80 anni di Liberazione, il cittanovese Alberto Cavaliere e le memorie dell’ebrea sopravvissuta Sofia Schafranov
L’Italia fu liberata pochi mesi dopo l'apertura dei cancelli di Auschwitz e degli altri campi di concentramento nazisti. Proprio nel 1945, il giornalista reggino fu tra i primi a raccogliere e a pubblicare la testimonianza di chi era riuscito a tornare

La storia dell’Italia lacerata da una dittatura e dalle leggi razziali e anche la storia funestata dai campi di concentramento in Europa durante la seconda Guerra mondiale. In questo 2025, lo scorso 25 aprile ha segnato gli Ottant’anni dalla Liberazione dell’Italia dal Nazifascismo. Un anniversario importante preceduto da quello del 27 gennaio in cui sono stati celebrati gli Ottant’anni dalla liberazione a opera dei Sovietici del campo di concentramento nazista di Auschwitz in Polonia. L’esperienza dell’internamento è stata imposta anche in Italia dal Fascismo e proprio nel dicembre del 1945 fu chiuso il campo di concentramento fascista più grande allestito dal regime: quello di Ferramonti di Tarsia, nel cosentino. Dunque la Liberazione nel nostro Paese nel 1945 assume pure il senso profondo di questa memoria. Da qui la scelta di celebrare l’ottantesimo anniversario della Liberazione, lo scorso 25 aprile, anche nel campo di Ferramonti di Tarsia.
I fili della memoria
Entrò in funzione nel giugno del 1940. Costituito da 92 baracche su una distesa di 16 ettari, privo di camere a gas, fu il primo campo ad essere liberato dagli Alleati, il 14 settembre 1943, e l’ultimo ad essere chiuso l’11 dicembre 1945. Molti, non avendo dove andare, restarono infatti lì per qualche tempo, anche dopo la Liberazione.
Un anniversario particolarmente pregno anche per la Calabria che annovera tra i suoi personaggi illustri anche Alberto Cavaliere, poeta e giornalista originario di Cittanova, nel reggino, al quale si deve la raccolta e la pubblicazione di una delle prima memorie di ebrei deportati e sopravvissuti in quei campi pubblicata in Italia. Ciò avvenne proprio ottant’anni fa, nel 1945, con i caratteri della casa editrice Sonzogno Milano.
Le prime memorie in Italia
“I campi della morte in Germania: nel racconto di una sopravvissuta” di Alberto Cavaliere (1945, Sonzogno), questo il titolo del volume che racconta la storia di Sofia Schafranov, medico di origini russe e sua cognata, sopravvissuta a quasi due anni di prigionia nei campi di concentramento nazisti.
Questo l’incipit del libro: «Quando, il 1° dicembre 1943, apparve sui giornali della neo-repubblica la notizia che il duce invitto e invincibile aveva decretato l’arresto di tutti gli ebrei, quella notizia sembrò così inverosimile, sia pure in un’Italia in cui si accampavano i lanzichenecchi nazifascisti, che pochi ci credettero. Si pensò che si trattasse di una semplice minaccia, intesa, più che altro, a dare un contentino ai tedeschi».
Queste memorie (rieditate anche nel 2010 con i caratteri delle edizioni Paoline), in occasione dell’80° anniversario della liberazione nel campo di concentramento di Auschwitz e del 70° anniversario della nascita del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, sono state selezionate tra alcune prime edizioni di volumi di testimonianze conservate nella biblioteca del Cdec per essere proposte e rilanciate.
Le prime testimonianze dell’orrore
Unitamente alla memoria raccolta dal calabrese Alberto Cavaliere, ecco le altre testimonianze sulla vita nei campi di concentramento e sulla realtà della guerra pubblicate tra il 1944 e il 1956. Le date di pubblicazione molto vicine ai tragici fatti raccontati, rendono queste pubblicazioni documenti di straordinario valore storico che con la storia custodiscono anche l’urgenza di raccontare quella terribile l’esperienza. Un racconto che che continua ancora oggi a permetterci di conoscere la realtà terribile di quei luoghi.
Ecco gli altri volumi selezionati: L’internata numero 6: donne tra i reticolati di un campo di concentramento di Maria Eisenstein (1944, Donatello De Luigi editore); Guerriglia nei castelli romani di Pino Levi Cavaglione (1945, Einaudi), Campo di rappresaglia di Nassim Calef (1946, De Carlo), Caccia all’uomo! Vita sofferenze e beffe. Pagine di diario 1938-1944 di Luciano Morpurgo (1946, casa Editrice Dalmatia), Questo povero corpo di Giuliana Tedeschi (1946, Edit), A. 24029 di Alba Valech Capozzi (1946, Soc. An. Poligrafica, Siena), Se questo è un uomo di Primo Levi (1947, Francesco De Silva), Vagone piombato di Esther Joffe Israël (1949, Mondadori), Perché gli altri dimenticano di Bruno Piazza (1956, Feltrinelli).
Alberto Cavaliere, il giornalista che amava scrivere in versi
Alberto Cavaliere (Cittanova, 19 ottobre 1897 – Milano, 7 novembre 1967) fu poeta, giornalista e politico italiano.
Ha scritto in versi fin dall’età di 12 anni ed è spesso ricordato per la sua Chimica in versi, originale libro scaturito da un esame universitario non superato. Non scoraggiato dalla bocciatura, volle reagire trasponendo in versi l’intero corso di Chimica generale e poetando sostenne l’esame.
Laureatosi in Chimica alla Sapienza di Roma, si trasferì a Milano dove presto la professione di chimico cedette il passo alla vera passione dei versi e del giornalismo.
Fu oppositore del fascismo, Cavaliere si iscrisse per qualche anno al Pci clandestino e dopo l’8 settembre al Psi.
Avendo sposato un’ebrea russa di nome Penny Kaufmann, detta Fanny, dalla quale ebbe due figli (Alik, noto scultore e docente presso l’Accademia di belle arti di Brera di Milano, e Renata, pediatra e imprenditrice degli yogurt Yomo, da vedova del fondatore Leo Vesely), a causa delle leggi razziali allora vigenti, Cavaliere fu costretto a 17 lunghi mesi di fuga e clandestinità protrattisi fino alla Liberazione.
La suocera e la cognata Sofia Schafranov furono deportate ad Auschwitz. Nel 1945 Cavaliere raccolse e pubblicò, con i caratteri di Sonzogno Milano, la testimonianza della cognata sopravvissuta con il titolo “I campi della morte in Germania nel racconto di una sopravvissuta”. Quella fu una delle prime memorie dei campi di concentramento pubblicate in Italia,
Nel Pioniere tra settembre 1950 e aprile 1951 vennero pubblicate 32 puntate settimanali illustrate della storia Leggenda di Romacon suoi testi e con le illustrazioni di Raoul Verdini.
Il partito lo candidò nel 1951 al Consiglio Comunale di Milano e due anni dopo alle politiche. Fu sempre eletto e fu Deputato per il Psi nella legislatura 1953-1958. Ma la politica non lo distolse dalla poesia. Presentò anche argute e pungenti interrogazioni parlamentari in versi.
Il 30 ottobre 1967, una motocicletta lo travolse a Sanremo. Morì il 7 novembre successivo. Le sue ceneri vennero poste al Cinerario di Levante del Cimitero Monumentale di Milano, nella tomba 79, che in seguito ospiterà anche le ceneri del figlio Alik.
Una via a Milano reca il suo nome mentre il suo paese natio, Cittanova, nel 1973 commissionò una scultura al figlio Alik, oggi collocata presso la bellissima Villa comunale Carlo. Ruggiero.
Sofia Schafranov salvata dalla sua professione
Sofia Schafranov (Sara Abranovna Kaufmann) nacque in Crimea nel 1891 da una famiglia ebraica, conoscendo fin da bambina la realtà dei pogrom e delle persecuzioni antisemite in Ucraina. Dopo essersi laureata in medicina a Mosca, specializzandosi nella cura della tubercolosi, sposò un nobile russo, rimasto poi ucciso durante la Rivoluzione Russa. Partì alla volta Costantinopoli, poi si trasferì a Parigi e infine, proprio nel 1938 con l’anziana madre, arrivò in Italia dove già viveva una delle sorelle con il marito, il giornalista Alberto Cavaliere.
Sofia Schafranov, ottenuta nel 1933 l’abilitazione per la professione medica presso l’Università di Palermo, si stabilì a Sondalo, in provincia di Sondrio, dove lavorò come medico presso un sanatorio privato per malati di tubercolosi.
Nell’Italia delle leggi razziali, fu arrestata il 2 dicembre 1943 insieme a un’altra dottoressa ebrea che lavorava nello stesso ospedale, Bianca Morpurgo, e alla madre Etta Blinder. Dopo essere stata detenuta nel carcere di Sondrio, nel 1944, con gli altri detenuti ebrei venne trasferita nel carcere di San Vittore di Milano e poi deportata a Birkenau. Qui a salvare le vita di Sofia Schafranov (n. 75181) e Bianca Morpurgo (n. 75183) fu la loro professione medica. Furono impiegate, infatti, nell’infermeria del campo femminile.
Trasferita nel lager di Ravensbrück e infine in quello di Mauthausen, Sofia fu liberata dall’arrivo dell’esercito statunitense il 5 maggio 1945. L’amica e collega Bianca Morpurgo era già stata liberata a Dresda già nell’aprile 1945.
Al suo ritorno in Italia, la testimonianza di Sofia Schafranov fu raccolta in una lunga intervista dal cognato Alberto Cavaliere, e pubblicata appunto nel libro “I campi della morte in Germania nel racconto di una sopravvissuta” (Milano: Sonzogno, 1945). Una delle prime testimonianze di ebrei deportati pubblicate in Italia. Raccontò i viaggi massacranti, il freddo, la fame, le selezioni, i maltrattamenti, le percosse, le umiliazioni, il tifo, gli aguzzini, le stragi, il servizio medico presso il Revier o lazzaretto di Birkenau, dove cinquecento “cadaveri viventi” combattevano tra la vita e la morte. Raccontò tutto l’orrore che aveva vissuto e visto.
Con Sofia Schafranov, gli altri deportati sopravvissuti che raccontarono subito furono sette furono Lazzaro Levi alla fine del 1945, Giuliana Fiorentino Tedeschi, Alba Valech Capozzi, Frida Misul e Luciana Nissim Momigliano nel 1946, e infine nel 1947 Primo Levi e Liana Millu. Più tardi si aggiunsero Luigi Ferri che depose in tedesco nell’aprile 1945 di fronte ad uno dei primi tribunali d’inchiesta sui crimini nazisti, e Bruno Piazza, il cui memoriale fu però pubblicato soltanto nel 1956.
Nel Dopoguerra Sofia Schafranov tornò alla sua attività di medico e tisiologa ma non raccontò più la sua terribile esperienza nei campi. Su di essa calò il silenzio rotto solo dalla pubblicazione di Alberto Cavaliere. Morì a Roma, all’età di 103 anni, nel dicembre 1994.