È un’operazione che segna un punto di svolta nella lotta alla ’ndrangheta quella condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e dai Carabinieri nell’ambito dell’inchiesta Res-Tauro, culminata con decine di arresti e il sequestro di beni riconducibili alla potente cosca Piromalli.

A sottolineare la portata dell’intervento è stato il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Borrelli, che ha definito l’operazione «di particolare rilievo», spiegando: «Oltre alle misure cautelari personali, è stato dato esecuzione a misure di carattere patrimoniale. Abbiamo scelto di operare su un doppio piano: sequestri preventivi e misure di prevenzione, colpendo beni anche legati a reati ormai prescritti. Così si incide con più forza sul patrimonio mafioso».

Borrelli ha poi aggiunto: «Si tratta del frutto di un monitoraggio attento condotto dalla procura di Reggio Calabria e, evidentemente, anche dai Carabinieri, in particolare del ROS. Siamo soddisfatti del risultato raggiunto. L’infiltrazione nel sistema di aggiudicazione dei beni è l’aspetto più interessante e meritevole di ulteriori approfondimenti: la materia è ancora oggetto di indagine».

Il ritorno del boss e la riorganizzazione del clan

Uno degli elementi centrali dell’indagine è il ritorno sulla scena criminale del boss Giuseppe Piromalli, liberato dopo 22 anni di detenzione. «Sembrerebbe che la sua scarcerazione abbia determinato la necessità di ristabilire gli equilibri a Gioia Tauro – ha spiegato Borrelli – sia nei confronti delle altre cosche che all’interno del suo stesso clan, dove si erano verificati dissapori interni. Piromalli è figura carismatica e di spessore, probabilmente superiore rispetto a chi era rimasto in libertà e gestiva l’organizzazione. Tuttavia, dalle indagini è emersa una tendenza all’armonizzazione dei diversi punti di vista, che si è realizzata senza conflitti aperti».

Il procuratore ha inoltre sottolineato che: «Secondo gli accertamenti svolti dai Carabinieri, vi sono stati tentativi di riarmonizzazione dei rapporti anche con le altre cosche presenti sul territorio, a conferma di un disegno più ampio di riorganizzazione mafiosa».

Estorsioni violente e radicamento territoriale

Il generale di brigata Vincenzo Molinese, comandante provinciale dei Carabinieri, ha messo in luce l’aggressività dei metodi estorsivi: «Nonostante l’età, Piromalli ha mostrato una veemenza criminale intatta. Le intercettazioni hanno rivelato richieste brutali e imprenditori costretti a subire senza alcuna possibilità di difesa».

Molinese ha citato anche episodi che testimoniano l’inquietante radicamento del clan: «In un caso si è persino cercato di spostare una classe scolastica frequentata da una nipote del boss. Un fatto che dimostra quanto il potere mafioso riesca a incidere anche sulla quotidianità».

L’aspetto patrimoniale: sequestri e contanti

Fondamentale anche la dimensione economica dell’inchiesta, come ha spiegato il tenente colonnello Berlingeri: «Abbiamo rinvenuto oltre 150mila euro in contanti nelle perquisizioni. Le estorsioni avvenivano in denaro contante, poi reinvestito in operazioni di riciclaggio e autoriciclaggio, alimentando il circuito illecito della cosca».

Berlingeri ha sottolineato l’efficacia del modello investigativo adottato: «L’attacco si è sviluppato lungo due direttrici: penale e patrimoniale. Così si colpisce al cuore il potere delle cosche».

Lo Stato non arretra

Il procuratore Borrelli ha voluto infine lanciare un messaggio chiaro: «Questa operazione dimostra che lo Stato è presente e reagisce. Davanti a un clan che ha cercato di rialzare la testa, le istituzioni hanno risposto con forza e determinazione». Un segnale importante, che riafferma la volontà dello Stato di contrastare la mafia su ogni piano: giudiziario, economico e sociale.