Addio a Ugo D’Ambrosi, respiro mediterraneo dell’arte Informale
I colori del Sud e le tensioni della materia al centro della sperimentazione del maestro campano di origine e calabrese di adozione
di Anna Foti – «(…) Poi salivo al primo piano della nostra casa, dove c’era il ballatoio dal quale ci si affacciava sul cortile: da lì contemplavo a lungo, soddisfatto ed appagato, la mia “grande opera”». In giorni come questi, in cui dobbiamo accettare che la sua arte da sola adesso dovrà raccontare la sua visione del colore e di un universo in costante movimento, è di immenso conforto poter sublimare il dolore del distacco e la tristezza per la scomparsa in questa immagine che lui stesso anni fa aveva richiamato alla sua memoria.
Con la consueta gentilezza e l’immancabile ironia, il maestro Ugo D’Ambrosi troverebbe anche in questo momento il modo di accoglierci e di parlarci di arte e di impegno, di condurci nel suo mondo, lungo quella strada così affascinante, ma anche così faticosa, che ogni artista percorre prima di approdare all’opera. Desideriamo dirgli ancora adesso quanto sia valsa la pena di percorrere quella strada, che dall’arte figurativa degli anni cinquanta ha avuto per lui come punto di approdo il linguaggio dell’arte informale, senza la quale oggi non esisterebbe un patrimonio inestimabile di opere d’arte, di suggestioni e di visioni, vitali per il progresso umano che mai potrà e dovrà arrestarsi.
La vita a Reggio Calabria
Intellettuale e artista originario di San Valentino Torio, nel salernitano, dove è già tornato per essere sepolto, pur essendo rimasto profondamente legato ai suoi luoghi natii dove ha continuato a esporre, ha vissuto con fervore e grande creatività a Reggio Calabria fin dagli anni Sessanta. Qui, chiamato da Giuseppe Pani e Alfonso Frangipane, si era trasferito per insegnare prima al liceo artistico Mattia Preti, dove ha conosciuto la moglie Tina Parisi anche lei insegnante e artista, e poi all’Accademia di Belle Arti che nel 1967 è stata istituita in riva allo Stretto.
L’aula magna di questa istituzione culturale, dove è stato maestro di intere generazioni di studenti e artisti, ha ancora una porta che lui ha impreziosito con la sua pittura. Il suo cammino espositivo nella città calabrese dello Stretto ha avuto inizio con una mostra allestita proprio in quegli anni presso la biblioteca De Nava.
La prima di una lunga serie che lo ha visto protagonista di tante iniziative personali e collettive alla Pinacoteca civica, al foyer del teatro Francesco Cilea, a Villa Zerbi – nel 2011 in occasione dell’esposizione degli artisti del padiglione Calabria alla Biennale di Venezia – a palazzo della Cultura Pasquino Crupi, alla pinacoteca di Arte Moderna e Contemporanea del centro studi Colocrisi di Sambatello fino alla recente mostra allestita nel dicembre 2019, nella sala Umberto Boccioni di palazzo Corrado Alvaro, nella cornice delle celebrazioni organizzate dalla fondazione Italo Falcomatà in occasione dell’anniversario della scomparsa del compianto sindaco.
Campano di origini e calabrese di adozione, il maestro Ugo D’Ambrosi, durante il suo percorso artistico ricco e prestigioso, ha saputo trasfondere nelle sue opere i colori del Sud, coniugandoli con i movimenti frenetici della nostra epoca. Pluripremiato e pittore ancora oggi studiato e attenzionato dalla critica, è stato espressione per eccellenza dell’arte Informale, capace di indagare l’irrequietezza della quotidianità con un linguaggio assolutamente innovativo.
Questa l’essenza dell’artista dal respiro profondamente mediterraneo, che ha trasposto sulla tela tanto la materia densa e pregna di napoletanità quanto i colori bruciati e terrosi della Calabria, seguendo il flusso di un pensiero creativo costantemente ispirato e in continua evoluzione.
La corrente Informale e Incontro Sud
L’Avanguardia, considerata come un modo di rappresentarsi ed esprimersi non collocabile all’interno di canoni precisi ma tendente alla sperimentazione e alla innovazione, aveva riconosciuto in Ugo D’Ambrosi un autorevole riferimento. Nel contesto complesso e difficile del Secondo Dopoguerra, era nata in Francia e in America la corrente di arte Informale, destinata a durare solo cinque o sei anni. Alcuni artisti però fecero di essa una risorsa creativa intensa e duratura che nel tempo declinarono in modo personale, adottando differenti soluzioni espressive e connotandole di un’identità fortemente peculiare e unica.
Le grandi città di Milano e Roma non rimasero indifferenti a tutto questo ma fu Napoli, nonostante il disastro provocato dalla guerra, a registrare il fermento di maggiore spessore grazie a giovani artisti come Ugo D’Ambrosi, Luigi Malice e Luca Monaco che poi il decoratore e saggista catanzarese Alfonso Frangipane ha voluto a Reggio, dove già aveva introdotto la scuola d’arte. Da fine osservatore del panorama artistico nazionale e intellettuale lungimirante, Frangipane si era accorto del loro valore e chiamandoli in Calabria, con questa intuizione ha spinto la città di Reggio Calabria verso una crescita culturale e artistica di notevole spessore.
Nel percorso di Ugo D’Ambrosi la parentesi figurativa ha preceduto l’esperienza di Incontro Sud con altri artisti come Monaco, Filosa, D’Auria, Pellicanò; in questo gruppo operativo dominanti sono state la trasformazione della materia in luce e la trasposizione in immagini e colori dell’intensità di paesaggi pregni di fervida ispirazione; luci e ombre, materia e colore, umanità e spiritualità magistralmente fusi nel racconto per immagini ed emozioni del Sud, del mare, della terra, del sole, del cielo.
Un percorso artistico intenso e mai statico in cui spazio ha avuto anche il pretesto delle macchine, dei rottami e dei grovigli elettrici per ritrarre un dinamismo destrutturante della materia; un percorso che nel tempo è approdato ad uno stile neoinformale più lirico, più evocativo che non ha mancato, in fase più recenti, di intrecciarsi anche con strutture dinamiche di estrazione futuristica.
Maria Antonietta Mamone: «Ugo, il mio maestro»
«Fine cultore della ricerca e artista di spessore che mai si poneva sotto i riflettori, Ugo D’Ambrosi aveva tra i tanti anche il dono della discrezione. Ha insegnato a tanti e mai lo ha mai fatto per autocelebrarsi». Nel ricordo della storica dell’arte, già docente dell’Accademia di Belle Arti, Maria Antonietta Mamone, Ugo D’Ambrosi, che lei definisce fermamente il suo maestro, ha lasciato una traccia profonda, in cui l’affetto si fonde con la stima e l’ammirazione.
«L’ho conosciuto nel 1980 in Accademia e subito mi ha colpito il suo approccio innovativo all’arte, per lui una costante sperimentazione. La corrente Informale, arte contemporanea che proprio a Napoli aveva riconosciuto una sua importante fucina, grazie ad artisti come Ugo D’Ambrosi, ha avuto a Reggio Calabria la possibilità di svilupparsi e maturare. Proprio Ugo D’Ambrosi ha gettato i semi», prosegue Maria Antonietta Mamone che lo descrive come un artista sempre alla ricerca, con la mente sempre impegnata nella progettualità pittorica che da un momento all’altro avrebbe concretizzato in un’opera d’arte.
Circondato dall’affetto della moglie Tina e del figlio Davide, degli altri familiari e degli amici, l’arte era comunque della sua vita una spina dorsale, il senso che più di ogni altro avvertiva come viscerale e radicato.
«Lo ricorderò sempre con la sua immancabile sigaretta in mano e con un’espressione di pensiero rivolta al quadro che da lì a breve avrebbe dipinto. La progettualità artistica lo accompagnava costantemente. Ogni idea nasceva nella mente dove veniva concepita e lasciata maturare fino a diventare opera», conclude Maria Antonietta Mamone.
In sella al suo cavallo…
«Ci sono ricordi lontani che non si affievoliscono con il tempo, riaffiorano caparbi e improvvisi; ci sono stralci di sogni che ti inseguono e ti accompagnano nella vita, chissà perché. In me si presenta a volte una “scena vissuta”; l’immagine di un bambino e di un cavallo, un’immagine affossata nella sabbia degli anni eppure ancora così nitida, così viva, nella quale scorgo una sorta di tratto della mia infanzia, forse la ricerca del senso del mio destino di artista.
Quel bambino che io vedo sognante e sperduto dietro il bisogno urgente di raccontarsi al mondo e di esprimersi, sono io; quel cavallo, il cavallo del nonno, perché mio nonno che abitava a San Valentino nella casa paterna, possedeva un cavallo “vero” che accudivamo insieme (…)».
Con la stessa memoria con cui abbiamo iniziato, concludiamo questo ricordo, immaginando Ugo D’Ambrosi adesso in sella a quel cavallo. Speriamo che sia consapevole, come lo siamo noi che ancora siamo qui, del compimento del suo destino di artista straordinario e visionario, capace di arrivare in fondo e di svelare all’occhio, e attraverso di esso all’anima, un universo ancora più ricco di colori, di mistero e di splendore di quello fino all’attimo prima conosciuto.