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Antonino Laganà è oggi un giovane uomo con tutta la vita davanti. Una vita che ha rischiato di perdere quando di anni ne aveva solo tre, e quel 6 giugno 2008 con altri bambini si trovava in piazza, a Melito Porto Salvo, nel reggino, nel momento in cui ebbe luogo una sparatoria. Una pallottola lo colpì al volto. La madre Stefania Gurnari, ospite nel nostro format A tu per tu presso gli studi del Reggino.it, racconta quegli attimi di terrore.
Spari, in pieno giorno in una piazza piena di bambini
«Eravamo in attesa che ci dicessero dove dovessero posizionarsi i bambini per la recita di fine anno. Io ero con Antonino di tre anni e con Francesco di otto. Mentre Benedetta, di un anno, era un pò più distante con mia madre. La nostra attesa venne spezzata dall’esplosione di colpi di pistola che sul momento non realizzammo fossero tali. Poi vidi un tizio in bilico su un motorino che cercava di riprendere una pistola. Ci ritrovammo in mezzo e a una sparatoria io e i miei bambini.
E chi avrebbe dovuto essere il bersaglio di quell’agguato in pieno giorno, davanti a tutti, anche se molti di quei tutti erano solo bambini, si era difeso, lanciando la bicicletta e iniziando a sparare all’impazzata anche lui.
Con i bambini avrei voluto correre e scappare ma non riuscivo a prendere in braccio Antonino. Dalle mie mani sporche di sangue capivo che era accaduto qualcosa. Solo un attimo passò prima di vedere il mio bambino senza più un volto. Solo sangue. Una pallottola lo aveva colpito in bocca».
La corsa per la sopravvivenza
«Dall’ospedale di Melito fummo stati trasferiti subito a Reggio Calabria. Nel tragitto Antonino non svenne mai. Ebbe tre arresti cardiaci. A Reggio, Antonino fu sottoposto un primo intervento salvavita. Lingua ricucita, rimosse le schegge di proiettile che gli avevano invaso la bocca.

Nel frattempo sopraggiunse anche un’ischemia cerebrale che richiese subito il ricovero urgente al Bambin Gesù di Roma dove rimase in coma fino al 14 giugno successivo. Quando Antonino si risvegliò aveva il volto trasformato. Non parlava, non mangiava, non camminava. È stata davvero dura per tutti, per mio marito Carmelo, per gli altri miei figli, Francesco, che aveva assistito a tutta la scena, e per la piccola Benedetta.
A Roma ci fu detto subito che la situazione era critica. L’intervento era delicato e complesso e dall’esito incerto. Non avremmo potuto negare questa possibilità ad Antonino. Il miracolo avvenne, Antonino superò l’intervento e poi iniziò il lungo e difficile percorso di ripresa. Antonino dimostrò di essere già molto forte e tenace. Una grande voglia di vivere che dimostrò quando mi chiese di tornare a scuola».
Il cammino faticoso verso la ripresa e lo scatto di orgoglio
Seguirono mesi lunghi e difficili, anni faticosi. Un cammino che per Antonino e la sua famiglia fu preludio di rinascita e speranza.

«Oggi Antonino ha più di vent’anni e studia economia a Roma. Io respingo con forza la narrazione per la quale fosse lui nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Chi ha sparato in pieno giorno, in una piazza piena di gente e di bambini è stato è e sarà sempre fuori posto in un paese civile». Lo sottolinea con forza Stefania Gurnari che racconta di avere deciso per questo di restare a vivere a Melito, «a testa alta e dimostrando ogni giorno che noi, come tantissimi altri in Calabria, siamo ben altro rispetto alla ‘ndrangheta».
Libera Memoria
Una storia che l’ha avvicinata a Libera, associazione nella quale adesso è impegnata al fianco dei familiari delle vittime innocenti delle mafie.
Al punto che a un certo punto del suo percorso, Stefania ha deciso di spendersi per altri familiari che, purtroppo, oggi piangono un congiunto che non c’è più, ucciso da mano ancora oggi ignota. Familiari che non hanno avuto giustizia.
«Abbiamo visto assicurati alla giustizia al momento solo i mandanti di quell’omicidio che originò la sparatoria in cui restò ferito Antonino. Una parte di verità che ancora attende di essere conosciuta. Ma lungo il cammino che nel tempo ho scelto di intraprendere, grazie a Mimmo Nasone, ho conosciuto tanti familiari che ancora attendono di sapere chi e perchè.
La mia prima marcia in memoria delle vittime innocenti fu a Napoli nel 2009, un anno dopo il ferimento di Antonino. Ho conosciuto tanti papà, tante mamme, tanti familiari, tanti figli, figlie, sorelle e fratelli che grazie agli insegnamenti di don Ciotti e di Libera sono riusciti a trasformare la loro tragedia in dono per gli altri, in impegno.
Ciascuno dei loro familiari ha un nome, un cognome e una storia. Pronunciare quei nomi ad alta voce, in una piazza in cui tante persone ascoltano, rende quel dolore, fino a quel momento racchiuso nel privato di una famiglia, condiviso. Quel sacrificio non è infatti privato per compiuto per il bene comune. Dunque quella storia va conosciuta, raccontata e tramandata. Per questo è importante e attesa ogni anno la marcia del 21 marzo».
L’appello per il nonno Giuseppe e la nipotina Mariangela
«Altrettanto importante è intitolare spazi, comuni, come strade, piazze parchi alla loro memoria. Un altro modo per continuare a pronunciare quel nome. Colgo questa occasione per rinnovare l’appello già formulato al sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, affinché intitoli un parco alla memoria di nonno Giuseppe Maria Biccheri e delle nipotina Mariangela Anzalone, morti insieme, vittime della violenta faida di Oppido Mamertina l’8 maggio 1998». Così ha concluso Stefania Gurnari, madre di Antonino e referente Libera Memoria Reggio Calabria.