La frattura dentro la ’ndrangheta, oggi, passa anche dallo sguardo delle madri. Per decenni la figura femminile è stata il perno silenzioso del sistema, custode dei codici di sangue e spesso motore delle vendette. Cosimo Sframeli, capitano dei Carabinieri in quiescenza e autore di saggi come “A ’Ndrangheta” e “’Ndrangheta addosso”, lo racconta ai nostri microfoni senza giri di parole, a margine del suo ultimo intervento ad un evento alla Biblioteca Comunale di Bova Marina organizzato dall’Associazione Socio-Culturale Thetis e moderato da Domenico Principato. «All’interno della ’ndrangheta - spiega il Capitano - la donna è sempre stata fondamentale. Per certi versi è stata suggeritrice di vendette, condizionava mariti e figli, è stata un punto fermo a favore della ’ndrangheta».

Oggi quel ruolo si incrina. In molte famiglie, soprattutto nei paesi dove la criminalità organizzata ha radici profonde, cresce una ribellione che nasce dall’esigenza di proteggere i figli. «Nel tempo tutto questo è andato scemando - racconta Sframeli - hanno compreso perfettamente che i figli non potevano andare a morire o in carcere». Una presa di coscienza che in alcuni casi è costata cara: «Ci sono tanti che si sono ribellati e hanno anche pagato con la vita questa loro ribellione».

La trasformazione riguarda l’intero corpo sociale. Nei paesi simbolo della storia criminale calabrese si avverte un sussulto inatteso: «C’è una forma di ribellione, una forma di rivolta contro la ’ndrangheta anche nei paesi storici in cui è più radicata». Luoghi che per generazioni hanno vissuto nel silenzio, oggi lasciano spazio a nuove parole pubbliche: «Ad Africo si scrive contro la ’ndrangheta e a Platì ci sono poeti, scrittori e così via».

I segni della rottura sono concreti, talvolta biografici. «Nel paese di Corrado Alvaro, Vincenzo Carrozza, che è stato arrestato dai Carabinieri, oggi scrive contro la ’ndrangheta, scrive anche contro la sua “famiglia” di ‘ndrangheta. Adesso fa il missionario, essendo medico in Africa». Una traiettoria che racconta quanto possa essere radicale la scelta di scrollarsi la ’ndrangheta addosso.

In questo quadro, la cultura appare come uno strumento di salvezza soltanto se sostenuta da un lavoro interiore. Nei suoi incontri pubblici, Sframeli si rivolge ai ragazzi: «Combattete con la cultura, per la cultura». Poi richiama gli adulti alle loro responsabilità: «Tocca a noi, ai più grandi, ai docenti, alla famiglia, formare le coscienze. La cultura da sola non basta: bisogna che siano formate le coscienze di questi ragazzi».

La minaccia è chiara: una generazione nuova rischia di riprodurre schemi antichi. «Altrimenti si rischia di avere una ripetizione, in maniera diversa, con espressioni diverse, ma pur sempre espressioni negative». La sfida è impedire quel ritorno, trasformando il rifiuto delle donne, il coraggio di chi scrive contro le proprie radici e la volontà civile delle comunità in un percorso educativo capace di restituire a questi territori un futuro libero dalla violenza.