martedì,Aprile 16 2024

Il reggino Alessio Praticò è il capitano Bonaventura nella serie Rai Il nostro generale – VIDEO

L’attore della città dello Stretto al fianco di Sergio Castellitto per raccontare la guerra al terrorismo di Carlo Alberto Dalla Chiesa

Il reggino Alessio Praticò è il capitano Bonaventura nella serie Rai Il nostro generale – VIDEO

«Siamo stati tutti particolarmente onorati di aver interpretato questa serie che racconta una storia così importante e così poco conosciuta. Un tributo doveroso al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e alla nascita del primo nucleo speciale antiterrorismo. Un tributo doveroso ai tanti ragazzi che difesero con coraggio e dedizione la nostra democrazia in pericolo. È stato reso un servizio pubblico importante, soprattutto per le nuove generazioni».

Alessio Praticò, attore reggino, talentuoso e generoso, condivide la sua emozione di aver preso parte a questo contribuito di memoria alla quale anche il cinema, che per lui è ormai una professione, è chiamato.

Ha interpretato il ruolo del capitano Umberto Bonaventura, massimo esperto eversione, nella serie evento appena trasmessa su Rai Uno, intitolata “Il nostro Generale”.

Essa è ispirata alla vita del generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, ai tempi della guerra contro le Brigate Rosse nel difficile decennio tra il 1970 e il 1980. Diretta da Lucio Pellegrini, Andrea Jublin, si avvale della sceneggiatura di Monica Zapelli e Peppe Fiore.

Dalla guerra al terrorismo a quella contro la mafia

Da una guerra all’altra, sempre dalla parte dello Stato e della Democrazia. Dal terrorismo alla mafia che il generale dell’Arma Carlo Alberto dalla Chiesa non poté iniziare a contrastare a Palermo, dove fu ucciso il 3 settembre 1982. Così si riavvolge il nastro della sua e della nostra storia per rievocare il decennio precedente. Per raccontare un’altra guerra che il Paese aveva bisogno di ricordare che fu lui a combattere. Lo fece con tanti coraggiosi giovani che avevano scelto di servire il Paese in uno dei momento più difficili che l’Italia abbia mai vissuto. In quell’aggettivo possessivo “nostro”, come era sentito proprio dai suoi ragazzi, è racchiusa l’essenza profonda di questo racconto.

«Lo spaccato che raccontiamo è uno dei più oscuri della nostra storia, in cui grandi erano la paura di attentati, il terrore, il senso di smarrimento. In quel frangente buio, compreso tra il 1970 e i primi anni Ottanta, tristemente noto come gli anni di Piombo, ci fu chi si spese in prima persona, sacrificando anche affetti, per difendere un valore che oggi andrebbe riscoperto, quello del bene comune». 

La vocazione per la recitazione

Nato a Reggio Calabria, classe 1986, Alessio Praticò fu colto dalla passione per la recitazione fin da bambino, quando frequentava quella scuola d’infanzia Villa Baby dove si respirava arte. Aveva solo quattro o cinque anni. Oggi di anni ne ha trentasei e ha già alle spalle quasi trenta interpretazioni tra film per il cinema e serie per la televisione. Dal ruolo del filosofo Remo Cantoni, nel film del 2013 ispirato alla vita della poetessa Antonia Pozzi, ambientato durante il ventennio fascista, fino ai set che hanno attraversato l’Italia degli anni di Piombo. Da Torino a Palermo, passando per Milano e Roma, si snoda infatti la narrazione de Il nostro generale, con un grande Sergio Castellitto nel ruolo di Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Il capitano Umberto Bonaventura

In questa serie campione di ascolti, Alessio Praticò interpreta il giovane e valente capitano, esperto di eversione, Umberto Bonaventura, che pure meriterebbe un film che contribuisse a raccontarne la vera storia. Chiamato proprio dal generale Dalla Chiesa, per formare i giovani destinati al primo nucleo speciale antiterrorismo in Italia, il capitano Bonaventura fu tra coloro che diedero un contributo fondamentale a quell’esperienza destinata a tracciare una strada maestra.

«Mancato nel 2002 non ho potuto incontrare il colonnello Bonaventura, all’epoca dei fatti raccontati, un giovane capitano già di grande esperienza. Mi sono documentato per quanto possibile. Ho lavorato su una sceneggiatura molto ben scritta. Ho colloquiato molto con i registi. Poi mi sono immerso in quel momento storico. Preziosa per questa, ma anche per le future interpretazioni, è stato l’insegnamento dello straordinario attore che è Sergio Castellitto. “Più che la performance, concentratevi sulla storia che state narrando e sui personaggi che state interpretando”, ci ha detto. Una lezione preziosa che ci porteremo dentro nel nostro percorso professionale», ha spiegato ancora Alessio Praticò.

«Contributo fondamentale è arrivato anche dall’ambientazione, dai vestiti, dagli arredi, dalle macchine, da particolari essenziali come le prime fotocopiatrici, la macchina da scrivere, le ricetrasmittenti. Tutti elementi che ci hanno riportato indietro nel tempo, stimolandoci a rendere ancora più fedele la nostra interpretazione. D’altronde, unitamente a quello di conoscere storie e persone, uno degli aspetti più affascinanti del lavoro di attore è proprio questo: poter viaggiare tra le epoche, come si fosse a bordo di una macchina del tempo», ha raccontato ancora Alessio Praticò.

Carlo Alberto Dalla Chiesa e il nastro della storia che si riavvolge

La serie evento racconta la guerra lunga e dolorosa, al termine della quale lo Stato avrebbe realizzato che un’altra ce ne sarebbe stata subito da intraprendere. Era la guerra contro la mafia, un fenomeno tutt’altro che solo siciliano. Un passaggio durante il quale il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fu brutalmente fermato dai corleonesi.

La narrazione della serie evento parte proprio dalla strage di via Carini del 3 settembre 1982 a Palermo, in cui un in agguato mafioso morirono il generale dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, da poco insediatosi come “prefetto di ferro ma senza poteri”, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo.

Parte dal drammatico epilogo, più noto rispetto a tutto quanto lo precedette. Poi il nastro della storia del generale Carlo Alberto dalla Chiesa si riavvolge. C’è infatti un prima tutto da raccontare. Una storia molto meno frequentata e che questa serie evento ha contribuito in modo significativo a restituire alla memoria collettiva.

I ragazzi del Generale

In quel prima il generale Carlo Alberto dalla Chiesa con i ragazzi del primo nucleo speciale antiterrorismo, “i suoi ragazzi”, aveva affrontato le agguerrite e sanguinarie Brigate rosse nel nord dell’Italia.

Dalla guida della divisione Pastrengo fino al primo pentito delle Br Patrizio Peci, passando per il ritrovamento di parte del memoriale di Aldo Moro nel covo dele Br di Monte Nevoso al Milano.

Una vita professionale in trincea per lui che aveva già combattuto la guerra e poi la Resistenza. Una vita professionale in cui instancabile e amorevole era sempre stata la vicinanza e il sostegno della prima moglie Dora Fabbo, madre di Rita, Nando e Simona.

Dopo il sangue versato Palermo, dunque, il nastro della storia si è riavvolto per tornare all’Italia di dieci prima. Per tornare agli albori dei terribili anni di piombo e della guerra che lo Stato, rappresentato dal colonnello Dalla Chiesa, ex partigiano, in quel frangente promosso al grado di Generale e inviato a Torino.

Lì con il procuratore capo Giancarlo Caselli aveva riunito un gruppo di giovani coraggiosi per iniziare a combattere contro il terrorismo. Aveva voluto anche una donna, una poliziotta. All’epoca ancora le donne non erano presenti nell’Arma.

La guerra tra i giovani di una stessa generazione

Una guerra in cui a scontrarsi furono giovani di una stessa generazione, l’un contro l’altro armato. Da un lato chi combatteva per uccidere e dall’altro chi combatteva per impedire che si continuasse a uccidere. Per difendere la democrazia dalla violenta sovversiva della sinistra estrema. E non solo da essa. Una guerra in cui, come in tutte le guerre, si rischiava di morire e si moriva.

Uno spaccato generazionale drammatico al centro della storia vissuta dal generale dalla Chiesa padre di Rita, Nando e Simona. Ma anche padre di quei ragazzi. Seguendo i suoi innovativi e lungimiranti metodi di investigazione, si esponevano comunque in prima persona. Giovani che sarebbero diventati punto di riferimento per i decenni a seguire.

Le persone, prima di tutto

«Il racconto non trascura mai l’umanità e il sacrificio delle persone. Da una parte e dall’altra. Tutti stavano sacrificando tutto, anche se per ragioni opposte.

Questa serie mette in evidenza il profondo rispetto per il nemico riservato dallo Stato, in questa guerra. In questo senso, di grande esempio è stata l’onestà intellettuale del generale Dalla Chiesa. Proprio in ragione di questa lettura dello scontro tra giovani di una stessa generazione e di rispetto non dei metodi ma delle persone, egli seppe aprire la strada che avrebbe portato alla legge sui collaboratori di giustizia. Accadde in occasione dell’incontro con il primo pentito delle Br, Patrizio Peci.

Sottolinea l’esistenza di queste gioventù contrapposte, tra i nuclei narrativi essenziali della serie, la scelta della canzone La guerra di Piero di Fabrizio De Andrè. Essa accompagna lo scontro a fuoco nella cascina Spiotta d’Arzello», ha sottolineato ancora Alessio Praticò.

In quella cascina le Br tenevano in ostaggio l’industriale Vittorio Vallarino Gancia. Durante quello scontro a fuoco rimase uccisa, a soli trent’anni, Margherita Gagol che con il marito Renato Curcio, e altri aveva fondato le Brigate Rosse.

Il cinema civile

«Si raccontano più spesso gli eventi culminati nell’agguato mafioso del 1982 in cui a Palermo il generale Dalla Chiesa fu ucciso, e molto poco tutto il resto. Questa serie invece si sofferma sul decennio precedente, molto meno esplorato e conosciuto.

È stato un grande lavoro di squadra che ci ha visti molto uniti in un impegno corale che abbiamo vissuto anche come un dovere civile. Una grande responsabilità che abbiamo condiviso, anche rispetto alle restrizioni pandemiche che ancora persistevano quando giravamo nel 2021.

Abbiamo assolto a un compito che il cinema, come anche il teatro, è chiamato a espletare. Nella missione civile, esso è specchio della società, di tempi ed epoche, di persone ed eventi, nel bene e nel male. Quel cinema civile che fu, ad esempio, quello di Elio Petri, regista che io adoro», ha sottolineato ancora Alessio Praticò.

La passione per il teatro e la formazione a Reggio

Gli studi presso la facoltà di Architettura a Reggio Calabria, dove si è laureato, in realtà hanno rappresentato anche una grande opportunità per quella che si è rivelata la vera vocazione di Alessio Praticò. Qui ha frequentato, infatti, il laboratorio di Marilù Prati e Renato Nicolini. Ha preso parte a tanti spettacoli andati in scena al teatro Siracusa. Tutto questo prima di lasciare nel 2010 la città dello Stretto. Ha poi conseguito il diploma di Recitazione presso la Scuola del Teatro Stabile di Genova nel 2013. A quell’anno risale anche il suo debutto nel mondo del cinema.

«L’esperienza condotta nel laboratorio teatrale universitario della facoltà di Architettura di Reggio Calabria al seguito dell’eclettico Renato Nicolini è stata davvero molto formativa e preziosa per me».

Tra successi di Alessio Praticò la fortunata serie tv Boris, giunta alla quarta stagione, e le recenti Blocco 181 e Odio il Natale dello scorso anno. Per il cinema, il 2022 è stato anche l’anno de Il mio nome è vendetta e tra gli altri, negli anni scorsi, L’afide e la formica, Il traditore, Lo Spietato e Lea.

Altre due serie sono pronte per la messa in onda su Sky e su Netflix e un film è in uscita al cinema. Per Alessio Praticò, dunque, il 2023 si preannuncia un anno ricco di soddisfazioni, iniziato intanto con questa importante e interpretazione ne Il nostro generale.

Alessio Praticò e la Calabria

Con la Calabria resta un legame forte e profondo nutrito da affetti familiari e amicizie. La sua terra di origine per altro tornerà protagonista del suo prossimo film.

«Resto e resterò sempre legato alla Calabria e a Reggio. Qui ci sono le mie radici. Non mi sono sentito costretto ad abbandonare la mia città di origine ma ho scelto di lasciarla per seguire la mia aspirazione di fare l’attore, esattamente come avrebbe dovuto fare un giovane di Bolzano o Trento. Mi ritrovo molto con il punto di vista di Corrado Alvaro. Spostarsi per scelta non ha in sé nulla di negativo», ha spiegato l’attore Alessio Praticò.

La festa del ritorno

«La Calabria resta una terra alla quale farò sempre ritorno perché questa terra sarà sempre qui ad aspettarmi. Richiamando quanto scritto da Cesare Pavese nella Luna e i falò, il ritorno è infatti ciò che mi lega ad essa e anche per questo sono particolarmente contento della Calabria raccontata nel film in uscita.

Ne La festa del Ritorno, l’opera prima di Lorenzo Adorisio, tratta dall’omonimo romanzo dello scrittore di origini crotonesi Carmine Abate, la Calabria si rivelerà attraverso la bellezza dei suoi luoghi e la profondità dei suoi valori familiari. Sono questi i tratti essenziali del mio sentirmi legato e del mio tornare e ritornare in questa terra. Terra che, come le altre, è luogo di intense storie universali», ha concluso l’attore reggino Alessio Praticò.

(foto di Alessandro Rabboni)

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