venerdì,Aprile 19 2024

Notre-Dame … di Calabria, Livio De Luca e la digitalizzazione del patrimonio: «A Reggio gli anni più belli e stimolanti»

Nato ad Amantea e laureatosi nella città dello Stretto, alla Mediterranea, risiede da vent'anni in Francia l'architetto a capo del cantiere digitale di restauro della cattedrale di Parigi

Notre-Dame … di Calabria, Livio De Luca e la digitalizzazione del patrimonio: «A Reggio gli anni più belli e stimolanti»

«In Calabria è iniziato tutto. Ogni insegnante a scuola e poi all’università, nella bottega del maestro Antonio Quistelli, dove ho imparato a costruire un metodo di lavoro per fare cose che ancora non esistevano. Gli scambi e le intuizioni di quegli anni hanno segnato profondamente la mia formazione, arricchendo un bagaglio che nel tempo si sarebbe rivelato davvero prezioso.

A Reggio ho passato gli anni più belli della mia vita, quelli più stimolanti e arricchenti, che mi hanno preparato alla specializzazione poi conseguita in Francia, dove quando da ricercatore arrivai nel 2001, ancora neppure si parlava di digitalizzazione del patrimonio».

Porta la Calabria nel cuore, oltre che nell’essenza delle sue conoscenze e competenze e nell’ispirazione del suo lavoro, Livio De Luca, l’architetto calabrese, nato ad Amantea, in provincia di Cosenza, e laureatosi all’università Mediterranea di Reggio Calabria, oggi a capo del cantiere digitale per il restauro della cattedrale di Notre-Dame a Parigi, che dovrebbe tornare ad accogliere i fedeli nel 2024. Direttore di ricerche nel Cnrs, capo dell’unità di ricerca mista dell’Umr Cnrs/Mcc Map (Modelli e simulazioni per l’architettura e il Patrimonio), Livio De Luca adesso è impegnato in una sfida innovativa e stimolante di restauro di uno dei gioielli gotici più antichi e preziosi del mondo, in quello che il presidente francese Emmanuel Macron ha definito “il cantiere del secolo, simbolo della Francia che resiste”.

Un’avventura in cui si sta condensando una passione, alimentata da una ormai costante contaminazione tra architettura e informatica, tra scienza e patrimonio artistico e culturale, che oggi per lui è molto più che soltanto una professione.

La Calabria e lo Stretto nel cuore

Residente con la sua famiglia nel Sud della Francia, arrivato da un altro Sud, quello dell’Italia, è rimasto comunque molto legato alla Calabria, al suo luogo dell’infanzia, Amantea dove vivono il padre e la sorella con la sua famiglia, a Reggio Calabria dove si è laureato e anche alla dirimpettaia Messina, luogo di origine della moglie e che proprio durante gli anni dell’università ha imparato a conoscere, vivendo immerso nell’area dello Stretto di cui la sponda reggina era cuore pulsante. Molte sono le amicizie che ancora lo legano alla terra calabrese, alla quale guarda sempre con grande affetto ed emozione.

«Il mio rapporto con la Calabria resta sempre molto intimo e familiare, anche se non torno più molto spesso. Ci sono stato lo scorso ottobre – racconta l’architetto Livio De Luca – in occasione di una conferenza che ho avuto l’onore di tenere proprio presso la facoltà di Architettura nella quale mi sono laureato nel 2001 e dalla quale mancavo da circa 15 anni. Sono tornato nell’aula magna che nel frattempo è stata intitolata ad Antonio Quistelli, con cui personalmente ho avuto un rapporto bellissimo.

Lui è stato il mio maestro e per questo raccontare in quel luogo il mio percorso professionale è stato per me davvero bello e particolarmente emozionante. C’è una parte di Calabria che abbiamo portato qui nel sud della Francia, dove viviamo da cittadini italiani residenti all’estero o semplicemente da cittadini europei. Qui il clima non è poi così diverso dal nostro, da quello mediterraneo. Viviamo ad Aubagne, comune vicino a Marsiglia, dove c’è la sede principale del laboratorio di ricerca che dirigo dal 2012 e che ancora dirigerò per un anno e mezzo circa. Laboratorio che ha cinque sedi in tutta la Francia: due a Marsiglia, uno a Lione, a Nancy e a Parigi. In fondo da un altro Sud sono arrivato nel Sud della Francia, luogo in cui mi sono riconosciuto, che mi ha arricchito e che io ho arricchito con la mia cultura. Sono trascorsi vent’anni ma per me oggi è chiaro che l’esplorazione di ciò che poi sarebbe diventato il mio ambito di specializzazione, ossia, l’architettura digitale, è iniziata proprio quando ero studente alla Mediterranea di Reggio.

Erano anni in cui ancora i computer si usavano poco in Architettura ma i docenti che seguivo erano di spessore tale da alimentare aperture e sperimentazioni. Dunque, oggi quello che oggi io faccio corrisponde a quello che sono, da calabrese, da meridionale, da uomo capace di guardare al futuro ma con la consapevolezza del passato», sottolinea l’architetto Livio De Luca.

Dalla Calabria alla Francia

Arrivato con l’euro, da ricercatore motivato e con un autentico desiderio di sperimentare, in Francia Livio De Luca si è avventurato verso l’affascinante dimensione nella rappresentazione digitale.

«Fin dall’inizio del percorso universitario in Architettura -prosegue Livio De Luca – al centro dei miei interessi c’era stato l’uso del computer. A Reggio, sperimentando tantissimo, mi ero reso conto che per fare quello che avrei voluto, ossia dedicarmi alla rappresentazione digitale, avrei dovuto acquisire conoscenze nel campo dell’informatica, approfondendo e indagando tutto ciò che non era dato a vedere nell’interfaccia, apprendendo i principi che sul piano scientifico muovevano quei processi. Mi fu chiaro, allora che la mia strada era verso la specializzazione nel campo digitale, all’epoca possibile solo in America a Boston, oppure in Francia, a Marsiglia dove poi sono venuto. All’epoca questo laboratorio era pioniere nella contaminazione tra architettura e computer.

Qui – prosegue ancora Livio De Luca – ho appreso e approfondito l’informatica e la tecnologia e ho capito che avrei potuto mettere a frutto in un modo nuovo le conoscenze acquisite in Italia, a Reggio. Ancora la digitalizzazione del patrimonio non esisteva e si accennava di campionamento del reale; si parlava solo di design aiutato dal computer. Per spiegare meglio il passaggio che in quegli anni si avviava, prendo in prestito due fasi tipiche di un mio vecchio amore, la musica elettronica.

Anche lì distinguiamo i sintetizzatori, che partendo da modulazioni di frequenza, creano per sintesi qualcosa che può sembrare il suono di un oggetto reale, dai campionatori, che invece trasformano la registrazioni o il campionamento del suono reale, eseguendone una traduzione digitale. Quando sono arrivato in Francia si iniziava a fare il campionamento della realtà; fino ad allora si era proceduto per sintesi del reale. Così invece di immaginare qualcosa che non si sapeva come acquisire, si iniziava ad avere la possibilità di acquisirla in un dettaglio di straordinaria e sempre crescente precisione. Un’esperienza preziosa che mi ha consentito di definire anche un profilo scientifico del laboratorio che poi avrei diretto e dove la contaminazioni tra saperi e interessi e l’interdisciplinarietà erano, come ancora oggi sono ancora in misura sempre maggiore, assolutamente fondamentali».

Il digitalizzazione e il patrimonio culturale

«Lavorando sulla definizione di metodi innovativi per la digitalizzazione del patrimonio, a Marsiglia non mi veniva solo chiesto di indicare gli obiettivi ma anche gli interlocutori potenziali sul piano della valorizzazione della mia ricerca. Così – racconta Livio De Luca – sono entrato progressivamente in contatto con il Ministero della Cultura francese, interlocutore divenuto nel tempo costante. Il lavoro condotto è stato tutto orientato verso l’uso del digitale nell’ambito della documentazione, della conservazione, del restauro e della valorizzazione del patrimonio. Un anno prima dell’incendio della cattedrale di Notre-Dame, ero stato nominato presidente del comitato di esperti costituito per definire le linee guida della digitalizzazione tridimensionale dei monumenti francesi, nell’ambito di un piano nazionale ad hoc dello stesso ministero della Cultura.

Con il laboratorio di Marsiglia, inoltre, avevo messo a punto una piattaforma cloud innovativa denominata Aioli, nome che ammicca al Mediterraneo, richiamando una sorta di maionese provenzale, per raccogliere e riunire tutti i dati tridimensionali presenti e passati di un oggetto, di un bene. Lo scopo era quello di creare un gemello virtuale e digitale di quello stesso oggetto, frutto degli sguardi delle varie discipline e della condivisione delle varie conoscenze prodotte da tutti gli attori coinvolti. Un metodo innovativo di approfondimento dello studio essenziale di un oggetto, utile anche ai fini del suo eventuale restauro. Tutto questo un anno prima dell’incendio che devastò la cattedrale di Notre-Dame nel 2019», racconta ancora Livio De Luca.

Il coinvolgimento nel restauro della cattedrale di Notre-Dame

«Dopo il rogo, io e il mio team fummo subito contattati per capire quali dati fossero già disponibili su Notre-Dame e come il lavoro scientifico che stavamo conducendo avrebbe potuto contribuire alla ricostruzione della cattedrale. Fui chiamato a delineare in Senato una road map potenziale di un lavoro che mettesse a valore le opportunità che l’uso degli atti digitali avrebbe offerto al restauro. Iniziava così l’avventura. Lavoriamo fin dai primi mesi dopo l’incendio, a stretto contatto con gli straordinari architetti che si stanno occupando del restauro, Philippe Villeneuve, Pascal Prunet e Rémi Fromont.

Con loro c’è un dialogo straordinario, davvero molto aperto e stimolante. Il mio gruppo collabora nel contesto di un articolato cantiere scientifico multidisciplinare composto da 175 ricercatori, con il ruolo di creare un legame tra le informazioni che sono prodotte nel cantiere fisico e le informazioni e i dati che sono prodotti dal cantiere scientifico. Si tratta di un ingranaggio di comunicazione che si richiedeva fosse rapido e per realizzare il quale è stata utile la piattaforma Aioli, già collaudata con successo.

Ne è nato un ecosistema digitale che è andato oltre quello che avevamo già realizzato. Un risultato conseguito con grande impegno e massimo abnegazione da tutto il team. Questa non è solo un’avventura scientifica, che pure ci appassiona ancora tanto, ma è anche una straordinaria avventura umana», sottolinea l’architetto calabrese Livio De Luca.

Il digitale e la conoscenza nel tempo di un oggetto

Tutti i lavori eseguiti negli ultimi 20 anni si erano ispirati alla convinzione che i dati raccolti, un giorno, avrebbero potuto essere utili. Un’intuizione rivelatasi vincente, poiché avendo informazioni sulla geometria di un oggetto, oggi si è nelle condizioni di sapere esattamente come quello stesso oggetto era, nel momento in cui ciò sia necessario, ad esempio nel caso in cui quell’oggetto non sia più integro e sia da ricostruire o restaurare. In questo affascinante percorso a ritroso, necessario per proiettare un bene verso una nuova vita, che nel caso della cattedrale di Notre-Dame sarà nella dimensione architettonica identica allo stato anteriore all’incendio, questa acquisizione di dati è essenziale. La digitalizzazione svela la vera natura del progresso che non può mai essere solo futuro, prescindendo dal presente e dal passato. In qualche modo così il digitale consente, come fosse una macchina del tempo alimentata dall’incrocio di dati e informazioni, questo viaggio dentro le epoche e al centro e al cuore di ogni oggetto, di ogni bene culturale.

«C’erano state delle digitalizzazioni, non esaustive ma comunque significative, risalenti a cinque, sei anni prima. L’accesso a quei dati, per quanto non sufficienti – racconta l’architetto calabrese Livio De Luca –  ha consentito di apprezzarne il valore e l’importanza visto che erano le uniche tracce di come la cattedrale di Notre-Dame fosse prima delle fiamme. Ed è stato lì che quanto fino ad allora sviluppato sul piano scientifico si è rivelato utile e prezioso. C’era un prima, uno stato anteriore da recuperare, c’è quello che è rimasto dopo l’incendio e c’è ciò che dovrà tornare ad essere. Lavorando sulla visione artificiale, un campo della grafica computazionale che si intreccia con la fotogrammetria, recuperando e incrociando decine di migliaia di fotografie delle parti distrutte, scattate e messe a disposizione da professionisti, attori del patrimonio ma anche da semplici turisti, siamo riusciti a ricostruire, in alcuni casi anche al centimetro, la geometria di tutti gli elementi mancanti della Cattedrale. Questo è stato fondamentale per capire se la struttura avesse subito o meno delle deformazioni, elemento che non si sarebbe potuto acquisire senza la ricostruzione dello stato anteriore.

Un’incognita che il digitale può rendere nota, grazie a questi approcci fondati sulla visione e sull’intelligenza artificiale, capaci di restituire un’immagine geometrica e visiva molto aderente a quella reale; un’immagine che, anche se non più attuale ma anteriore, si proietta nel futuro, contribuendo straordinariamente al restauro», sottolinea il capo del cantiere digitale di restauro, Livio De Luca.

La Cattedrale delle Conoscenze 

La riunione dei dati disponibili, catalogati e digitalizzati, non riguarda solo quelli relativi alla geometria ma anche quelli relativi, sul piano della caratterizzazione fisico-chimica, alla provenienza dei materiali utilizzati, con tanto di riferimenti alle foreste da cui erano state tratte le travi originarie. L’aspirazione è quella di usare lo stesso materiale, a meno che non ci siano controindicazioni tecniche.

«Il lavoro ha, dunque, restituito in immagine tutte le conoscenze relative allo stato anteriore. Conoscenze – spiega ancora Livio De Luca – che si intrecciano e che incrociano questioni tecniche, storiche e in alcuni casi anche questioni antropologiche e sociologiche. Questo è un aspetto davvero molto interessante. Questo insieme di dati è al servizio di chi deve prendere delle decisioni su come procedere.

Si sa, in questo caso, che il restauro punta a ritornare all’identico stato anteriore all’incendio, ma per altre strutture potrebbe non essere così e per fare delle scelte c’è bisogno di conoscere. Questo insieme di dati, imprescindibile e necessario al restauro, preannuncia anche una seconda vita, una seconda cattedrale che nasce. C’è una cattedrale fisica, che nel futuro tornerà ad essere magnifica, splendida, e c’è una cattedrale delle conoscenze, fatta di dati e informazioni che domani potrà avere una vita propria, al di là di Notre-Dame.

Questa è una consapevolezza bellissima che emerge oggi e che potrebbe diventare un modello. Il patrimonio non è mai soltanto la realtà fisica ma è quell’oggetto fatto da quelle persone, in quel modo, in quel momento a partire da una risorsa, da un materiale che hanno valore proprio per il legame che incarnano con chi li ha plasmati. È qualcosa di molto intimo che va conosciuto non per vincolare ma per permettere di conoscere e scegliere. Se dovessimo riuscire, ma c’è ancora del lavoro da fare, a sintetizzare, a cristallizzare, memorizzare questa avventura collettiva, essa costituirebbe uno straordinario ritratto della scienza del patrimonio nell’epoca del digitale», sottolinea l’architetto calabrese Livio De Luca.

La memoria viva di ciò che resta

Ogni oggetto ha, dunque, una sua identità composita che la digitalizzazione si mostra in grado di preservare e di conservare. Essa può non solo indagarla approfonditamente ma anche contribuire a fermarla in un documento digitale da mettere poi a disposizione. Come una sorta di memoria recuperata, custode del passato e della visone del futuro, di quella nuova vita o seconda possibilità di esistenza, di cui ogni maceria, rovina, frammento possiedono i semi. Tracce di uno stato anteriore essenziali per la vita che sarà.

«Ogni singolo elemento è fonte di informazioni essenziali per poterlo ricostruire nel suo insieme, poiché conserva delle tracce straordinarie sulle tecniche di ricostruzioni, sulla dimensione e sulla direzione in cui veniva usato lo strumento utilizzato per scolpire, su quale segno venisse lasciato in base ad una sequenza di costruzione. Questo livello di intimità è consentito oggi grazie proprio a questo approccio di documentazione digitale, che consentirà di rendere tutto questo materiale accessibile ovunque e da chiunque, e ad un’arricchente convergenza di interessi e culture», spiega l’architetto calabrese Livio De Luca.

Il fascino dei conci, studiati per ricomporre gli archi

«Stiamo lavorando sulle volte e su tutte le coperture che sono crollate insieme alla guglia. Abbiamo messo a punto un approccio realmente innovativo, a mia conoscenza mai stato applicato prima su un progetto di restauro: abbiamo digitalizzato decine e decine di conci, elementi che compongono le nervature degli archi. Li abbiamo recuperati e per ognuno di essi siamo riusciti, riproducendo la geometria essenziale di ogni elemento, con livelli di dettaglio più che millimetrici, a ricollocarli nello loro sede originaria.

Questo ci ha permesso di ricomporre la geometria dell’arco, non come semplice curva o disegno ma esattamente, nel senso di molto vicino a come era prima dell’incendio, ottenendo una ricomposizione dell’arco originario elemento per elemento. Questo è un lavoro che stiamo completando ed è davvero molto affascinante. Un domani sapere come e perché quel concio sia stato messo lì, e che è stato rimesso nel punto in cui era prima del crollo, genererà una grande emozione», sottolinea ancora Livio De Luca.

«Una sfida che mi fa pensare molto al Sud»

Lavorare al progetto assai mediatico del restauro di Notre-Dame è stato spesso per Livio De Luca, occasione per tornare virtualmente in Calabria, invitato a raccontare la sua esperienza.

«Il Cnrs in Francia, equivalente Cnr italiano, è tra i pochi organismi che sperimenta nel segno delle multidisciplinarietà. Un aspetto per nulla frequente nel mondo della ricerca universitaria che tende ad essere settoriale, ben definita, con carriere che si costruiscono in ambiti specializzati e precisi. Invece questa esperienza ha mostrato la grande ricchezza generata dall’intersezione tra le scienze umanistiche, l’ingegneria e l’informatica, e le straordinarie risorse sprigionate dall’intreccio stretto tra il settore tecnico e quello umanistico e dalla digitalizzazione. Tutto ciò, a mio avviso, potrebbe essere speso e  produrre risultati straordinari in paesi come l’Italia, dal patrimonio culturale di eccezionale rilevanza», sottolinea l’architetto Livio De Luca.

Parola chiave ancora una volta contaminazione tra culture e saperi, soprattutto con riferimento ai beni culturali, e la loro innata attitudine alla circolazione; la stessa che spinge anche le persone a spostarsi e a cercare, vicino o anche lontano, senza per questo sentirsi come nel caso di Livio De Luca un cervello in fuga, le occasioni di specializzazione e incontro. Un percorso, dunque, naturale, frutto di scelte e coronatosi nella rappresentazione digitale capace, da oggi in poi, di generare una seconda affascinante possibilità di vita per il patrimonio e i beni culturali.

«La mia non è stata una fuga ma una scelta»

«Sono emigrato per specializzarmi ma non sento di essermene andato perché costretto. Guardo la questione – spiega Livio De Luca – da un altro punto di vista. Io ho scelto una specializzazione e sono andato dove avrei potuto conseguirla e ho vissuto questa esperienza come una grande risorsa e una straordinaria opportunità. Sono partito senza sapere cosa avrei fatto dopo e dove lo avrei fatto.

Il bello è stato incontrare altre persone, con diverse provenienze e saperi acquisiti altrove, confrontarsi e lasciarsi contaminare senza porre limiti a ciò che questo avrebbe prodotto. Una persona che si sposta da un paese all’altro porta con sé le conoscenze acquisite nel proprio paese di origine e ne apprende altre. È un arricchimento reciproco evidente. Il problema semmai è preoccuparsi di creare le condizioni affinché si sia in grado di ricevere risorse corrispondenti da altri paesi, quando quelle interne si spostano. L’essenziale è mantenere un equilibrio tra chi va e chi viene.

Andare, come è stato nel mio caso, può far parte di un percorso di specializzazione che richieda uno spostamento dal Sud come da qualsiasi altro posto, senza che ciò implichi una carenza nel sistema universitario o formativo di provenienza ma solo uno spostamento fisiologico, poiché ogni sede ha sue peculiarità, opportunità ed eccellenze. Nel mio laboratorio su settantacinque persone, tre o quattro sono locali, il resto proviene da altre parti del mondo. La cosa è assolutamente naturale come lo è ammettere ciò che ormai è palese, ossia che le distanze e la localizzazione geografica delle persone, delle risorse e delle menti siano completamente da ridefinire e che la geografia fisica sia e debba essere dissociabile da quella dei saperi e delle conoscenze. Sono, tuttavia, preoccupato. Per il mantenimento di questo equilibro tra risorse che vanno e che vengono, in Italia non vedo ancora quelle strategie che in realtà avrebbero dovuto essere concepite e attuate già tempo fa», sottolinea l’architetto calabrese Livio De Luca.

Italia distratta e divisa piuttosto che attrattiva per il mondo

«Oggi ogni paese dovrebbe puntare ad ospitare centri di eccellenza capaci di valorizzare i singoli territori che lo compongono e a competere con il mondo, piuttosto che pensare di farlo con la regione a poche centinaia di chilometri. Invece, penso che l’Italia abbia guardato tanto alle divisioni interne, a ciò che differenzia alcuni italiani da altri, piuttosto che pensare a come mettere a frutto le tante eccellenze e posizionarsi nel mondo. Credo che la chiave strategica vincente sia ragionare su una risorsa e sulla sfida da affrontare per valorizzarla e renderla competitiva.

Va bene inviare fuori studenti per farli specializzare e poi farli rientrare ma è bene anche che possano compiere scelte diverse, se la loro strada dovesse condurli altrove. I nodi credo siano altri e penso che ci si debba chiedere: chi arriva in Italia come è accolto? Quanta ricchezza l’estero può dare all’Italia e in che modo l’Italia può diventare attrattiva per altri Paesi? L’Italia, secondo me, se lo chiede poco. Al di là dell’identità, dell’appartenenza e dell’integrazione culturale, chi parte, in tutte le migrazioni, è una persona motivata, che si mette in gioco, che esce dalla sua zona di confort. Accoglierla, durante questo percorso di ridefinizione della propria vita, è per me una strategia vincente. In questo secondo me l’Italia non ha ancora fatto il necessario», conclude Livio De Luca.

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