Potrebbe esserci la ’ndrangheta dietro l’attentato esplosivo avvenuto la scorsa notte a Campo Ascolano, frazione di Pomezia. È una delle piste più seguite dagli investigatori dopo la deflagrazione che ha distrutto due auto e danneggiato la casa del giornalista Sigfrido Ranucci, conduttore di Report su Rai3. L’ordigno, collocato davanti alla sua abitazione, è esploso poco dopo le 22, provocando un boato che ha scosso l’intero quartiere.

«È stato un salto di qualità preoccupante perché è avvenuto davanti a casa», ha detto Ranucci, ancora scosso, poche ore dopo la notte di paura. «Un boato tremendo. Qui, l’anno scorso, erano stati trovati anche dei proiettili. Le minacce? Una lista infinita. Ci sono state spesso persone che osservavano, tutto denunciato. Ora siamo passati alla macchina blindata».

Il giornalista è sotto scorta dal 2021, dopo che gli inquirenti avevano intercettato un piano di un narcotrafficante legato alla ’ndrangheta calabrese che avrebbe incaricato due killer albanesi di eliminarlo. Ma la protezione per Ranucci risale già al 2009, quando venne inserito in un programma di tutela mobile a seguito di un’inchiesta realizzata in Sicilia sulla gestione di una cava da parte del clan Ercolano, affiliato a Cosa nostra catanese.

A confermare la gravità delle minacce è stato lo stesso Ranucci in una recente intervista: «Da metà agosto 2021 sono sotto scorta 24 ore su 24. Il mandante è un narcotrafficante legato a famiglie di ’ndrangheta, alla destra eversiva e perfino al cartello colombiano di Pablo Escobar». L’uomo, detenuto nel carcere di Padova, avrebbe commissionato l’omicidio a due sicari poi mai identificati.

Il livello di pericolo è tornato a salire con la bomba di ieri sera. Secondo i rilievi dei carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati, l’ordigno era artigianale ma ad alto potenziale, confezionato con oltre un chilo di polvere pirica pressata, collocato tra due vasi vicino al cancello d’ingresso della villetta e innescato probabilmente con una miccia accesa, non con un timer. Una scelta rudimentale ma devastante, che avrebbe potuto uccidere chiunque si fosse trovato nei pressi.

Ranucci è tornato a casa una ventina di minuti prima dell’esplosione. La sua Opel Adam, parcheggiata lungo il marciapiede, è stata distrutta insieme alla Ford Ka Plus della figlia, che era passata davanti alla vettura pochi minuti prima. «Potevano ammazzarla», ha detto il conduttore a voce rotta. La Procura Distrettuale Antimafia di Roma coordina le indagini. Gli investigatori stanno analizzando le immagini dell’unica telecamera presente a circa 50 metri dall’abitazione, montata su un semaforo pedonale, per capire se possa aver ripreso l’autore dell’attentato. I primi accertamenti escludono l’innesco a distanza, ipotizzando una miccia accesa manualmente da chi ha piazzato la bomba, forse dopo aver atteso che la scorta si allontanasse.

Proprio la scorta — che protegge il giornalista ma non presidia stabilmente la sua abitazione — è uno dei punti critici dell’intera vicenda. «È possibile che chi ha agito conoscesse le abitudini della famiglia», spiegano fonti investigative. Gli inquirenti non escludono che l’attentatore abbia effettuato sopralluoghi preventivi, studiando orari e movimenti prima di colpire. Il conduttore di Report ha già presentato denuncia ai carabinieri della Compagnia Trionfale, in via Teulada, non lontano dalla sede Rai, e si recherà oggi pomeriggio alla Direzione Distrettuale Antimafia per integrare le dichiarazioni.

La moglie di Ranucci, che vive con lui e i figli a Campo Ascolano, ha lasciato l’abitazione alle 9.50 per andare a fare la spesa, scortata dai militari. Nessuna dichiarazione. Due dei tre figli sono stati accompagnati via in sicurezza. Intorno alla villetta, questa mattina, si è formata una piccola folla di curiosi e vicini. «Abbiamo sentito un’esplosione fortissima, sono caduti i quadri dalle pareti», racconta un residente. «È sempre stato un quartiere tranquillo, ma ora abbiamo paura».

Gli artificieri dei carabinieri stanno esaminando i frammenti dell’ordigno per verificare se siano compatibili con altri attentati avvenuti negli ultimi mesi tra Ostia, Acilia, Dragona e Aprilia. Nelle stesse zone, spiegano gli investigatori, sono stati registrati episodi analoghi riconducibili a regolamenti di conti tra clan legati al narcotraffico. Ranucci, da anni volto simbolo del giornalismo d’inchiesta italiano, ha dichiarato che continuerà a lavorare: «Ho fiducia nella magistratura e nelle forze dell’ordine. Ma non si può vivere nella paura: la libertà di informazione non si ferma davanti a una bomba».

Non è la prima volta che il giornalista subisce minacce. Già nel 2010 aveva raccontato di un progetto di omicidio nei suoi confronti da parte di un esponente dei Santapaola, poi bloccato su ordine di Matteo Messina Denaro. Nel novembre 2024, aveva denunciato su Facebook «agghiaccianti minacce» arrivate in redazione dopo un servizio sul conflitto Israele-Palestina. Le indagini per danneggiamento aggravato con metodo mafioso dovranno ora stabilire se dietro la bomba ci sia effettivamente la mano della ’ndrangheta o di altri ambienti criminali.

Ma la sensazione, tra gli investigatori, è che il gesto sia un chiaro avvertimento mafioso. Sul piano investigativo, si ipotizza che il messaggio possa essere legato alle nuove inchieste di Report, che toccano i rapporti tra affari, politica e criminalità organizzata. Un tema che negli ultimi mesi ha attirato su Ranucci nuove ostilità.

La Rai ha espresso «piena solidarietà al giornalista e alla sua famiglia», mentre la Federazione della Stampa e l’Ordine dei Giornalisti chiedono «protezione immediata per chi svolge un mestiere scomodo ma essenziale».

Intanto, la paura corre sul litorale romano. Alcuni residenti hanno riferito di aver udito nei giorni scorsi «forti esplosioni, simili a petardi», nella zona del parco di fronte alla casa del giornalista: «Forse erano prove per testare i tempi di reazione delle forze dell’ordine». Se confermata, la pista della ’ndrangheta aggiungerebbe un capitolo inquietante alla lunga scia di intimidazioni contro la stampa. E renderebbe ancora più urgente, come ha detto lo stesso Ranucci, «una risposta dello Stato, chiara e senza esitazioni».