A Brancaleone il confino dello scrittore Cesare Pavese: il palazzo della locanda “Da Cesira” che lo ospitò adesso in vendita – FOTO e VIDEO
Inserito nell’itinerario culturale di memoria della pro Loco, nel 2016 era stato al centro di una proposta di recupero e valorizzazione di Comune, Pro loco e Regione rimasta, con il rammarico anche dei proprietari, lettera morta
In questi giorni di agosto del 1935 il destino dello scrittore piemontese Cesare Pavese iniziava a incrociare la Calabria. Il 3 agosto fu il primo giorno del suo esilio a Brancaleone, nel reggino, dove giunse ammanettato e scortato dai carabinieri.
Da uomo e letterato non allineato al regime fascista, era stato esiliato in fondo all’Italia, condannato a tre anni di confino, poi ridotti a sei mesi, che scontò dall’agosto del 1935 fino al 15 marzo 1936 a Brancaleone.
Non ritenuto indigente non gli fu riconosciuto un sussidio, motivo per il quale dovette trovare un modo per mantenersi. Lasciò la locanda dove aveva trascorso solo qualche notte per andare ad occupare una stanza in un immobile al numero 121 sempre di corso Umberto a Brancaleone. Qui insegnava, scriveva il suo diario e non solo, con le spalle rivolte alle ferrovie, al mare calabrese e ai gelsomini. Impartiva lezioni di latino e letteratura italiana per vivere. Un’attività che in paese gli valse il soprannome di “U prufissuri”.
Soleva leggere il giornale al Bar Roma, sotto la locanda dove aveva trascorso le prime notti a Brancaleone. Lì foto e articoli di giornale fino a qualche anno fa (prima che quello stesso bar fosse chiuso) ricordavano ancora questo illustre passaggio.
Il film “Prima che il gallo canti” (tratto dal volume comprendente i due romanzi brevi scritti nel 1948 “Il carcere” e “La casa in collina”), diretto nel 1992 da Mario Foglietti e interpretato da Giuseppe Pambieri, è ispirato al racconto autobiografico di questo confino in Calabria.
La memoria a rischio
Nonostante sia stato poco il tempo trascorso, il palazzo antico ma ormai fatiscente che ospitava la locanda, è stato comunque inserito nel tra i luoghi pavesiani del percorso di memoria letteraria allestito dalla pro loco di Brancaleone. Luogo non visitabile perché inagibile e insicuro, ma tappa del racconto della storia della permanenza e del confino di Pavese a Brancaleone.
Una targa è stata apposta accanto al portone ma da alcuni mesi sulla ringhiera di uno dei balconi del palazzo al numero 35/37 di corso Umberto, campeggia il cartello “Vendesi”. Dunque privati potrebbero acquistarla e decidere di non mantenere alcun presidio di memoria. Certamente sarebbe una perdita per il territorio smarrirlo, specie dopo i tentativi di conservazione della Pro Loco e dopo le energie e l’impegno profusi dal Comune e dagli stessi proprietari negli anni scorsi per assicurare una destinazione culturale.
Nel 2016, infatti, si andò particolarmente vicino alla concretizzazione di un progetto di recupero e valorizzazione che ne avrebbe mantenuto anche la memoria culturale. Di esso, però oggi restano un progetto protocollato tanto presso gli uffici del comune di Brancaleone, tanto presso la Regione.
Il progetto “dimenticato” dalla Regione
«Con la pro loco Brancaleone, quando ero assessore comunale alla Cultura con Francesco Moio sindaco – racconta Giovanni Loris Leggio – avevamo messo a punto un progetto per l’apertura del palazzo della Cultura proprio in quello stabile che ospitava la locanda Da Cesira, erroneamente chiamata Roma come il bar sempre della stessa proprietaria che si trovata sotto.
Con Carmine Verduci, presidente della pro loco di Brancaleone, avevamo immaginato che ospitasse al piano terra un info point turistico e il museo con esposizioni varie. Dall’antiquariato locale, quindi utensileria domestica tipica della cultura agropastorale Brancaleonese e dell’area grecanica alle riproduzioni fotografiche degli anni ’20-‘30-‘40-‘50 rievocanti la storia di Brancaleone.
Il chiostro, l’ampio cortile interno, avrebbe potuto accogliere uno spazio per eventi di carattere musicale, culturale, artistico. Infine, al primo piano avremmo musealizzato la stanza occupata seppure per un breve periodo da Pavese e avremmo allestito una sala conferenze.
Il progetto era stato accompagnato da una missiva nella quale si chiedeva al dipartimento cultura della Regione Calabria un contributo pari a euro 200mila euro comprensivi dell’acquisto e della riqualificazione trattandosi di un palazzo storico del 1900. La famiglia Autolitano Bertullo, proprietaria del palazzo, aveva dato ampia disponibilità alla trattativa. In una sua lettera aveva sottolineato la piena adesione al mantenimento della memoria che il palazzo custodiva.
Nonostante l’iniziale disponibilità, tuttavia, la regione Calabria non diede alcun seguito concreto a quella interlocuzione. Il finanziamento non fu mai stanziato, lasciando di fatto il progetto lettera morta. L’incartamento relativo è ancora agli atti delle due amministrazioni», racconta ancora Giovanni Loris Leggio, già assessore comunale alla Cultura del comune di Brancaleone.
Adesso la vendita
Seppure con rammarico, la stessa famiglia Autolitano Bertullo, che possiede l’immobile per il quale è necessario pensare adesso ad una ristrutturazione per contrastare lo stato di abbandono, lo ha dunque messo in vendita. Una scelta determinatasi per l‘evidente disinteresse manifestato al momento di investire per conservarne la memoria e per renderlo un polo di attrazione culturale.
«Rimango convinto che paesi come Brancaleone dovrebbero avere il preciso dovere di salvaguardare questi presidi. All’epoca come amministrazione abbiamo tentato ma non disponevamo della somma per poterlo acquistare e riqualificare. Ne avremmo però assicurato la destinazione culturale. Quella di alcuni anni fa, di fatto, ha rappresentato una preziosa occasione persa». Lo ha sottolineato ancora l’ex assessore Giovanni Loris Leggio.
L’altro luogo pavesiano in salvo
Tra i luoghi pavesiani, unitamente alla scalinata di via Cavour inaugurata lo scorso anno, certamente resterà l’edificio in cui Pavese visse durante il confino. Ciò grazie alla lungimiranza e alla generosità di Tonino Tringali. Una volta diventato proprietario, egli ha infatti deciso di lasciare che quella stanza continuasse a raccontare la storia di Pavese. Lo scorso anno, inoltre, Tonino e Tringali ha conosciuto PierLuigi Vaccaneo, direttore della fondazione Cesare Pavese con sede nel comune natio dello scrittore Santo Stefano Belbo, nel cuneese. In quella occasione PierLuigi Vaccaneo ha visitato la casa del confino, restandone entusiasta.
Quella stanza in cui Pavese visse il confino, arredata come ai tempi in cui ospitava lo scrittore, è aperta al pubblico per essere visitata. È sovente al centro di percorsi pavesiani promossi anche dalla Pro Loco di Brancaleone. Uno sarà in programma anche il prossimo 20 agosto.
Immerso nei paesaggi brulli e selvaggi della Calabria, lambito dal calore degli abitanti, Cesare Pavese, editor, traduttore e insegnante, fu autore di molte opere tra le quali “Paesi tuoi” (1941), “La luna e i falò” (ultimo romanzo pubblicato in vita nel 1950), sancì proprio in Calabria il suo passaggio dalla lirica a alla prosa. Pur continuando a comporre poesie della raccolta, pubblicata nel 1936, “Lavorare Stanca”, egli iniziò durante il suo confino a scrivere, appunto, “Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950”.
Cesare Pavese, inquieto e solitario
Per poter insegnare nelle scuole, si era iscritto suo malgrado, al partito fascista nel 1932. Ma questo non bastò a salvarlo. Nella nuova ondata di 200 arresti abbattutasi nel maggio del 1935 sugli intellettuali appartenenti al movimento di Giustizia e Libertà e che collaboravano con la rivista La Cultura, vi fu anche Pavese, ritenuto pericoloso perché direttore della stessa rivista e per favoreggiamento nella corrispondenza clandestina. Erano state trovate in casa della sorella Maria dove abitava, alcune lettere inviate da Bruno Maffi, attivista di Giustizia e Libertà, a Tina Pizzardo, donna di cui lo stesso Pavese era innamorato, senza però essere ricambiato.
Nel dopoguerra si iscrisse al partito Comunista e, collaborando presso la redazione de L’unità, conobbe Italo Calvino, di cui quest’anno ricorrono i cento anni dalla nascita.
Nonostante i riconoscimenti e le pubblicazioni, non si placarono mai la sua inquietudine e il suo tormento esistenziale che duramente segnarono il suo carattere introverso e solitario. L’esilio e l’amore che tornò a farlo soffrire con l’abbandono da parte dell’attrice americana Constance Dowling, l’inguaribile disperazione, l’inestricabile senso di solitudine lo consegnarono al lavorio del tarlo del suicidio.
Il 27 agosto 1950, nell’hotel torinese di nome Roma, come il bar calabrese dove si recava sovente a Brancaleone, all’età di quasi 42 anni, si tolse la vita. Un suicidio in piena stagione del trionfo: un mese prima aveva vinto il premio Strega con “La bella estate”.