Nell’Aula “Francesco Fortugno” del Consiglio regionale oltre centocinquanta studenti, istituzioni, Chiesa e Corecom italiani hanno vissuto un evento che unisce educazione, spiritualità e responsabilità digitale, con un messaggio nazionale contro il cyberbullismo
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C’è stato un momento, nell’Aula «Francesco Fortugno» del Consiglio regionale della Calabria, in cui il tempo ha smesso di correre. Più di centocinquanta ragazzi, seduti fra i banchi della democrazia, hanno ascoltato in silenzio, e quel silenzio ha parlato più di qualunque applauso. Lì, dove solitamente si votano leggi e si scrivono delibere, il 18 ottobre è andato in scena qualcosa di diverso: un evento che non è solo un’iniziativa istituzionale, ma l’inizio di un cammino collettivo, il primo passo di una rivoluzione culturale ed educativa che parla di anima, responsabilità e futuro.
Per la prima volta in Italia, un Vescovo – S.E. Monsignor Attilio Nostro, Vescovo della Diocesi di Mileto, Nicotera e Tropea – è stato chiamato a guidare come Presidente Onorario l’Osservatorio «Media e Minori» del Corecom Calabria. Un segno profondo, un gesto dirompente: la Chiesa che incontra i media, la spiritualità che abbraccia la tecnologia, la parola che si fa ascolto. Monsignor Nostro, da tempo vicino ai giovani attraverso una web tv diocesana dedicata al dialogo e all’incontro, ha parlato ai ragazzi non da cattedra ma da cuore a cuore, rivelando loro con disarmante sincerità: «Anch’io sono stato un bullo da bambino. Ho detto parole che hanno ferito. Ho taciuto quando qualcuno aveva bisogno. Oggi, capisco ogni singola sofferenza. Quando tornate a casa, abbracciate i vostri genitori. Vi hanno mai chiesto come state? Oggi lo chiedo io: come state? Vi hanno mai abbracciato? Abbracciateli voi».
Quelle parole, semplici e immense, hanno attraversato l’aula come un’onda. Si sono posate sui volti dei ragazzi, hanno spezzato le distanze e costruito il ponte che il Corecom Calabria aveva immaginato: un portale ideale, capace di unire le nuove generazioni ai loro genitori, di riportare dialogo dove spesso regna silenzio. In quell’abbraccio ideale, nell’eco di quelle domande, si è compiuto il sogno: un Osservatorio che non sia solo vigilanza, ma tenerezza, non solo monitoraggio, ma casa.
A introdurre e a rendere possibile questo evento senza precedenti sono stati Fulvio Scarpino, Presidente del Corecom Calabria, Mario Mazza, Vicepresidente, e Pasquale Petrolo, Segretario: tre voci, una sola visione. Hanno creduto, sin dall’inizio, che la tutela dei minori e la responsabilità dei media non potessero più essere temi «da convegno», ma radici di una nuova educazione civile.
Con il patrocinio dell’AGCOM, con le risorse economiche rese disponibili direttamente da Roma, con il sostegno dell’Università Magna Graecia di Catanzaro e la collaborazione del Presidente e di tutto il Consiglio regionale della Calabria, maggioranza e opposizione unite in un solo respiro istituzionale, è nata un’iniziativa che resterà negli annali dei Corecom italiani. L’evento ha visto inoltre la partecipazione e il sostegno convinto del Coordinamento Nazionale dei Corecom, con Presidenti giunti per testimoniare la loro adesione a un progetto che fa del Corecom Calabria il capofila di una nuova stagione di impegno.
In particolare, gli interventi della Presidente del Corecom Valle d’Aosta, Elena Boschini, del Presidente del Corecom Lombardia, Cesare Gariboldi, e del Presidente del Corecom Molise, Vincenzo Cimino, hanno illuminato l’aula con un messaggio condiviso: i Corecom italiani non sono più solo autorità di vigilanza, ma garanti morali e sociali di un web che deve tornare umano, consapevole, accogliente. Le loro parole, intense e vere, hanno mostrato un’istituzione che cambia volto e che sceglie di camminare accanto alle famiglie e ai ragazzi.
Poi, all’improvviso, la luce si è abbassata. Sullo schermo, il volto di una ragazza — dolce, vivace, con gli occhi pieni di futuro — ha riempito l’aula. Era Carolina Picchio, la prima vittima riconosciuta di cyberbullismo in Italia. Aveva solo quattordici anni quando la rete, quella stessa rete che per tanti è gioco, scoperta, curiosità, si trasformò per lei in un tribunale senza pietà. Carolina era una ragazza come tante: intelligente, sorridente, generosa. Amava la danza, la scuola, i suoi amici. Ma proprio quegli amici, o quelli che lei credeva tali, diventarono il suo inferno.
Una festa, una notte, un video rubato e condiviso. Poi le parole, i commenti, le risate. La vergogna che si moltiplica e cresce, invisibile, nella crudeltà di chi non capisce il peso di un clic. Carolina ha provato a resistere: ha chiesto aiuto, ha cercato di spiegare, ha creduto che il tempo avrebbe guarito. Ma la rete non conosce silenzio, non conosce oblio. La violenza continuava, incessante, feroce. E così, in una notte di gennaio del 2013, lasciò poche righe: «Le parole fanno più male delle botte». Poi si gettò nel vuoto, perché quel vuoto le sembrava meno crudele dell’indifferenza degli altri.
In sala, mentre il video della Fondazione Carolina scorreva, non si sentiva un respiro. Le immagini mostravano la sua allegria, il suo sorriso che cercava ancora la vita. Poi, lentamente, la voce del padre riempì il silenzio. Paolo Picchio non parlava da ospite, ma da uomo trafitto e rinato. Con un tono sommesso, spezzato dalla commozione, ha raccontato il dolore di un padre che ha dovuto riconoscere la propria figlia solo attraverso il rumore dei social. Ha parlato dei giorni del silenzio, della stanza vuota, delle risposte mancate.
E quando ha detto: «Io ho perso mia figlia, ma non voglio che altri padri perdano le loro», l’aula si è sciolta in lacrime. Le sue parole non erano rabbia, ma una preghiera civile, un grido che chiedeva amore, educazione, presenza. Ha raccontato di come, in questi anni, abbia trasformato il dolore in impegno, fondando una rete di speranza attraverso la Fondazione Carolina, per portare nelle scuole, nelle famiglie, tra i giovani, la cultura della responsabilità digitale. Non una vita dedicata al ricordo, ma una vita dedicata alla salvezza: fare in modo che non ci siano più altre Caroline.
I ragazzi ascoltavano con le mani intrecciate, molti piangevano. Gli adulti, incapaci di trattenere l’emozione, abbassavano lo sguardo: si sentivano chiamati in causa. Era impossibile non vedere, in quel racconto, il dolore di una generazione intera. Ogni parola di Paolo Picchio arrivava come un colpo al petto, ma anche come un balsamo: la verità che ferisce per guarire.
Nel suo sguardo c’era la stanchezza di un padre, ma anche la forza di un uomo che ha trasformato la tragedia in missione. «Carolina — ha detto — non è morta. Ogni volta che un ragazzo trova il coraggio di chiedere aiuto, lei vive ancora. Ogni volta che un adulto sceglie di ascoltare, lei è accanto a noi». E allora, in quell’aula dove la politica aveva lasciato spazio all’umanità, si è levato un applauso che non era rito ma liberazione.
Le lacrime scorrevano, indistinte, sui volti dei ragazzi e degli adulti. C’era chi chiudeva gli occhi, chi si asciugava il viso con la mano, chi cercava un abbraccio. L’emiciclo del Consiglio regionale, per una volta, non era solo luogo di decisioni: era diventato una grande casa dove il dolore trovava voce e la speranza prendeva corpo. È stato in quel momento che si è compreso il vero senso dell’evento: trasformare la tragedia in consapevolezza, la memoria in rinascita, la rete in relazione.
Paolo Picchio ha insegnato, con la sua presenza, che il coraggio non è dimenticare, ma scegliere di ricordare per proteggere gli altri. E così, nel silenzio delle emozioni, tra gli sguardi lucidi dei ragazzi e le mani intrecciate dei Corecom italiani, è nata la promessa più alta: mai più silenzio, mai più indifferenza. Da quella commozione collettiva è nata la consapevolezza che questa è la battaglia di tutti: genitori, insegnanti, istituzioni, media, comunità. È la battaglia per la dignità, per la verità, per la vita.
A portare la voce della comunicazione pubblica è stato Massimo Fedele, Direttore di Rai3, che ha parlato di armonia e responsabilità: «Quando la televisione incontra la scuola e la Chiesa, nasce qualcosa che educa, che non dimentica». Parole che hanno trovato eco nei volti attenti dei ragazzi e nella determinazione di chi lavora ogni giorno dietro le quinte.
Il Corecom Calabria ha costruito, passo dopo passo, un mosaico perfetto, fatto di rigore, passione e cura. Ha reso possibile ciò che molti ritenevano un sogno: un evento senza precedenti in Italia. A suggellare la giornata, nella Sala delle Commissioni regionali, si è tenuto — per la prima volta in Calabria — il Coordinamento Nazionale dei Presidenti dei Corecom italiani, diretto dalla Coordinatrice nazionale Carola Barbato e dai Presidenti delle regioni Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Basilicata e Liguria, che ha ribadito in modo unanime il pieno sostegno al progetto calabrese.
Un gesto concreto che ha trasformato un evento regionale in un simbolo nazionale. Il messaggio che da Reggio Calabria si è levato verso l’Italia intera è chiaro e forte: il Corecom Calabria è pioniere di un nuovo modo di intendere la comunicazione pubblica, dove la tutela dei minori, la consapevolezza digitale e l’educazione affettiva diventano missione civile.
Con la benedizione dell’AGCOM, questo progetto non si ferma: è destinato a crescere, a viaggiare, a diventare modello. La riuscita dell’evento — primo in Italia — è merito anche della squadra del Corecom Calabria, guidata dal Direttore Maurizio Priolo e composta dai funzionari Daniela Biancolini, Francesca Marciano e Isidoro Briuzzese, che hanno curato con dedizione ogni dettaglio logistico, tecnico e organizzativo di una giornata che nessuno potrà mai dimenticare.