La fotografia più recente del Sole 24 Ore sulla qualità della vita rimette lo Stretto e il Mezzogiorno davanti a uno specchio che nessuno può più evitare. In coda alle classifiche, con indicatori che raccontano ritardi strutturali su servizi, ambiente, mobilità, welfare, Calabria e Sicilia continuano a vivere in un limbo che sembra eterno. E mentre i numeri raccontano questa distanza, oltre 13,5 miliardi di euro legati al progetto del Ponte sullo Stretto restano appesi, tra annunci, rinvii e un progetto esecutivo che ancora non c’è.

In mezzo, le vite reali: quelle di chi ogni giorno deve fare i conti con strade interrotte, ospedali fragili, scuole chiuse, reti idriche che perdono metà dell’acqua caricata in condotta. È qui che l’urbanista Federico Curatola propone di spostare il fuoco: dai rendering del “grande collegamento” ai vuoti quotidiani che segnano la qualità della vita. Perché, sostiene, quei miliardi possono ancora ridisegnare il destino delle due regioni, se l’Italia avrà il coraggio di rimettere in fila le priorità.

«La classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita fotografa una realtà che conosciamo bene: l’area dello Stretto e, più in generale, il Mezzogiorno continuano a pagare ritardi strutturali profondi», osserva Curatola. «Proprio per questo, le ingenti risorse previste per il Ponte sullo Stretto meriterebbero di essere ripensate e orientate dove servono davvero: innalzare la qualità della vita dei cittadini, rafforzare servizi, mobilità, sicurezza, ambiente, welfare. Investire prima nelle persone e nei territori significherebbe colmare divari storici, costruire opportunità, far risalire una classifica che oggi ci restituisce un quadro impietoso, ma non immutabile».

Al centro del ragionamento ci sono gli oltre 13,5 miliardi destinati al Ponte, di cui 4,6 miliardi provenienti dal Fondo di sviluppo e coesione e un miliardo e mezzo sottratto a Sicilia e Calabria con il consenso dei rispettivi governatori. «Parliamo di risorse pubbliche imponenti, che potrebbero diventare una leva straordinaria per la “sopravvivenza” e il rilancio strutturale di Calabria e Sicilia. Oggi, invece, queste risorse sono legate a un’opera che non dispone ancora di un progetto esecutivo e che, per molti aspetti, resta campata – è il caso di dirlo – in aria».

Da qui il giudizio sulla scelta dei senatori Nicola Irto e Antonio Nicita di presentare un emendamento alla Manovra per chiedere che almeno una parte di quei fondi venga restituita alle Regioni e destinata al completamento della programmazione 2021-2027. «È un passaggio importante, perché rimette al centro la domanda fondamentale: come impiegare in modo efficace questi soldi? Il Sud non chiede scorciatoie, chiede infrastrutture utili, diritti, dignità e futuro. Una scelta diversa delle priorità può ancora cambiare la storia dei nostri territori e ridisegnarne il futuro».

Per l’urbanista, il primo capitolo riguarda la messa in sicurezza di territori tra i più fragili d’Europa. «In due regioni fragilissime dal punto di vista idrogeologico, una parte consistente di questi fondi potrebbe finanziare interventi urgenti di consolidamento dei versanti instabili, regimazione idraulica di fiumare e torrenti, manutenzione straordinaria delle opere esistenti, spesso obsolete o sotto-dimensionate. Parliamo di interventi che riducono il rischio di perdita di vite umane, tutelano i centri abitati e garantiscono la continuità dei collegamenti. Questa è vera modernizzazione».

Accanto al tema della sicurezza fisica dei territori, Curatola colloca quello della “riapertura” del patrimonio pubblico oggi negato alle comunità. «In Calabria e Sicilia centinaia di edifici risultano chiusi o parzialmente inagibili: stadi, campi sportivi, tribune e spogliatoi, palestre scolastiche, plessi didattici, uffici comunali, sedi istituzionali, impianti di servizio. Intervenire su queste strutture significherebbe restituire sport, cultura, socialità, istruzione sicura. Una quota dei fondi del Ponte permetterebbe, nel giro di pochi anni, di riaprire strutture oggi abbandonate, adeguarle sismicamente e renderle pienamente fruibili».

Il terzo asse riguarda la rete viaria, soprattutto quella che tiene agganciate le aree interne al resto del territorio. «Le due regioni soffrono di un problema drammatico: le aree interne si spopolano perché i collegamenti sono insufficienti. Strade provinciali dissestate, gallerie chiuse, ponti ammalorati, arterie di montagna impraticabili. Destinare risorse al rifacimento dei manti stradali con tecniche a lunga durabilità, alla messa in sicurezza di viadotti e gallerie, alla riorganizzazione delle arterie di penetrazione verso i borghi interni, al miglioramento dell’accessibilità ai servizi essenziali significa salvare territori che stanno letteralmente scomparendo».

Dentro a questo quadro entra di prepotenza il tema della sanità e dei servizi socio-sanitari, che Curatola considera strettamente legato proprio alla condizione delle aree interne. «La grave carenza dei servizi al cittadino è sotto gli occhi di tutti: una rete ospedaliera insufficiente, sanità territoriale che non risponde alle esigenze reali di una popolazione sempre più anziana e che necessita di assistenza, servizi garantiti a singhiozzo. Sarebbe necessario potenziare il servizio di emergenza-urgenza con nuove postazioni 118, mezzi medicalizzati e basi per l’elisoccorso in montagna; realizzare ambulatori polispecialistici territoriali dotati di diagnostica di primo livello e unità socio-sanitarie mobili in grado di raggiungere i borghi più isolati; finanziare reti digitali per la telemedicina, indispensabili per la gestione delle cronicità e per ridurre i tempi di diagnosi; intervenire sull’edilizia sanitaria per adeguare sismicamente e funzionalmente i piccoli ospedali tuttora attivi ma sotto-standard; potenziare il sistema di assistenza domiciliare integrata e sostenere la diffusione dei centri diurni».

L’altro grande capitolo, spesso relegato a problema tecnico, è quello del sistema idrico integrato. «In molte città e centri minori fino al 40–50% dell’acqua immessa in rete si disperde. Le reti fognarie sono spesso datate, soggette a rotture e sversamenti, non conformi alle direttive europee. Gli impianti di depurazione funzionano a singhiozzo e a macchia di leopardo. Con una parte delle risorse del Ponte sarebbe possibile sostituire le condotte vetuste, adeguare i sistemi fognari e gli impianti, potenziare i sistemi di captazione e adduzione idrica, evitare infrazioni UE e milioni di euro di sanzioni. È un investimento che si ripaga da solo e che migliora qualità della vita, salute pubblica ed efficienza dei servizi».

Al centro, sempre la stessa domanda: che cosa significa davvero “modernizzare” il Sud. «La discussione sul Ponte non deve diventare una guerra di posizione. La vera domanda è: come vogliamo vivere nei prossimi trent’anni? Vogliamo continuare a inseguire il “grande annuncio” o vogliamo mettere mano a ciò che serve davvero alle famiglie, ai pendolari, agli studenti, alle imprese?».

Lo sguardo torna alla scala umana, quella da cui l’urbanista vorrebbe ripartire. «Ribadisco: qui il punto non è lo scontro con un’opera, il punto è stare dalla parte delle nostre comunità, di ciò che tiene in piedi la vita quotidiana, di ciò che rende una regione moderna, sicura, vivibile. Con 13,5 miliardi possiamo cambiare la storia di Calabria e Sicilia. A una condizione: che scegliamo di spenderli dove la storia si è fermata, per permettere a chi è rimasto indietro di rialzarsi e guardare con speranza al futuro».