«Il manto del lupo si indossa solo se ci sono gli agnelli». La frase scelta dal procuratore Stefano Musolino nel commentare il blitz che ha nuovamente colpito al cuore la cosca Piromalli pesa come un macigno sul destino e la responsabilità di un’intera comunità, quella di Gioia Tauro. Con queste parole, il magistrato ha denunciato non solo la forza del clan, ma la debolezza – o peggio, la complicità silente – del contesto sociale e istituzionale che ha consentito il ritorno indisturbato del boss Giuseppe Piromalli, detto “Facciazza”, alla guida dell’organizzazione.
Musolino, affiancato dai vertici investigativi, ha sottolineato come l’operazione sia il frutto di un lavoro investigativo certosino, iniziato dal Procuratore Giovanni Bombardieri e Paolo D’Ambrosio e proseguito con una serie di integrazioni, culminate in misure cautelari personali e patrimoniali. Un attacco coordinato, dunque, che ha colpito non solo gli uomini del clan, ma anche i loro patrimoni e il sistema economico deviato che li sosteneva.

Ma è sul piano sociale che arriva la riflessione più amara: «Quello che si può registrare – ha detto Musolino – è una mollezza del tessuto sociale gioiese. Sia sul versante imprenditoriale che su quello cittadino. Una permeabilità pericolosa, che come cittadino e come pubblico ministero non posso non rilevare con preoccupazione».
Parole che smascherano una città incapace di reagire, o peggio, rassegnata. Mentre il boss “Facciazza”, tornato dal 41 bis, si riappropriava del suo ruolo di comando, l’intero territorio non ha mostrato né resistenza né indignazione. Anzi, afferma Musolino, «è stato subito riconosciuto quale vertice assoluto», come se il tempo si fosse fermato.


Nel mirino anche il Comune di Gioia Tauro, reo – secondo il magistrato – di aver emesso un comunicato stampa «inutile e vuoto», incapace di esprimere una reale presa di posizione. «Spero – ha aggiunto – che il Comune, dopo aver letto gli atti processuali, possa prendere maggiore coscienza di quelli che sono alcuni problemi che stanno dentro la società gioiese».
Il procuratore ha poi ricordato il valore delle indagini coordinate da Giovanni Bombardieri e il ruolo della Procura di Reggio Calabria, che con l’arrivo del procuratore Borrelli ha potenziato la capacità d’azione, puntando su un’analisi profonda dei fenomeni criminali e sociali.


L’inchiesta, infatti, ha messo a nudo un sistema in cui la criminalità organizzata agisce con sistematicità, intervenendo persino nelle aste giudiziarie, con l’obiettivo di tenere il controllo di ogni leva economica del territorio. La scelta della Procura di rendere pubblico il provvedimento cautelare è un ulteriore gesto di trasparenza, che punta a stimolare la riflessione pubblica.
Quello che emerge dalle parole del magistrato non è solo l’esito di un’indagine, ma il grido di allarme di uno Stato che lavora, sì, ma che non può e non deve restare solo. L’auspicio – e l’appello – è che la società civile, le istituzioni locali, gli imprenditori e i cittadini non si voltino ancora una volta dall’altra parte. Perché – come ha ricordato Musolino – «il lupo può tornare solo se nessuno ha il coraggio di fargli fronte».