La solitudine uccide, il silenzio pure. Hanno deciso di infrangere il muro dell’indifferenza in cui troppo spesso sono relegati i pazienti psichiatrici. La malattia mentale, invisibile e spesso incurabile, è diventata la pietra di scandalo a Reggio Calabria dove i più fragili e gli ultimi vengono ulteriormente dimenticati e destinati ad essere esiliati fuori regione. È questa la denuncia dei familiari dei pazienti psichiatrici che sono ancora in bilico in attesa dell’accreditamento delle strutture.

«La partita psichiatrica è una partita, purtroppo, che dura da tanti anni e che io, in qualche modo, mi sono presa a cuore – ha detto il commissario dell’Asp Lucia Di Furia – Li ho accompagnati presso la Regione, so che ci sarà un incontro nei prossimi giorni in Regione di nuovo su questa situazione. Consideri che, comunque, quando siamo arrivati erano incastrate diverse strutture che attendevano l’autorizzazione aziendale e quelle le abbiamo sistemate. Di strutture che sono rimaste “appese” oramai sono quattro, non più di quattro, dove io auspico che si trovino le soluzioni. L’importante non è solo e soltanto accontentare o fare in modo che possano lavorare bene gli operatori di quelle cooperative, che pure è importante. Ma la cosa importante è come vengono trattati i pazienti: la qualità assistenziale. Avere l’autorizzazione all’accreditamento vuol dire avere la garanzia della qualità assistenziale per dei pazienti particolarmente fragili. Quindi c’è l’intenzione di risolvere questa cosa. Stiamo lavorando e speriamo di portarla a casa.»

E le contraddizioni si inseguono e se da un lato la commissaria dell’Asp Lucia di Furia minimizza e parla di un problema in fase di risoluzione con «solo 4 strutture ancora da risolvere», dall’altra sindacati, operatori e familiari raccontano un’altra verità.

La protesta

Dopo l’occupazione da parte dei familiari dell’ASP hanno protestato per rivendicare una posizione che si scontra con le dichiarazioni rilasciate. «Per essere al nostro fianco, bisogna fare dei fatti, perché le parole ormai non ci interessano più. Dicono tanto, parlano molto, ma noi non vediamo nulla di concreto». Lo ha detto Giuseppe Foti del Coolap. «L’ASP afferma di essere sempre stata al nostro fianco, ma in realtà non abbiamo mai visto nulla di ciò. Ci parlano di numeri che dicono che Reggio Calabria ha un bacino di utenza inferiore a quello reale, ma io non capisco.

Oggi abbiamo anche dati ministeriali che indicano come la Calabria sia sottodimensionata per posti letto e per strutture. Da dove provengono questi numeri? Da quale fonte? Questo non l’abbiamo mai compreso. Stiamo lottando da molti anni e oggi veniamo a sapere, ad esempio, di un fenomeno di “immigrazione sanitaria”: molti pazienti vengono portati fuori regione, partendo dalla psichiatria, coinvolgendo i più deboli e i disabili. Prendo la responsabilità di ciò che dico: per il disabile psichiatrico sembra che conti poco o niente. Da trent’anni lottiamo per quella forma di disabilità che oggi colpisce in tutto il mondo: la solitudine. Noi combattiamo contro la solitudine. I nostri pazienti per noi sono diventati famiglia, e combatteremo fino alla fine per ottenere ciò che è giusto e che ci spetta di diritto dopo tanti anni di lavoro e impegno. La regione deve capire che non molleremo facilmente, anche se ora si è aperto qualche spiraglio con l’annuncio di un incontro. Ma sentiamo sempre parlare di riconversione, discorsi già fatti tempo fa e che non hanno portato a nulla».

Riconversione e sentenze

Dall’altro lato il subcommissario Esposito parla già di riconversione delle strutture. «La posizione è quella di trovare le possibilità per una riconversione delle strutture in altre, per altri setting assistenziali, anche perché le ultime sentenze hanno praticamente cristallizzato quello che è il fabbisogno all’interno della Regione in termini di numeri di posti letto destinati alla psichiatria e quindi, nell’ambito di questo numero, dobbiamo muoverci. Contemporaneamente ci sono anche altre possibilità che potremmo iniziare a vedere per capire come poterli riconvertire, proprio per non far perdere i posti occupazionali.»

I numeri che si contraddicono

Abbiamo chiesto ai sindacati quali siano i numeri che contrapposti a quelli forniti dall’ASP. «Loro raccontano una realtà che si scontra con la verità. Sì, si scontra con la verità perché è sottodimensionata del 98% nelle strutture e dal trenta al quaranta percento nei posti letto. Sono tutti sottodimensionati. Lo dice anche l’Istituto Superiore di Sanità, lo dice la società italiana. Quindi, non ho idea da dove derivino i numeri che la regione vuole portare avanti. Come ha evidenziato anche L’Espresso, la Procura di Milano se ne sta occupando, e spero che al più presto venga fatta chiarezza sui fatti della nostra regione».

L’accompagnamento di cui parla il commissario Di Furia è reale? Vi siete sentiti supportati in questa battaglia dall’ASP o abbandonati, come spesso denunciato? «Diciamo che la dottoressa Di Furia ci ha sempre dato un certo supporto, ma mai concretizzatosi in fatti. Dire di essere con noi per poi affermare che si vergogna dell’illegalità presente nelle strutture può anche essere giusto, ma serve una continuità nelle valutazioni. Noi abbiamo ereditato questa situazione dalla politica del passato, destra o sinistra conta poco. Si cambiano le magliette, ma alla fine la partita è sempre la stessa».

La disperazione dei familiari

Come familiari, questa battaglia la stanno portando avanti con l’occupazione dell’ASP, ma c’è di più: parliamo di solitudine. Qual è il rischio nel vedere i propri familiari trasferiti fuori regione, impossibilitati a ricevere assistenza? Lo abbiamo chiesto a chi questo dramma lo sta vivendo in prima persona. «Questo, purtroppo, è uno stillicidio che dura da anni. Noi chiediamo la continuità del servizio offerto dalle nostre strutture, che sono eccellenze. Queste strutture affiancano i pazienti con professionisti a trecentosessanta gradi, fornendo una cura che va oltre la somministrazione di psicofarmaci. È una cura che include un’équipe qualificata, che negli anni ha garantito un servizio continuativo, il quale oggi rischia di venire meno. Come familiari, abbiamo paura per i nostri cari, ma anche per i pazienti che qui hanno trovato una “comfort zone”, un benessere psicofisico che li ha aiutati a ritrovare un equilibrio. Il timore è che questo ipotetico spostamento dei pazienti, questa delocalizzazione, possa influire negativamente su questo equilibrio così delicato».

Persone dietro i numeri

Persone dietro i numeri. È questo che l’Usb rivendica a gran voce con Giuseppe Marra. «Questo rischio è già realtà, dato che sono tantissimi i pazienti psichiatrici reggini ospitati fuori regione. Con la posizione assunta dall’ASP e dalla Regione Calabria, e con il continuo parlare di riconversione, il rischio è che questi numeri aumentino e che la solitudine dei pazienti diventi una patologia peggiore della malattia stessa. Con il commissariamento, ci siamo trovati di fronte a tagli e freddi numeri. La percentuale attuale è assolutamente insufficiente a coprire il fabbisogno della provincia di Reggio Calabria: abbiamo circa duecentocinquanta pazienti reggini ricoverati fuori regione, oltre ad altri centocinquanta ricoverati fuori provincia. Abbiamo meno di duecento posti letto in provincia, e i ricoveri non possono essere rifiutati. Se qualcuno ha un problema, non possiamo dirgli di no. Viene mandato fuori provincia, fuori regione, con un enorme costo.

Considerando che la sanità mondiale afferma che la malattia psichiatrica è in aumento, anziché chiudere posti letto dovremmo aprirne. Invece, si va nella direzione opposta, negando risposte ai pazienti e ai loro familiari. La soluzione proposta dall’ASP quale sarebbe, e qual è invece la vostra richiesta? Noi chiediamo semplicemente che vengano autorizzate le strutture nate dopo la chiusura del manicomio di Reggio, come promesso in tutti questi anni. Queste strutture, nate trent’anni fa, hanno sempre risposto alle esigenze del territorio. Inoltre, è necessario un lavoro di valutazione per rispondere alle molte richieste a cui il nostro territorio non riesce a far fronte. I servizi che potrebbero essere offerti da queste cooperative vanno organizzati meglio, ma oggi l’urgenza è non perdere questa esperienza e questi posti di lavoro. A causa del blocco dei ricoveri, queste cooperative registrano un passivo mese dopo mese, e la situazione è ormai insostenibile. Rischiamo di non vederle più a fine anno. Se non arriva una risposta immediata, tutte le prospettive che ci sono state illustrate rimangono solo parole, e i lavoratori si ritroveranno senza lavoro e senza un futuro».