«L’amore per la cultura, l’attaccamento al territorio reggino ed al suo popolo, il desiderio di affermare i principi della legalità hanno reso possibile la riconversione di questo edificio, già brefotrofio negli anni trenta, a Palazzo della Cultura intitolato al meridionalista Pasquino Crupi. Vi trovano il giusto risalto le opere di artisti reggini e quelle restituite alla pubblica fruizione a seguito di confisca alla malavita organizzata. L’arte torna a arte, sia luogo di una ritrovata ma mai dimenticata identità calabrese, forte della sua millenaria cultura e di un sano orgoglio ispirato alla legalità».

Eduardo Lamberti Castronuovo legge, anche con trasporto, quanto inciso nell’epigrafe – «una lapide non l’auguriamo a nessuno» dice – che nei giorni scorsi è stata rimossa da Palazzo Crupi, teatro della mostra “SalvArti”, senza apparenti giustificazioni da parte dell’amministrazione comunale che, però, con il delegato alla Cultura, Filippo Quartuccio, ha parlato di rimozione temporanea, rilanciando anche rispetto ad una presunta referenzialità rispetto alla stessa epigrafe che reca i nomi dell’allora presidente della Provincia, Giuseppe Raffa, e dell’allora assessore alla Cultura e legalità, Lamberti Castronuovo.

«La firma è un atto dovuto – rimarca Lamberti ricordando le difficoltà che hanno segnato la nascita di Palazzo Crupi – oltretutto in quel palazzo se premete i muri viene fuori il sangue di chi ci ha lavorato, anche di notte, alle due di notte, senza spendere una lira, chiaro? Quindi io rispondo con questa frase a Cesare quel che è di Cesare». D’altra parte per Lamberti «non si può approfittare di una qualunque carica pubblica per andare a dileggiare o addirittura rimuovere la memoria storica. La memoria storica è quella, e quella deve rimanere punto e basta».

All’incontro ha partecipato anche Giuseppe Raffa, il cui approccio soft ma determinato gli ha permesso di non entrare in scivolata nella polemica politica che di lì a poco avrebbe caratterizzato la conferenza stampa con gli interventi di Federico Milia, Massimo Ripepi e Armando Neri, che hanno portato la solidarietà dei gruppi consiliari comunali. Per lui, d’altra parte, se proprio si voleva condannare la presunta autoreferenzialità, si potevano “tagliare” i nomi che davano fastidio. Una evidente provocazione, la sua, per condannare ancora più sonoramente l’episodio. «È un fatto gravissimo quello che è successo, e non è il primo purtroppo – esordisce Raffa – Ahimè, non sarà neanche l’ultimo perché questa è una cultura che purtroppo appartiene a questa classe dirigente che sta governando la città».

L’ex presidente della Provincia traccia un parallelo con Piazza del Popolo per descrivere un modus operandi: «lo hanno fatto in sordina con Piazza del Popolo perché partono con un approccio soft, perché pensano che l’opinione pubblica distratta per com’è non riesce a cogliere l’essenza delle cose».

Lamberti e Raffa esaltano quindi il percorso virtuoso che ha portato l’esperienza reggina del Palazzo della Cultura ad essere emulata a Milano, ma si schierano naturalmente anche in difesa di Pasquino Crupi, a cui il palazzo è intitolato. Per Raffa «questa è una gomma, non un’amministrazione» perché – è il ragionamento di Raffa – ha l’intento di cancellare la storia della città a suo piacimento.

Seduto tra il pubblico, da invitato interessato, anche Vincenzo Rosario Crupi, figlio di Pasquino, che prova anche lui a stare ai margini della polemica politica: «io non voglio entrare in polemica con l’amministrazione perché mi hanno insegnato che bisogna anche scegliersi l’interlocutore. Né io né mia sorella siamo stati avvisati di questa iniziativa. Ho letto con molta attenzione la replica del delegato alla cultura Quartuccio, in cui spiegava che la rimozione della epigrafe era dovuta a questioni di logistica per l’allestimento. Però, non sono esperto d’arte, ma non ho capito quale era l’impedimento, cioè perché la mancata rimozione non consentiva l’allestimento della mostra. Questo lo dico ma ripeto senza nessuna polemica. La storia di ognuno di noi è appunto la storia di ognuno di noi, quindi la storia dell’amministrazione nel bene e nel male è quella che hanno scritto loro».