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«Non mi avete fatto nulla. Anzi, mi avete dato ancora più forza». Con queste parole forti, cariche di determinazione, il sindaco di Cinquefrondi Michele Conia ha raccontato ai microfoni di A tu per Tu, il format di ilReggino.it, il suo percorso di amministratore e uomo sotto attacco, ma non sotto ricatto. L’intervista, realizzata a bordo del truck del network LaC, ha dato voce a un’esperienza personale e politica che si fa simbolo di resistenza civile.

Conia, alla guida del piccolo comune della Piana di Gioia Tauro, è stato vittima di quattro atti intimidatori. L’ultimo episodio, solo poche settimane fa, ha visto alcuni terreni di sua proprietà andare in fiamme. «Un segnale che non colpisce solo me – ha spiegato – ma la mia famiglia, mio padre che ha acquistato quel terreno con anni di sacrifici in Germania. Eppure, ho scelto di non fermarmi: mi sono seduto in piazza e ho detto pubblicamente a chi mi ha fatto questo di venire a parlarmi in faccia. Nessuno si è fatto avanti».

«Chi agisce di nascosto è un vigliacco»

Conia non ha dubbi sulla matrice degli atti subiti, anche se, come tiene a precisare, il lavoro di accertamento spetta alla magistratura e alle forze dell’ordine, alle quali ha sempre fornito piena collaborazione. Ma c’è un livello civile, etico, che il sindaco rivendica con forza: «Chi agisce con metodi paramafiosi è un codardo. Chi brucia un campo per intimidire un amministratore lo fa perché ha paura di perdere il controllo del territorio».

Un sindaco che sfida la paura con la presenza

Nel racconto raccolto da ilReggino.it, emerge la visione di una politica che si fa presidio attivo. «Non bisogna essere eroi – afferma – la paura c’è, soprattutto per le persone care. Ma il messaggio che ho voluto lanciare è che nessuno mi sposterà da qui. Io resto e continuo a fare quello che ho sempre fatto: amministrare con trasparenza e giustizia».

Una scelta di campo confermata anche dalla decisione, controcorrente, di non candidarsi alle ultime elezioni regionali nonostante le insistenti pressioni ricevute. «Per me veniva prima il mio comune, la mia comunità, il “noi” rispetto all’“io”. Sarebbe stato comodo accettare, ma sarebbe stato un tradimento verso chi mi ha dato fiducia».

Legalità non da convegno, ma da atti concreti

Nel corso dell’intervista, Conia ha criticato con forza una certa retorica sulla legalità: «Non servono convegni, servono atti concreti. Come sorteggiare gli scrutatori, fare graduatorie trasparenti, non accettare raccomandazioni. È questo che cambia la mentalità. È questo che dà fastidio».
Tra i progetti portati avanti a Cinquefrondi: la realizzazione di un centro antiviolenza su un bene confiscato, la nascita di due scuole superiori (musicale e coreutica), un anfiteatro in un’area abbandonata e il programma educativo “Cento passi” che ha portato i ragazzi del paese a Palermo e Cinisi, nei luoghi simbolo della lotta alla mafia.

«Il vero cambiamento è far restare i nostri giovani»

L’obiettivo, ribadisce, è creare condizioni per evitare l’emigrazione forzata dei giovani. «Vorrei che chi parte lo faccia per scelta, non perché è costretto. Per questo investiamo in cultura, sport, opportunità. Stiamo creando un albergo diffuso, residenze artistiche, spazi per chi vuole esprimersi».
Un’idea di futuro che ora guarda anche a Campobasso: «Il nostro comune è stato selezionato per partecipare a un importante bando nazionale dove presenteremo i nostri progetti a investitori e fondazioni. È un’occasione che può portare sviluppo non solo per Cinquefrondi, ma per tutto il territorio».

«Non mi avete fatto nulla»

Il cuore dell’intervista si riassume nella frase che il sindaco Conia ripete con lucidità e coraggio: «Non mi avete fatto nulla». Non per incoscienza, ma perché la forza del collettivo, della comunità, è più grande della paura. «Più mi attaccano e più mi sento forte – ha concluso – anche per mia figlia, anche per tutte le persone che credono che da questa terra si possa scrivere un’altra storia. Non me ne andrò. E se qualcuno ha qualcosa da dire, sa dove trovarmi: in piazza, alla luce del sole».