Bova, il borgo della filoxenia, ha ospitato un nuovo appuntamento culturale che ha trasformato la piazzetta di via Vescovado in una piccola agorà letteraria. Protagonista assoluto Domenico Dara, che ha dialogato con il pubblico attorno al suo ultimo romanzo Liberata, edito da Feltrinelli. L’iniziativa, promossa dall’amministrazione comunale, si è aperta con i saluti del sindaco Santo Casile e di Margherita Festa, responsabile eventi culturali del Museo Rohlfs, ed è stata condotta dalla giornalista Maria Zema.

L’atmosfera intima del borgo ha fatto da cornice a una presentazione intensa, capace di intrecciare memorie collettive e universi individuali. Liberata porta il nome della sua giovane protagonista, una ventenne calabrese degli anni Settanta che si perde tra i fotoromanzi, innamorata dell’attore Franco Gasparri e del sogno di un amore travolgente.

«Liberata è una ragazza ventenne che abita in un paese della Calabria, che legge tantissimi fotoromanzi e sogna che nelle sue giornate possa scoppiare un amore grande come quello dei fotoromanzi». Una descrizione che restituisce tutta la delicatezza di un personaggio sospeso tra quotidianità e desiderio, ma che diventa anche metafora di una generazione.

Il romanzo non si esaurisce in un ritratto nostalgico. Dara lo definisce un racconto che attraversa il tempo e lo spazio: «I sentimenti non cambiano né con il tempo né con lo spazio. Tutte le donne sono state un po’ Liberata, continuano ad esserlo e continueranno a esserlo». È qui che l’opera smette di essere solo ambientazione anni Settanta e si trasforma in una parabola sull’universale bisogno d’amore e di riconoscimento.

Durante l’incontro, l’autore ha evocato una delle immagini più potenti del libro: la capacità di sopravvivere attraverso la perdita. «Spesso per andare avanti dobbiamo imparare a perdere una parte di quello che siamo. Liberata probabilmente perde l’illusione della felicità per poter sopravvivere». Una riflessione che diventa simbolo di resistenza, tanto individuale quanto collettiva, legata a una Calabria che nei sogni e nelle ferite delle sue figlie riconosce la propria identità.

Liberata nasce da un intreccio di passioni e memorie personali. Dara lo ha spiegato con semplicità: «Nasce dalla mia passione per i fotoromanzi che devo a mia madre. Nasce dalla volontà di restituire una piccola dignità a tutti coloro che li hanno letti e che spesso sono stati maltrattati». Una dichiarazione che svela la radice più intima del romanzo: ridare voce e valore a chi è stato relegato ai margini, in una letteratura che non disdegna il quotidiano ma lo eleva a simbolo.

Lo scrittore, nel dialogo con il pubblico, ha aggiunto un tassello fondamentale sul suo mestiere: «Uno scrittore deve fare i conti con se stesso. Le storie nascono intorno a piccole ossessioni e bisogna imparare a mostrarle agli altri». È questa la chiave che rende Liberata più di una narrazione nostalgica: è un atto di confessione e, al tempo stesso, di condivisione.

Il borgo di Bova ha raccolto e amplificato questo messaggio. Le parole di Dara si sono inserite in un luogo che da tempo ha fatto della cultura uno strumento di comunità. Lì, tra vicoli e piazze che conservano memorie antiche, Liberata ha trovato un’eco naturale. Non solo una storia ambientata in Calabria, ma un romanzo che appartiene al mondo intero: perché la speranza di un amore grande, la necessità di sopravvivere alle perdite e la voglia di dare dignità ai propri sogni sono tratti che nessuna epoca e nessun confine possono cancellare.