venerdì,Aprile 19 2024

Sea Watch fermata al porto di Reggio, la ong: «Bloccati per aver soccorso troppe persone» – VIDEO

La Capitaneria di porto ha disposto il provvedimento amministrativo ieri, dopo una lunga ispezione

Sea Watch fermata al porto di Reggio, la ong: «Bloccati per aver soccorso troppe persone» – VIDEO

Sosta adesso sulla banchina di levante del porto di Reggio Calabria, opposta a quella di approdo, la nave di soccorso della ong tedesca Sea Watch. Non ha ancora potuto lasciare la città dello Stretto perché sottoposta ieri a fermo amministrativo ad opera della Capitaneria di porto dopo una lunga ispezione.

La Direzione Marittima reggina avrebbe rilevato una serie di gravi carenze tecniche e la mancata osservanza di prescrizioni per la sicurezza, la salute e l’ambiente. «Il Governo torna alla pratica dei fermi amministrativi», tuona su Twitter l’ong tedesca che sostiene di «essere stata arbitrariamente bloccata, dopo 13 ore e mezza di controlli, accusata di avere soccorso troppe persone». Secondo la Ong tedesca, la Capitaneria di porto reggina starebbe violando i principi ribaditi di recente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non tenendo conto dell’obbligo fondamentale di prestare soccorso alle persone in pericolo o in difficoltà in mare» e del principio secondo il quale «il numero di persone a bordo, anche se ampiamente superiore a quello autorizzato, non può costituire, di per sé e da solo, una ragione che giustifichi un controllo».

Lo sbarco di 427 migranti

Lo scorso 17 settembre, la Sea Watch veniva autorizzata a entrare nel porto di Reggio con 427 migranti a bordo, di varia nazionalità (Ghana, Mali, Sudan, Sud Sudan, Costa d’Avorio, Marocco, Libia, Egitto, Siria). Numerosi nuclei familiari e molti bambini e bambine.

La misura adottata dalla Direzione Marittima di Reggio Calabria ha riacceso la querelle sulla considerazione di naufraghi come normali passeggeri e sui poteri di controllo esercitabili dallo Stato di approdo su una nave che compia soccorso in mare e che, dunque, salvi delle vite umane.  

Naufraghi o passeggeri?

Aspetti sui quali si è soffermata di recente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in un comunicato rilasciato proprio lo scorso primo agosto e proprio in relazione alla Sea Watch.

Nell’estate del 2020, due navi della Sea Watch erano state oggetto di ispezioni, dopo il trasbordo a Porto Empedocle e Palermo, con la motivazione che non erano ritenute certificate «per l’attività di ricerca e soccorso in mare e avevano imbarcato un numero di persone ampiamente superiore a quello autorizzato», si legge sul comunicato della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ricostruisce la vicenda. «Tali capitanerie hanno inoltre riscontrato l’esistenza di carenze tecniche e operative che comportavano un evidente pericolo per la sicurezza, la salute o l’ambiente e richiedevano il fermo delle navi». A seguito di tali contestazioni la Sea Watch ha proposto due ricorsi, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, per chiedere l’annullamento dei provvedimenti, sostenendo che le capitanerie avevano abusato dei loro poteri. Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, in quell’occasione ha proposto alla Corte alcune questioni pregiudiziali allo scopo di chiarire i limiti di tali poteri. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel trattare tali pregiudiziali, ha richiamato la direttiva 2009/16 e le norme di diritto internazionale vincolanti per gli Stati membri, contenute nella convenzione sul Diritto del mare e dalla convenzione per la Salvaguardia della vita umana in mare, richiamando il dovere del soccorso in mare e sottolineando come il numero di persone a bordo, che nel caso di specie ovviamente non possono essere considerate come passeggeri in viaggio essendo naufraghi che lasciati in acqua non sarebbero sopravvissuti, non può da solo costituire il motivo dell’ispezione.

I principi secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha anche statuito che «una volta completato lo sbarco o il trasbordo di tali persone in un porto, lo Stato di approdo può sottoporre la nave a un’ispezione diretta a controllare il rispetto delle norme di sicurezza in mare. A tal fine, occorre però che tale Stato dimostri, in maniera concreta e circostanziata, l’esistenza di indizi seri di un pericolo per la salute, la sicurezza, le condizioni di lavoro a bordo o l’ambiente. Spetta al giudice del rinvio verificare il rispetto di tali prescrizioni». Lo Stato di approdo può, dunque, sottoporre l’imbarcazione a un’ispezione per controllare che le norme di sicurezza in mare siano state rispettate, accollandosi però l’onere di dimostrare i pericoli che ha ravvisato.

La sentenza statuisce altresì, si legge sempre sul comunicato, che lo Stato di approdo «ha diritto, per dimostrare l’esistenza di indizi seri di un pericolo, di tenere conto del fatto che navi classificate e certificate come navi da carico da parte dello Stato di bandiera sono, in pratica, utilizzate per un’attività sistematica di ricerca e soccorso di persone. Per contro, lo Stato di approdo non può imporre che venga provato che tali navi dispongono di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o che esse rispettano tutte le prescrizioni applicabili a una diversa classificazione». Lo Stato di approdo deve dunque tenere in debita considerazione la certificazione dello stato di appartenenza della nave, né può richiederne una differente da quella prevista, e con criteri di classificazione diversi, dallo stesso Stato di bandiera.

Quindi, si legge ancora nel comunicato rilasciato proprio dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea lo scorso agosto che «nel caso in cui l’ispezione riveli l’esistenza di carenze, lo Stato di approdo può adottare le azioni correttive che ritenga necessarie. Tuttavia, queste ultime devono, in ogni caso, essere adeguate, necessarie e proporzionate. Lo Stato di approdo non può, altresì, subordinare la revoca del fermo di una nave alla condizione che tale nave disponga di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera». Dunque la mancata revoca del fermo non può essere motivata soltanto dall’assenza di certificazione altra rispetto a quella rilasciata all’imbarcazione dallo Stato di appartenenza.

Commenti e precedenti

Il membro del consiglio di amministrazione di Sea Watch, Johannes Bayer, commenta così l’accaduto: «Poco prima delle elezioni politiche, le autorità italiane stanno intensificando la criminalizzazione della migrazione e del soccorso civile in mare. Stanno ancora una volta cercando di impedirci di garantire il diritto alla vita e alla sicurezza delle persone in pericolo in mare. Nonostante i reiterati ostacoli, continueremo senza sosta il nostro lavoro di protezione e di assistenza delle persone in pericolo».

La Sea Watch era stata accusata nel 2019, nella persona della comandante Carola Rackete, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a navi militari per essere entrata nel porto di Lampedusa violando il decreto Sicurezza Bis, per far sbarcare migranti soccorsi in mare. Le accuse sono state archiviate nel dicembre del 2021.

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