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Processo Miramare, le motivazioni dell’Appello: «Falcomatà regista della vicenda» – VIDEO

Secondo i giudici, i messaggi della chat di giunta documentano «in modo pregnante l’interesse personale dell’imputato all’esito della pratica dell'albergo»

Processo Miramare, le motivazioni dell’Appello: «Falcomatà regista della vicenda» – VIDEO

Sono state depositate stamane le motivazioni della sentenza d’appello del processo Miramare che l’8 novembre scorso aveva confermato la condanna per abuso d’ufficio anche in appello per il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà. La Corte aveva riformato la sentenza di primo grado del Tribunale di Reggio che, nel novembre 2021, aveva condannato il sindaco a un anno e 4 mesi, condannando il primo cittadino alla pena di un anno.

Il ricorso in Cassazione

Condannati a sei mesi gli assessori della prima giunta: Saverio Anghelone, Armando Neri, Rosanna Maria Nardi, Giuseppe Marino, Giovanni Muraca, Agata Quattrone e Antonino Zimbalatti. Stessa sorte anche per il segretario comunale Giovanna Antonia Acquaviva, per la dirigente comunale del settore “Servizi alle imprese e sviluppo economico” Maria Luisa Spanò e per l’imprenditore Paolo Zagarella.

Il processo era nato dalle accuse di abuso d’ufficio e falso per presunte irregolarità nelle procedure di affidamento del Grande Hotel Miramare, assegnato a Paolo Zagarella e all’associazione “Il sottoscala”. Gli avvocati delle difese ora potranno preparare i ricorsi in Cassazione. Il termine ultimo entro cui presentarlo è quello del 22 aprile.

Marcianò “zittita”

I giudici scrivono di Falcomatà come «vero regista della vicenda di causa – e – lo si evince dall’inequivoco tenore dei richiamati messaggi contenuti nella chat whatsapp di Giunta in prossimità della seduta del 16 luglio 2015 che documentano in modo pregnante l’interesse personale dell’imputato all’esito della pratica “Miramare”, chiaramente percepito dagli assessori come “un sub desiderio ” da assecondare. L’assessore Marcianò nella conversazione del 27 luglio 2015 con il collega Neri, afferma di essere stata persino zittita dal Sindaco solo per aver espresso le sue perplessità sulla legittimità della delibera prospettando le possibili conseguenze penali (“gli ho suggerito di stare attenti alla delibera Miramare che è un palese abuso d’ufficio”) scontrandosi con irremovibilità del primo cittadino (“ se non sai prenderti le tue responsabilità non dovevi fare l’assessore”), sfogandosi apertamente con il suo interlocutore ( “fare le cose fuori legge violando palesemente e consapevolmente ogni normativa di settore per favorire i propri compari”); la stessa più tardi con l’ingegner Romano stigmatizzava la ostinazione del Falcomatà (“Il sindaco non vuole sentire ragioni”)».

Contatti che, a parere del collegio, «documentano senza possibilità di equivoci le tensioni e le accese discussioni che hanno accompagnato e seguito la trattazione della pratica Miramare prima ancora della riformulazione del testo definitivo, pubblicato solo venti giorni più tardi (5 agosto 2015), evidente frutto di una soluzione di compromesso nell’intento di tutti di assecondare i desiderata del sindaco. Le richiamate emergenze concorrono senz’altro a dimostrare l’interesse personale perseguito dal Falcomatà con la delibera in oggetto, che ciascun imputato, ognuno nel proprio ruolo, ha concorso a realizzare.

Il dolo

Riguardo alla configurazione del dolo nel reato di abuso di ufficio, per i giudici «la compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del p.u. non esclude la intenzionalità del dolo, sempre che non sia dimostrato che l’agente, pur nella consapevolezza di favorire un terzo, sia mosso esclusivamente dall’obiettivo di perseguire un interesse pubblico, il che vale a configurare non un dolo intenzionale bensì diretto o eventuale che esclude la condotta delittuosa ex art. 323 c.p.

E tuttavia alla luce delle complesse emergenze dibattimentali e della ricostruzione dei fatti che

precedettero e seguirono la deliberazione della Giunta comunale del 16.7.2015, non può ragionevolmente sostenersi che la finalità pubblica abbia costituito runico o primario obiettivo perseguito dagli odierni giudicabili».

E, a tal proposito, scrivono ancora i giudici «le integrazioni apportate al testo della delibera (riguardanti adempimenti e controlli relativi alla gestione del servizio) all’evidenza non hanno per nulla intaccato il suo nucleo essenziale che compendia la patente illegittimità dell’atto di cui si discute: l’affidamento in via diretta dell’uso dei locali di un prestigioso immobile comunale, per svolgere eventi finalizzati a valorizzare le risorse culturali, territoriali e turistiche della città ad un’associazione del tutto sconosciuta nel panorama degli enti no profit cittadini, senza la benché minima valutazione comparativa di proposte progettuali di altri soggetti interessati, omettendo il necessario vaglio di congruità tecnico ed economica dell’unica istanza considerata, violando le norme sulle competenze attribuite dall’art. 42 Tuel al Consiglio comunale».

Non vale al riguardo invocare il legittimo affidamento. Poichè «Tale principio fondamentale dell’azione amministrativa che vale ad accordare tutelare ai privati in buona fede che abbiano confidato in una situazione che si è consolidata nella realtà giuridica per effetto di atti e comportamenti della p.a., non può certo giustificare la condotta di chi ricopre una carica pubblica elettiva e deve avere piena contezza dei limiti normativi che regolano le proprie funzioni e soprattutto delle proprie responsabilità a tutela e garanzia dell’interesse pubblico. Non si tratta di far coincidere l’illegittimità della delibera con l’elemento intenzionale richiesto dalla norma penale».

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