Con sentenza emessa in data odierna, il Tribunale di Palmi, in composizione collegiale presieduta dal dott. Petrone con a latere la dott.ssa Manfredonia e la dott.ssa Volpe, ha chiuso il troncone ordinario del processo Propaggine, nato dall’omonima operazione scattata nel maggio 2022. L’indagine, coordinata dalla Direzione Investigativa Antimafia, aveva ipotizzato l’esistenza di una locale di ’ndrangheta radicata a Roma, con collegamenti nei territori di Sinopoli e Cosoleto, nel cuore dell’Aspromonte.

Il collegio ha pronunciato otto condanne. Tra queste, Antonio Alvaro è stato condannato a 14 anni di reclusione, stessa pena inflitta a Francesco Carmelitano e Francesco Luppino. Domenico Alvaro ha ricevuto una condanna a 17 anni, così come Carmine Penna. Pena ancora più alta per Antonino Penna, condannato a 20 anni. Chiudono il quadro Alfredo Ascrizzi, condannato a 12 anni, e Carmelo Versace, per il quale è stata decisa una condanna a 16 anni.

Di segno opposto il destino processuale di altri dodici imputati, tutti assolti al termine del dibattimento. Tra questi, Carmelo Alvaro, noto con il soprannome di «Bin Laden», assistito dagli avvocati Luca Cianferoni, Sissi Barone e Giovanna Pizzimenti. Assoluzione anche per Giuseppe Alvaro, detto «Stelio», difeso dagli avvocati Marina Mandaglio e Antonino Curatola. Non luogo a procedere per Vincenzo Casella, con il collegio difensivo composto dagli avvocati Guido Contestabile, Giuseppe Casella e Silvia Forestieri, e per Palermino Durante, seguito dagli avvocati Fortunato Schiava, Contestabile e Forestieri.

La sentenza ha assolto anche Angelo Rechichi, difeso da Cianferoni, Schiava e Antonio Papalia, e Antonio Carzo, rappresentato dall’avvocato Giuseppe Milicia. Prosciolto inoltre Antonino Gioffrè, ex sindaco di Cosoleto, difeso dagli avvocati Schiava e Carlo Morace. Escono assolti anche Giovanni Penna (difeso da Cianferoni, Contestabile, Mara Campagnolo e Forestieri), Carmela Penna (avvocato Giacomo Iaria) e Maurizio Rustico, assistito da Maria Grazia Salerno.

Il procedimento ha rappresentato una delle indagini più significative degli ultimi anni sul radicamento della criminalità organizzata calabrese nella Capitale, con un impianto accusatorio che ha intrecciato dinamiche di potere, legami familiari e presunti rapporti istituzionali. La decisione odierna chiude una fase chiave del processo, mentre restano aperti altri filoni connessi.