Appalti ed estorsioni a tappeto, così la ‘Ndrangheta 2.0 sta soffocando la Lombardia
Quindici anni di attività criminali fra Como e Varese, con l'obiettivo di espandersi anche in Svizzera. Imprenditori minacciati e vessati
La complessa attività di indagine, sviluppatasi in coordinamento tra la DDA di Milano e la DDA di Reggio Calabria, ha consentito di ricostruire la storia di circa quindici anni di presenza della ‘ndrangheta nel territorio a cavallo tra le province di Como e Varese, evidenziandone la vocazione sempre più imprenditoriale e svelandone le modalità di mimetizzazione e compenetrazione con il tessuto economico-legale.
Circa quindici anni di presenza della ‘ndrangheta nel territorio a cavallo tra le province di Como e Varese, con una vocazione sempre più imprenditoriale e una ormai grande esperienza nel mimetizzarsi e compenetrare nel tessuto economico legale. È quanto è emerso dalle lunghe e articolate indagini coordinate dalla Procura distrettuale di Milano e condotta dalla Squadra mobile di Milano, unitamente al Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e dal Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Como. L’inchiesta prende in nome di “Cavalli di razza” ed è collegata a quelle condotte da Dda di Reggio Calabria e Dda di Firenze.
Tra le oltre cento misure eseguite complessivamente, nella sola Lombardia sono state fermate 54 persone. Si tratta di persone di origine calabrese provenienti dalla piana di Gioia Tauro, presunti appartenenti alla cosca Molè, che, avvalendosi della forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento e omertà che ne è derivata, hanno posto in essere, in modo stabile e continuativo, una serie indeterminata di delitti di estorsione, usura, bancarotta fraudolenta, frode fiscale e corruzione, costringendo gli imprenditori lombardi al pagamento di ingenti somme di denaro per poi acquisire la totale gestione e controllo di attività economiche.
«Arriviamo a casa come le raccomandate»
«Noi siamo come le raccomandate, arriviamo direttamente a casa», diceva, intercettata, una delle persone finite in carcere. Una frase che mostra «minaccia e autorevolezza», citata durante la conferenza stampa indetta a Milano per spiegare il carattere di «arcaicità e modernità della ‘ndrangheta», con imprenditori, come ha spiegato il procuratore facente funzioni Riccardo Targetti, costretti a diventare «complici e a fornirei il loro know-how» sia con la permanenza degli aspetti della «tradizione» violenta delle cosche.
Dalle estorsioni alla gestione degli appalti
In particolare, l’indagine ha consentito di fotografe tre diversi periodi, caratterizzati da altrettante modalità di assoggettamento del territorio: tra il 2007 e il 2010 si sono registrati numerosi episodi di estorsione in danno di imprenditori locali; tra il 2010 e il 2019, poi, alle estorsioni si è aggiunto il controllo e la gestione economica di appalti assai remunerativi relativi al servizio di pulizia di grandi imprese ottenuti dall’organizzazione grazie alla “collusione” di un imprenditore che si presentava quale “faccia pulita”, titolare formale di cooperative operanti nel settore, cooperative con le quali veniva ideato ed attuato un articolato sistema di frode finalizzato all’evasione fiscale attraverso cui veniva finanziata l’associazione di stampo mafioso; dal 2018 e fino ad oggi, disarticolato in parte il sistema di frode fiscale in seguito ad alcuni arresti, sono ripresi, su larga scala, gli episodi di estorsione in danno di piccoli e medi imprenditori e, anche, di semplici cittadini.
Il controllo su trasporti, ristorazione e pulizie
Molteplici sono stati i settori in cui vi sono indizi gravi che gli indagati siano riusciti ad estendere il loro controllo, dal settore del trasporto conto terzi alla ristorazione e ai servizi di pulizia e facchinaggio, caratterizzandone ognuno con il marchio dell’acquisizione illegale e/o della gestione illegale, in spregio di ogni norma a tutela degli interessi dello Stato, dei cittadini e degli altri imprenditori. Emblematico il caso di un noto ristorante milanese sito in un punto panoramico cittadino, gestito da una società riconducibile agli indagati che, dopo aver drenato notevoli risorse finanziarie illecite dagli indagati e verso gli indagati, accumulando, però, ingenti debiti nei confronti dell’erario, è stata dichiarata fallita per aver sistematicamente omesso il versamento delle imposte.
Agli indagati viene, altresì, contestato, in via indiziaria, l’utilizzo di modalità estorsive, di violenze e di fatti di illecita concorrenza che avrebbero consentito di gestire i sub appalti di una nota e storica società lombarda operante nel settore della produzione di bevande e connessa logistica (Spumador). Le commesse di trasporto così illecitamente acquisite venivano poi spartite tra i vari affiliati consentendo a tutti lauti guadagni accresciuti, altresì, dal ricorso sistematico a false fatturazioni.
Indagato anche ex sindaco del Comasco
Tra gli indagati del filone milanese dell’indagine figurano anche l’ex sindaco di Lomazzo (Como) Marino Carugati, 79 anni, e un ex assessore di Fino Mornasco (Como), entrambi già condannati per bancarotta fraudolenta in un’inchiesta della procura di Como con al centro un sistema di frode che passava attraverso consorzi e cooperative creati e poi volutamente destinati al fallimento. I due “ex amministratori pubblici”, non destinatari del provvedimento di fermo eseguito oggi, avrebbero avuto – stando alle indagini della Squadra mobile di Milano e della GdF di Como, coordinate dalla Dda del capoluogo lombardo – rapporti con gli affiliati del clan Molè. Avrebbero pure preso parte anche ad una “riunione” a Gioia Tauro nel 2010. In quella riunione, come chiarito dal pm Pasquale Addesso, si sedettero al tavolo anche alcuni imprenditori estorti e accettarono «di fare entrare la ‘ndrangheta a cui interessava investire».
Il traffico di droga e le riunioni in Svizzera
Accanto a questa ‘ndrangheta 2.0, mai abbandonato appare anche l’interesse per il traffico di stupefacenti, nell’ambito del quale sono chiaramente emerse le mire espansionistiche verso la Svizzera e, in particolare, verso il Cantone San Gallodivenuto una vera e propria base logistica per alcuni dei soggetti indagati che vi si sono stabilmente insediati, dedicandosi prevalentemente ai traffici di sostanza stupefacente proveniente dall’Italia, provvedendo, nel contempo, a radicarsi e ramificarsi allo scopo di costituire in loco nuove strutture territoriali di ‘ndrangheta. I clan tra l’altro si riunivano in Svizzera per aggirare il 416 bis e dunque evitare di incorrere nel reato di associazione mafiosa. In questo filone, le attività d’indagine sono state effettuate avvalendosi di una Squadra Investigativa Comune costituita tra l’Autorità Giudiziaria Italiana e il Ministero Pubblico della Confederazione per la Svizzera.
I legami con la Calabria
Il coordinamento investigativo sia tra le rispettive polizie giudiziarie sia tra le Dda di Milano e Reggio Calabria, evidenziando la presenza di soggetti protagonisti di entrambe le indagini, ha consentito di confermare ancora una volta la struttura unitaria della ‘ndrangheta, pur nella sostanziale autonomia delle singole articolazioni territoriali, confermando il legame esistente tra i locali lombardi e i corrispondenti locali di ‘ndrangheta esistenti in Calabria, nonché il rilevante ruolo di Milano e della Lombardia, nelle dinamiche e negli interessi della ‘ndrangheta al nord Italia.