti soccorsi in mare. Secondo quanto di apprende in ambienti istituzionali, essa avrebbe soccorso senza adeguarsi alle indicazioni della guardia costiera libica pronta a intervenire.  Al momento non risulta notificato alcun ricorso da parte della Ong tedesca.

La nave Offshore Support Vessel, costruita nel 1972, naviga attualmente sotto bandiera della Germania, con a ong Sea Eye. La filosofia di soccorso delle persone che rischino di perder la vita in mare è impressa sulla stessa nave dove si legge #LeaveNoOneToDie.

Il comunicato congiunto di United4Rescue, Sea-Watch, SOS Humanity e Sea-Eye

«Con una nuova ondata di arresti, il governo italiano ha “fermato” le navi di salvataggio Humanity 1, Sea-Watch 5 e Sea-Eye 4, dopo il soccorso di oltre 390 persone. Tutte e tre le navi fanno parte dell’alleanza United4Rescue, sostenuta dalla Chiesa protestante e da oltre 900 persone
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. Dal gennaio 2023, un totale di nove navi della flotta civile sono state bloccate dalle autorità italiane in 19 detenzioni.

Ciascuno dei tre arresti attuali si basa su false accuse e richieste illegali. Le autorità italiane sottolineano erroneamente il comportamento poco collaborativo delle navi nei confronti della cosiddetta guardia costiera libica. Gli arresti sono stati preceduti da tentativi da parte della cosiddetta guardia costiera libica di costringere le persone in difficoltà in mare a tornare in Libia, in violazione del diritto internazionale.

La cooperazione con la cosiddetta Guardia Costiera libica sui respingimenti illegali in Libia viola il diritto marittimo internazionale e i diritti umani. La Libia non è un luogo sicuro per le persone soccorse in mare, come ha confermato di recente anche la Corte Suprema italiana. Allo stesso tempo, l’Unione Europea e i suoi Stati membri stanno diventando complici, sostenendo la cosiddetta guardia costiera libica, di violazioni dei diritti umani in mare e nei centri di detenzione libici». È quanto si legge nel comunicato congiunto che poi riporta anche alcune dichiarazioni.

«L’Italia sta cercando con tutti i mezzi di impedire le operazioni umanitarie delle organizzazioni di soccorso in mare. Le detenzioni rappresentano un atto di violenza politica contro decine di migliaia di persone che fuggono attraverso il Mediterraneo per cercare protezione in Europa. Ci difendiamo con tutti i mezzi legali, perché oltre agli arresti c’è anche il rischio che la nostra nave di salvataggio venga confiscata in modo permanente», afferma Gorden Isler, presidente di Sea-Eye.


«Questa escalation rappresenta un nuovo livello di criminalizzazione del salvataggio civile in mare da parte dell’Italia. Ogni giorno di blocco delle navi costa vite umane. Siamo profondamente turbati da questo sviluppo. Chiediamo il rilascio immediato delle navi», afferma Sandra Bils, membro del consiglio di United4Rescue.

Lo sbarco del 10 marzo

Sul molo di ponente, al momento dell’approdo della nave lo scorso 10 marzo, c’era anche la prefetta di Reggio Calabria Clara Vaccaro. Era il primo sbarco del 2024. In realtà, però, era uno sbarco al quale sarebbero seguite delle contestazioni alla ong che aveva eseguito il soccorso. Al momento dello sbarco si era, infatti, ancora in attesa della documentazione da parte del Comando Generale della Guardia Costiera italiana. Poi si sarebbe valutata l’ipotesi di un fermo amministrativo della nave. Fermo poi eseguito e con l’aggravante della recidiva.

Il precedente

La documentazione ha poi evidentemente accertato la violazione del decreto Piantedosi, comportando addirittura l’applicazione accessoria del fermo di due mesi, piuttosto che di 20 giorni, prevista per la reiterazione dell’illecito. La stessa imbarcazione era già rimasta ferma al porto di Salerno lo scorso anno.

Nell’agosto del 2023, infatti, la Capitaneria di Porto di Salerno, il personale della Questura, Digos e Polizia di frontiera, con l’ausilio della Guardia di Finanza, avevano proceduto al fermo amministrativo della nave Sea Eye 4 battente bandiera tedesca. Avevano irrogato una sanzione pecuniaria, dopo aver accertato illeciti nelle condotte dei componenti dell’equipaggio.

Anche in questo secondo episodio, il verbale di accertamento dell’illecito è congiunto e stilato da Capitaneria di Porto, Questura e Guardia di Finanza. Esso condanna la ong al pagamento di una sanzione, fermando in via accessoria il mezzo per 60 giorni.

Dunque trattasi di una reiterazione dell’illecito. Non la prima dall’entrata in vigore del decreto, ma pare la prima in termini di applicazione del fermo prolungato di 60 giorni, anticamera della confisca del mezzo.

La Libia, un paese sicuro?

Una stretta del Governo che parte da Reggio Calabria e che tiene ferma una nave in porto mentre ogni giorno migranti muoiono nel Mediterraneo. Una misura che stride anche in considerazione del fatto che l’alternativa al soccorso sarebbe stata il ritorno dei migranti in Libia, a bordo dei mezzi della guardia costiera libica

Anche se vige un accordo governativo, autorevoli osservatori internazionali sui diritti umani non annoverano la Libia tra i paesi sicuri. Tra questi l’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) agenzia delle Nazioni Unite. In questo senso ci sono, per altro, altrettanto autorevoli sentenze della Cassazione che già stanno intervenendo sulle questioni di legittimità portate alla sua attenzione.

Il nervo scoperto del decreto, secondo lo spaccato messo in evidenza anche da alcune pronunce giurisprudenziali è quello di ritenere la Libia un paese sicuro, affidando in forza dell’accordo rinnovato tra il nostro Governo e quello libico, i migranti alla guardia costiera libica.

Lo scorso febbraio, per esempio, la Corte di Cassazione ha sancito che la consegna di migranti alla guardia costiera libica è reato perché la Libia “non è porto sicuro”. È divenuta così definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alla Guardia costiera di Tripoli.

E intanto a Lampedusa nella notte di ieri sono stati 13 gli arrivi. Giunti oltre 600 migranti mentre all’hotspot di contrada Imbriacola ci sono oltre mille persone. Un barchino non è riuscito a raggiungere la costa. Dispersa una piccola di 15 mesi nel naufragio.

Il caso della Humanity 1 a Crotone

Un altro precedente è stato anche scritto recentemente in Calabria. La settimana scorsa la prima sezione Civile del Tribunale di Crotone ha sospeso il provvedimento di fermo amministrativo della Humanity 1, la nave della Ong tedesca che il 4 marzo scorso aveva condotto al porto di Crotone 77 persone soccorse due giorni prima nel Canale di Sicilia. Il giudice Antonio Albenzio ha motivato la sospensione con il «Travisamento dei fatti» e «compromissione dello svolgimento di indifferibili attività di carattere umanitario».

Le sentenze, però, incidono sulla situazione giuridica oggetto del giudizio specifico. Sono autorevoli ma non hanno valore di legge. È il decreto Piantedosi ad essere legge vigente e a produrre situazioni come quella del sosta prolungata dell’imbarcazione Sea Eye al porto di Reggio Calabria. Avverso questo provvedimento ancora non risulta notificato alle autorità competenti alcun ricorso da parte della ong tedesca. Ma i termini sono ancora aperti e sono di 60 giorni dalla notifica del provvedimento.  

Il doppio soccorso e la richiesta di un porto più vicino

Ricordiamo che la ong Sea Eye 4 era arrivata a Reggio Calabria dopo due soccorsi. Dopo il primo di 84 migranti a bordo di un gommone al largo della Libia, per condizioni meteo avverse, aveva chiesto alle autorità italiane un porto più vicino rispetto a quello di Ancona, distante 800 miglia marittime e raggiungibile in tre – quattro giorni. Nel frattempo, per altro, la Sea Eye 4 aveva eseguito un altro soccorso di 60 migranti. L’appello era stato accolto con l’assegnazione del porto più vicino di Reggio Calabria.

La Sea watch 3

Al porto di Reggio Calabria anche un’altra imbarcazione era stata fermata lo scorso anno, dopo uno sbarco, restando bloccata per sette mesi prima di essere dismessa. Era la Sea Watch 3 ma le contestazioni erano state di altro tenore. A seguito di una lunga ispezione, erano state rilevate delle carenze una serie di gravi carenze tecniche e la mancata osservanza di prescrizioni per la sicurezza, la salute e l’ambiente.

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