Un evento di grande valore dottrinale e spirituale, che ha dato l’opportunità a tutta la Chiesa calabrese di riflettere sull’importanza di edificare la catechesi inclusiva, cioè accogliere e valorizzare ogni persona come parte integrante del popolo di Dio: il Convegno Regionale su “Catechesi e Disabilità: strategie e strumenti per una catechesi accessibile nella preparazione ai sacramenti e nella vita di fede”, promosso dalla Conferenza Episcopale Calabra e tenutosi nel Complesso Interparrocchiale “San Benedetto” di Lamezia Terme.

L’Ufficio Catechistico Diocesano, della Diocesi di Locri - Gerace, nella persona del Direttore Enza Agrillo, ha accolto con entusiasmo l’iniziativa, raccogliendo una delegazione di catechisti, ma anche di Docenti di Religione che, grazie al coinvolgimento dell’Ufficio Scolastico Regionale, ha fatto sì che il Convegno risultasse come corso di aggiornamento e formazione.

La delegazione formata da: Enza Agrillo, Caterina Malafarina, Caterina Larosa, Paolo Campolo, Elisa Catanzariti, Anna Musolino, Don Rocco Agostino, Chiara Garreffa, Maria Francesca Commisso, suor Francesca Polimeni, Elisabetta Martelli, Giuseppe Sgarbossa, Vanessa Salerno, Silvia Scarfò, Teresa Tarzia, Alma Multari, Angelica Salerno, Rosita Taliano, Maria Teresa Giorgio, Maria Teresa Famiglietti, Luisa Totino, Maria Teresa Gallo, Maria Teresa Dattilo, Rosaria Galea, Marcella Polito, Pietro Monteleone, Paola Monteleone, Galea Rosaria, Maria Filomena Bruzzese, Carmelina Coluccio, Rosa Rotolo, Don Nicola Meleca Commisso, Diano Tiziana, , Francesca Morabito, Domenico Panetta, Maria Marando, Irene Cataldo, Caterino Rigitano, Marilena Petrolo, Maria Immacolata Polifroni, Don Giovanni Piscioneri, ha rappresentato con orgoglio la Diocesi, sempre attenta a tutte quelle tematiche volte ad edificare e sensibilizzare la comunità con interventi di accoglienza, integrazione ed inclusività.

Diversi i relatori della giornata, tutti di alta levatura religiosa e culturale. Moderatore dei lavori, Don Agostino Stasi, dell’Arcidiocesi di Rossano – Cariati, responsabile dell’Ufficio Diocesano di Pastorale per le persone disabili e promotore del percorso di “Catechesi sensoriale”, attraverso il quale continua a coinvolgere, nella loro unicità, tanti bambini e ragazzi con diverse disabilità, rendendoli partecipi, a tutto tondo, della vita comunitaria.

Un lavoro che viene fuori da una collaborazione in equipe con diversi esperti, e da tanta passione e volontà, condite da una fede incrollabile, che ha come punto di riferimento Cristo, come esempio eccelso di inclusività, la quale non significa solo “accettare”, ma anche “prendersi cura” nel tempo. Leitmotiv dei diversi interventi è stata la parabola del Buon Samaritano, che più di tutte ci fa riflettere su chi deve essere il nostro prossimo e come ci dobbiamo relazionare con lui.

Dopo la preghiera iniziale e la lettura del brano del Vangelo, da parte di un ragazzo non vedente, la lectio divina del Vescovo di Lamezia terme, Monsignor Serafino Parisi sulla parabola, che risponde in maniera chiara alla domanda chi è il mio prossimo? E il mio prossimo, ha sottolineato Parisi, sono io che decido di avvicinarmi all’altro, farmi vicino ad un altro. Colui che si fa prossimo si distingue, perchè rompe l’individualismo e la convenienza ed entra nella logica del dono, si rende compassionevole e misericordioso.

Bisogna rendersi responsabili della vita dell’altro e nella vita dell’altro ci trasformiamo. Portare il peso altrui diventa un luogo di senso e la fatica associata, quando è condivisa, non è un modo per esasperare le nostre difficoltà, ma diventa occasione di redenzione, collaborazione all’opera della salvezza, e per l’altro uno spunto di ripresa e resurrezione. Si può dire, quindi, che la comunità prende forma non solo come luogo che si apre all’aiuto reciproco, ma anche come comunità che educa alla fiducia profonda, all’abbandono in Dio e al fatto che dobbiamo fidarci del Signore, che ha chiuso tutto in un cerchio di amore e di tenerezza.

A seguire l’intervento di suor Veronica Donatello, responsabile del servizio nazionale per la pastorale alle persone con disabilità della CEI, che ha fatto un excursus sui documenti degli ultimi decenni, per sottolineare come già si parlava di inclusione in tempi in cui c’erano le scuole speciali. La prospettiva è quella di tradurre, in uno stile sinodale, la Pastorale, dove la disabilità diventa un luogo teologico di comunione.

Papa Francesco, nel 2017, sognava una Chiesa in cui anche le persone disabili fossero catechiste. Il soggetto, per una catechesi inclusiva, non deve essere solo il Vescovo, il Parroco o la catechista, ma tutta la comunità, che inizia alla vita cristiana, dove ognuno annuncia, vive e celebra. Oggi siamo in un tempo in cui sentiamo la necessità del sacro, ma sganciato dalla logica della salvezza, per cercare il proprio benessere, la propria armonia.

La fede, non come via di conversione, ma come strumento di auto – guarigione. Dio, così, diventa un terapeuta dell’anima, colui che consola, ma non libera, che cura il sintomo, ma non guarisce. In questo tempo, non si parla mai della morte, ma solo di vita. La cultura di oggi tende a mettere tutto sullo stesso piano, affinché non venga turbato il mio benessere. Diversi mali affliggono il sociale, come il narcisismo spirituale e la riduzione dell’alterità, e in ciò Dio e la fede diventano specchi di me stesso.

La sfida più grande è di non ridurre gli incontri di catechesi a spettacoli teatrali e vuoti di contenuti. Non solo, non bisogna ridurre Dio ad un anestetico davanti ai drammi del mondo, riducendolo ad un personaggio da fiaba. Inoltre, oggi, c’è il rischio di considerare la fede un prodotto da montare e smontare: quello che mi piace lo tengo, quello che non mi piace lo scarto. La fede, invece, è un cammino, un’appartenenza. Allora l’evangelizzazione di venta un’esperienza da vivere in maniera comunitaria, per superare l’individualismo e la solitudine. Per una catechesi inclusiva, siamo chiamati a generare contesti vitali, veri e autorevoli, imparare a dire “sì” e “no” a tutti, anche alle persone disabili, senza banalizzare tutto.

Le persone disabili, nella comunità, rappresentano una profezia silenziosa, ma potente, perché rompono tutti i paradigmi della realtà, restituendoci la verità del Vangelo. La persona con disabilità non promette benessere, non offre un Dio addomesticato, ma un Dio vulnerabile, un Dio che si rivela nella fragilità. Trovare un disabile catechista o che svolge qualsiasi altro ruolo, in Chiesa, non è solo inclusione, ma un dono, un segno teologico della presenza di Dio.

Nell’enciclica “Fratelli tutti” di papa Francesco, si dice che le persone disabili, se accolte, diventano una benedizione per tutta la comunità. Sua Eccellenza Monsignor Claudio Maniago, arcivescovo metropolita di Catanzaro – Squillace, delegato CEC per la catechesi, ha continuato sulla scia di suor Veronica, riprendendo anche la parabola del Buon Samaritano e mettendo in risalto come il Samaritano, in realtà, sia Gesù, l’esempio inclusivo per eccellenza, che non soccorre solo momentaneamente il malcapitato, portandolo in una locanda, ma fa intendere che “ritornerà”.

Questo significa che “il prendersi cura” è fare un percorso insieme all’altro, accompagnarlo, sostenerlo nel tempo. E il compito di tutta la comunità è quello di far sentire la persona con disabilità in un luogo sereno, accogliente, dove possa esprimere se stesso con le sue capacità, come fanno gli altri.

Non solo accolta, ma partecipe all’opera di salvezza, portata avanti dalla stessa comunità. L’ultimo intervento è stato quello di Monsignor Francesco Savino, Vescovo di Cassano allo Jonio e Vice Presidente della CEI, che ha voluto fare una riflessione teologica e pastorale sul significato della disabilità nella comunità cristiana. “Ogni persona”, ha affermato, “è immagine e somiglianza di Dio, e nessuna fragilità piò cancellare questa verità originaria.

La disabilità non è una ferita da nascondere, ma un dono, attraverso cui la Chiesa è chiamata a scoprire la bellezza della diversità e la forza dell’amore che si fa servizio”. E, poi, ha aggiunto: «Fare Catechesi con le persone con disabilità significa cambiare prospettiva: non adattare semplicemente i contenuti, ma costruire esperienze di incontro e di comunione. Significa usare un linguaggio fatto di gesti, di relazioni, di prossimità. Significa, soprattutto mettere al centro la persona, prima ancora del metodo. Ogni discepolo è unico, e lo Spirito Santo parla in ciascuno in modo irripetibile». E ancora: «La disabilità non chiede compassione, ma partecipazione. Non pietismo, ma prossimità. Non esclusione, ma fraternità. Solo quando le nostre comunità sapranno riconoscere, in ogni persona, un fratello da amare e non un problema da risolvere, allora La Chiesa sarà davvero la casa di tutti».

La giornata è stata arricchita da diversi laboratori: Lavoro e disabilità: il lavoro è un progetto di vita; Sport e disabilità: il valore del gioco per tutti come strumento di relazione e segno di fese; La dimensione religiosa del pellegrinaggio con Unitalsi: un percorso di fede e relazione che continua nella quotidianità; Famiglia e cargiver: un cammino condiviso di amore e servizio nella comunità Papa Giovanni XXIII, tenuto da Paolo Campolo e Anna Musolino della Comunità suddetta, referenti del Settore dell’Ufficio Catechistico Diocesano che riguarda la catechesi con le persone con disabilita; La Catechesi dei cinque sensi, la pastorale dei sordi e i cammini di accompagnamento ai sacramenti e alla vita di fede: esperienza pastorale dell’Arcidiocesi di Rossano – Cariati; Il progetto di vita nell’esperienza della “Piccola Opera”; Pastorale delle persone con disabilità: esperienza della Diocesi di Catanzaro – Squillace.

Inoltre, tutta la giornata, è stata allietata da momenti preziosi e coinvolgenti realizzati da ragazzi con disabilità. L’incontro si è concluso con un momento di preghiera e con l’impegno condiviso a proseguire il cammino comune verso una catechesi sempre più inclusiva, capace di incarnare la misericordia e la tenerezza del Vangelo. Un plauso alla Diocesi di Locri – Gerace e all’Ufficio Catechistico Diocesano, per dare queste opportunità di crescita spirituale e teologica, che sono preziosi antidoti ai malesseri del sociale, e infondono quella volontà e quel coraggio della fede, che ci fa assaporare la bellezza di essere testimoni in cammino, che attingono alla fonte dell’unità e della collaborazione. “Talvolta i veri limiti esistono in chi ci guarda” (Candido Cannavò)