Ci sono luoghi che chiedono silenzio. Altri che lo impongono. E poi ci sono comunità che, a un certo punto, rompono quel silenzio. Seminara è uno di quei luoghi che oggi, dopo il dolore, sceglie di alzare la testa e dire: “Basta”.

Domani, alle 17, questo piccolo paese del reggino diventerà il centro di una manifestazione profonda, collettiva, necessaria. Per non dimenticare. Per non far finta di niente. Perché il male si combatte insieme, con la forza delle parole giuste e con la scelta quotidiana di stare dalla parte della vita e del rispetto.

La violenza non è solo un gesto. È un silenzio che fa rumore, un’ombra che si insinua nei corpi e nelle menti, un dolore che si annida dove dovrebbe esserci amore. Parlarne è un dovere. Educare è un’urgenza. Denunciare è un atto di coraggio che appartiene a tutta la comunità. Perché il silenzio è complice, ma la voce di chi si alza in piedi può diventare salvezza. Contro ogni forma di violenza,
per ogni vita che merita rispetto, noi non staremo zitti.

A spingerci in piazza non è solo l’orrore per ciò che è accaduto – violenze su ragazze minorenni da parte di un branco – ma la consapevolezza che tutto questo si può fermare solo educando. Parlando. Facendo luce. Con i giovani, tra i giovani, per i giovani.

Ci saranno istituzioni politiche e militari, rappresentanti del Governo, garanti regionali. E ci saranno soprattutto le associazioni che da anni costruiscono pezzi di futuro con la forza della legalità: La Tazzina della Legalità, Fondazione Scopelliti, Libera, Grace, Break the Silence, Sete di Giustizia, insieme ai centri antiviolenza e case rifugio, all’Università Mediterranea, alla Commissione regionale pari opportunità degli Avvocati, all’Associazione Nazionale Magistrati.

Non sarà solo una manifestazione. Sarà un abbraccio collettivo, una promessa, una presa di coscienza: è ora di cambiare. Di dire che il corpo delle donne non è merce. Che la dignità non si tocca. Che il silenzio non protegge, ma uccide.

Seminara sarà voce. E da quella voce deve partire qualcosa di più grande: un’educazione alla libertà, al consenso, alla responsabilità. Perché la vera rivoluzione culturale comincia nelle scuole, nelle case, nei gruppi di amici. Comincia da chi ha il coraggio di dire: “Io non ci sto”. Domani, non sarà solo un giorno di denuncia. Sarà un giorno di rinascita.