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«Nell’immaginario collettivo, i fari evocano un senso di solitudine perché spesso posizionati in zone isolate. Per me invece hanno sempre rappresentato un luogo in cui sentirsi liberi e al sicuro, come sono state la mia infanzia e la mia giovinezza. Nei fari in cui ho vissuto con la mia famiglia sentivo sempre il rumore delle onde del mare, per me una sinfonia che mi emozionava profondamente».
Francesco Guarnaccia si emoziona ancora quando pensa ai suoi primi 25 anni di vita trascorsi nei fari, al seguito di suo padre Giovanni (classe 1925), fin da giovanissimo impegnato nell’attività di fanalista. Il primo fu quello in cui nacque a Capo Spartivento, nel reggino, la cui prima accensione risale al 10 settembre 1867.
«Mio padre, da ragazzo trascorreva molto tempo con lo zio Giovanni, fanalista del faro di Capo Spartivento durante la Seconda Guerra mondiale. Mi raccontava che nel 1942, Spartivento era una postazione fissa utilizzata dai tedeschi per bombardare le navi in transito. Poi subentrarono gli inglesi, che ritennero quella posizione altrettanto strategica. Erano loro a chiedere allo zio Carmelo di accendere il faro per orientarsi in mare. I fari nelle carte nautiche figurano con le loro caratteristiche di ottica e di tempi di luce ed eclisse proprio per essere indicative dei luoghi», racconta Francesco Guarnaccia, oggi residente a Villa San Giovanni.
La vita nei fari
«Tutti i fari dove ho vissuto mi sono rimasti nel cuore. Le cene a lume di candela a Capo Rossello ad Agrigento dove non c’era la luce elettrica e tutto andava a petrolio, poi a Palermo e a Villa San Giovanni, città dove io mi sono fermato all’età di 25 anni circa e dove adesso ancora vivo. Mio padre Giovanni invece ha concluso il suo percorso professionale a Capo Spartivento, a Reggio Calabria, dove tutto era iniziato. Lì aveva avuto il primo incarico, seguendo le orme dello zio Carmelo, nella seconda metà degli anni Quaranta. Infatti nel faro di Capo Spartivento io sono nato. Era il 1949. Ho trascorso lì un tempo meraviglioso, respirando aria di mare e con la distesa azzurra in ogni istante negli occhi. Ho ricordi bellissimi della mia infanzia con mio fratello Enio, anche lui nato lì nel 1951. Mia sorella nacque dopo».
L’infanzia al faro
«Fuori dall’appartamento assegnato a mio padre, che per accendere e liberare l’ottica dai pannelli di tela bianchi all‘imbrunire e per spegnere e ricoprire all’alba del giorno dopo, viveva lì con tutti noi, c’era un grande spazio aperto. Lì trascorrevamo le nostre bellissime giornate. Ho davvero lì i miei ricordi più belli. A volte ci spingevamo fino al quello che chiamavamo il “sermaforo”, un tempo postazione per le previsioni meteorologiche e oggi postazione radar.
Accanto al faro di Capo Spartivento c’è ancora il nostro appartamento. È chiuso. Vorrei tornare a sostare in quei luoghi così cari al mio cuore. Ho provato lo scorso anno, ma senza autorizzazione non mi è stato consentito l’accesso. Un vero e proprio tonfo al cuore non poter entrare lì dove sono nato e dove ho trascorso l’infanzia. Chiederò l’autorizzazione a Fari Messina perchè desidero tornare in quel luogo», conclude Francesco Guarnaccia.
Il faro più a Sud del Sud
Dai suoi 64 metri di altezza sopra il livello del mare Ionio, il faro di Capo Spartivento ha emesso il primo fascio di luce il 10 settembre 1867. Dalla sua torre alta 15 metri domina un ampio tratto di costa, al confine tra Palizzi e Brancaleone, sul litorale della città metropolitana di Reggio Calabria, in punta all’Italia, nel luogo più a sud del Sud.
Ogni otto secondi un fascio di luce illumina fino a ventiquattro miglia nautiche di distanza e in trentadue secondi il faro con la sua ottica rotante compie un giro completo, scandito da quattro bagliori.
Dal 1935 è alimentato con l’elettricità e dal 1995 tutto meccanizzato con l’avvento delle tecnologie.
Il racconto dell’accensione del 10 settembre 1867
Antonino Fortunato Aloi, dirigente tecnologo, originario di Galati, frazione di Brancaleone nel reggino, ed emigrato a Milano, ha dedicato la sua passione per la scrittura alla sua terra di origine. Tra le sue pubblicazioni anche “I Marafiori e Capo Spartivento” dove descrive minuziosamente anche il momento dell‘accensione del faro 156 anni fa. Riproponiamo la pagina del suo volume edito da Ibuc.
«La sera del 10 settembre 1867, il sole tramontava dietro le sue montagne dell’Aspromonte e i tecnici cominciarono ad armeggiare attorno ai dispositivi di accensione. Uno rimase giù vicino alle cisterne riempite di olio di oliva fino all’orlo. L’altro risalì sulla balconata ed entrò nella cupola trasparente. Il direttore dei lavori, appoggiato al muraglione di cinta braccia conserte, seguiva con apparente distacco ogni movimento. Imbrunire, l’ora fissata erano le 19:00 in punto: l’uomo dentro la cupola fece un cenno al collega col naso all’insù nel piazzale.
I rubinetti furono aperti e, dopo qualche istante correndo veloce nei tubi sali al bruciatore. Il tecnico dentro la apri l’ugello e accese le varie micce.
Una vivida fiammata illuminò la cupola: il gioco delle lenti a rotazione ideati dal fisico Fresnel cominciò a governare le fasi di buio acceso e un lungo raggio luminoso balenò sul mare…
Con metodica tempistica ne seguirono altri, poi altri ancora… Evviva il faro di Capo Spartivento era acceso in forma ufficiale.
La corvetta ancorata a un miglio dal promontorio emise ripetuti sibili di sirena.
Attimi emozionanti, accompagnati dall’applauso dei tecnici, insieme a pochi contadini con permesso speciale avuto da don Matteo di rimanere alla marina fino alla prima ora buia.
Il continuo pulsare dei raggi luminosi rappresentava un segnale importante: ormai la vita si era accesa in quel mondo selvaggio su quella riva deserta fin dall’antichità, dove la fiumara dell’Aranghia gettava nel mare, dove terminava l’Italia, ora illuminata da luce perpetua.
Nel punto geografico, segnato appena sulle carte, si era assiso uno speciale angelo bianco: il faro maestoso dominava dal suo pulpito e lanciava sul mare bagliori rassicuranti, a dirigere naviganti tracciando loro la rotta. A Capo Spartivento si era avviata una storia importante, aperta una nuova era. Attorno a quei costoni impervi dirupati sul onda del mare si metteva in moto un cambiamento epocale».

