Sabina Radu, immobilizzata dalla SLA, e il marito Sergio, malato oncologico, vivono tra tagli, ritardi e promesse politiche rimaste lettera morta. L’onorevole Vittoria Baldino torna a chiedere risposte immediate
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È una storia che stringe lo stomaco, quella di Sabina Radu e di suo marito Sergio, a Taurianova. Una storia fatta di dolore, di fragilità, ma soprattutto di una solitudine istituzionale che pesa più della malattia stessa. Sabina, 40 anni, affetta da SLA dal 2015 comunicatrice lucida tramite puntatore oculare, si trova oggi costretta a considerare l’idea dell’eutanasia non per il dolore fisico, ma per la violenza burocratica che la circonda. Una burocrazia che l’ha privata di ciò che per lei conta più di tutto: la possibilità di restare nella propria casa, accanto al marito Sergio, anch’egli affetto da una patologia oncologica.
Le promesse politiche di quest’estate – impegni rassicuranti, parole piene, dichiarazioni di vicinanza – sono svanite nel nulla. Nulla è cambiato. Nessuna misura concreta, nessun sostegno reale. Il risultato? Una coppia già provata dalla malattia che oggi si sente tradita, schiacciata, dimenticata. A riportare con forza la vicenda all’attenzione pubblica è ancora una volta l’onorevole Vittoria Baldino (M5S), che interviene con toni duri:
«Sabina Radu è una donna lucida, immobilizzata dalla SLA, che chiede l’eutanasia non per il dolore fisico, ma perché lo Stato le sta togliendo la possibilità di restare a casa sua: questo è intollerabile».
Nonostante il riconoscimento del giudice tutelare del Tribunale di Palmi della piena capacità di intendere e volere, Sabina rischia di essere trasferita in una struttura contro la sua volontà: l’assistenza domiciliare è drammaticamente insufficiente, e il peso quotidiano dell’assistenza ricade quasi totalmente su Sergio.
Dal mese di luglio, denuncia Baldino, Sabina vive con appena 900 euro mensili: l’Home Care Premium dell’INPS è sospeso e il nucleo familiare riesce a pagare due badanti solo grazie a una raccolta fondi. «È paradossale – afferma Baldino – che mentre la legge tutela la dignità e l’autodeterminazione, la filiera assistenziale si inceppi proprio quando la paziente ne ha più bisogno».
Tre le richieste urgenti presentate al governo: ripristino immediato dell’Home Care Premium, con ricalcolo aggiornato dell’ISEE; adeguamento del Piano Assistenziale Individuale da parte dell’ASP di Reggio Calabria; verifica di eventuali omissioni o ritardi nell’assistenza socio-sanitaria. La deputata conclude con parole che non lasciano spazio a interpretazioni: «Sabina non chiede la morte, chiede di poter vivere a casa sua, accanto a chi ama. Ogni ora di attesa pesa sulla vita e sulla dignità di Sabina e della sua famiglia. Qui è in gioco la civiltà del Paese».
Questa vicenda non è solo una storia personale: è un atto d’accusa diretto contro le sue istituzioni. Una condanna morale che pesa come un macigno. Non può esserci alcuna giustificazione, nessuna attenuante possibile, per un sistema che riesce a trasformare una malattia in una condanna alla solitudine, alla povertà e alla disperazione.
Se Sabina e Sergio oggi sono sull’orlo del baratro, non è per colpa della SLA, ma per colpa della macchina amministrativa che li ha abbandonati, di una politica che promette e non mantiene, di uffici che tagliano, sospendono, rinviano, mentre due vite reali si consumano.
Se le istituzioni non intervengono subito, senza tergiversare, senza scaricabarile, senza nuovi annunci vuoti, avranno la responsabilità morale e storica dell’epilogo di questa vicenda. Perché l’omissione non è un atto neutro: è un peso che ricade su questa coppia già spezzata, un peso che rischia di diventare irreversibile perché se Sergio come Sabina desiderano la morte nessuno può sentirsi escluso dalle responsabilità. Nessuno. Non c’è spazio per altre promesse. Adesso servono fatti. E servono ora.

