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Reggio, nel servizio ai più fragili l’eredità “viva” di don Italo Calabrò scomparso il 16 giugno 1990

Scomparso 34 anni fa, formò generazioni di giovani, fondando il centro comunitario Agape e la Piccola Opera Papa Giovanni e praticando la resistenza nonviolenta alla 'ndrangheta. In corso la fase di raccolta di scritti e di testimonianze da inviare al Vaticano per la causa di Beatificazione

Reggio, nel servizio ai più fragili l’eredità “viva” di don Italo Calabrò scomparso il 16 giugno 1990

È sepolto nel cimitero di San Giovanni di Sambatello, nella zona periferica di Gallico, a nord di Reggio Calabria, dove era stato parroco per tutta la sua vita, Don Italo Calabrò, per il quale è in corso l’istruzione della causa di beatificazione. Il suo sacerdozio fu segnato da una vibrante carità verso i più fragili di cui conoscere il nome e le storie, da un’autentica vocazione al servizio del prossimo, da una coraggiosa antimafia sociale, Don Italo Calabrò, ha lasciato semi di amore che nel corso di questi decenni, nel suo fervente ricordo e seguendo le orme che aveva tracciato, sono fioriti.

Proprio quella tomba nel piccolo cimitero reggino custodisce le spoglie di un’anima grande che si è manifestata agli ultimi attraverso una presenza costante e ferma, di un prete che seppe essere guida ben oltre la comunità parrocchiale alla quale dedicò tutti i suoi oltre 40 anni di servizio sacerdotale. La sua opera educò e formò intere generazioni di giovani che oggi sono adulti impegnati nel sociale a vario titolo. Cuore pulsante della sua eredità sono la Piccola Opera Papa Giovanni e il Centro comunitario Agape, fondati nel 1968, cresciuti nel tempo nel segno dei suoi insegnamenti.

16 giugno 1990 – 16 giugno 2024

Proprio in questo giorno, 16 giugno, ogni anno quella tomba diventa luogo di una preghiera corale e collettiva in cui «ringraziare di una presenza andata certamente oltre l’esistenza terrena e che ancora traccia il nostro cammino. Don Italo è vivo e sempre con noi, nel nostro impegno quotidiano dentro la Piccola Opera Papa Giovanni che oggi con i suoi 22 servizi in area sanitaria e sociale accoglie e accompagna tutte le fragilità su tutto il territorio metropolitano». Così Piero Siclari, presidente della Piccola Opera Papa Giovanni. Oggi, nel 34° anniversario della morte di don Italo, avvenuta il 16 giugno 1990, anche lui con altri amici e compagni di viaggio ha partecipato all’atteso e condiviso momento di preghiera.

«Per tutti noi che lo abbiamo avuto come insegnante all’istituto Panella e poi come maestro di vita, questo è un appuntamento immancabile. Così anche questa mattina ci siano ritrovati per pregare su impulso della parrocchia di Santa Maria della Neve in San Giovanni di Sambatello, guidata da don Bruno Verduci, dell’arcidiocesi Reggio Calabria – Bova, della Caritas reggina, della Piccola Opera Papa Giovanni e del centro comunitario Agape. Una commemorazione che proseguirà questo pomeriggio presso Villa Gullì con la santa Messa officiata dal vicario generale della Diocesi Reggio-Bova, don Pasqualino Catanese», ha sottolineato Piero Siclari.  

Il ricordo di Mimmo Nasone

«34 anni fa don Italo iniziava a percorrere l’ultima pezzo di strada, il suo calvario. La malattia, che lo aveva aggredito due mesi prima di quell’alba del 16 giugno 1990, diventava inesorabile. Eppure, in quei giorni di lenta e dolorosa agonia, don Italo ha continuato a testimoniare la sua incrollabile fede nell’amore di Dio. Il silenzio dei suoi ultimi giorni, la debolezza del suo corpo ormai stremato, avevano lasciato pieno spazio alla Parola di Dio e alla speranza nella risurrezione che con la sua vita sacerdotale ha sempre proclamato. Fino al suo ultimo respiro ci ha testimoniato che Dio è amore e che dobbiamo servirlo nei fratelli, tutti, nessuno escluso, mai! Che meraviglia. Non finirò mai di ringraziare Dio per avermi fatto incontrare don Italo.

Dalla terza classe del tecnico Panella nel 1970 mi ha preso per mano accompagnando la mia vita cristiana e insegnandomi con il suo esempio a credere e avere fiducia sempre nella grazia di Dio che tutto comprende e sopporta. Grazie don Italo, continua a Intercedere per noi, a camminare accanto a  noi, e fa che la nostra vita, animata dai doni dello Spirito Santo, sia sempre più vissuta nella gioia del servizio e nella fiduciosa certezza che Dio è bontà e misericordia. Grazie don Italo». Così lo ricorda, Mimmo Nasone, un altro dei suoi “ragazzi”, oggi un uomo impegnato nell’associazione di don Ciotti Libera e che non ha mancato l’appuntamento al cimitero di Sambatello per la preghiera collettiva.

Il testamento spirituale di don Italo Calabrò

Con Mario Nasone, oggi presidente del centro comunitario Agape, Mimmo Nasone ha pubblicato nel 2007 “Don Italo Calabrò. Un prete di fronte alla ‘Ndrangheta” (Rubbettino), ripercorrendo l’impegno fermo, determinato e coraggioso del prete dei poveri e fervente testimone di carità contro la violenza e le angherie mafiose. Una raccolta di scritti di don Italo tra i quali spicca anche il suo testamento spirituale.

«Ai fratelli dell’Agape domando di continuare a impegnarsi sempre, nel nome di Cristo, per i fratelli più emarginati, in piena comunione ecclesiale con il Vescovo, accogliendo anche le sollecitazioni che verranno anche da coloro che, pur con diverse motivazioni culturali e ideologiche, possono con noi ritrovarsi nel sostenere e promuovere i valori della libertà, della giustizia, della pace. Amatevi tra voi, di un amore forte, di autentica condivisione di vita; amate tutti coloro che incontrate sulla vostra strada, nessuno escluso, mai! E questo il comandamento del Signore. Offro a Dio la mia vita perché viviate uniti nell’amore!»

Don Italo, antesignano dell’antimafia sociale

La prefazione del volume “Don Italo Calabrò. Un prete di fronte alla ‘Ndrangheta” fu firmata da don Luigi Ciotti che ne sottolineò lo spessore di uomo di chiesa e uomo del suo come di ogni tempo, perchè occorre sempre assumere una posizione con coraggio e verità.

«La resistenza nonviolenta alla mafia di cui parlavano decenni fa don Italo Calabrò e i suoi collaboratori del Centro Comunitario Agape – fondato significativamente nel 1968 – che poteva apparire come utopia o astrazione, si è fatta strategia capace di vincere, anzi di con-vincere: perché appunto si vince veramente solo quando si vince assieme, quando si lavora “per” e non “contro”, quando si costruisce scommettendo sulla responsabilità piuttosto che sulla forza.
(…) Non servono eroi: don Calabrò non lo era, come non lo erano don Peppino Puglisi e don Giuseppe Diana, uccisi dalle mafie. Servono cittadini e sacerdoti capaci di essere veri, di riconoscere e di testimoniare la verità, di fare semplicemente il proprio dovere, di scegliere da che parte stare».

Don Italo Calabrò fu un prete impegnato nella promozione della pace e della resistenza non violenta alla ‘ndrangheta che condannò fermamente e pubblicamente. Memorabile l’omelia nella piazza di Lazzaro nell’agosto 1994 dinnanzi alla comunità scossa dal rapimento del piccolo Vincenzo Diano, poi liberato il 7 ottobre successivo. Don Italo Calabrò fu tra i primi in Italia a sostenere e a diffondere l’obiezione di coscienza al servizio militare.

Il dolore delle madri di ‘Ndrangheta

Il presidente di Libera, don Ciotti, non perde mai occasione di ricordare la sua figura luminosa nella storia della chiesa in trincea contro la ‘ndrangheta con l’ascolto e la carità. Lo ha fatto anche ad aprile scorso a Reggio in occasione di un incontro sul protocollo Liberi di Scegliere che consente a bambini e adolescenti di vivere esperienze alternative a un destino segnato dall’appartenenza a una famiglia mafiosa. Ha ricordato «don Italo Calabrò e il dolore di madre raccolto nel suo confessionale negli anni Ottanta. Madri che volevamo per i loro figli un futuro diverso e libero dall’oppressione mafiosa».

La fase diocesana dalla causa di beatificazione

«Proprio sugli scritti di Don Italo Calabrò è incentrato il lavoro in fase di ultimazione della commissione storica e teologica incaricata di questa fase di raccolta. Adesso è arrivato anche il momento dello studio degli scritti su don Italo Calabrò. In corso pure in capo al tribunale ecclesiastico di Reggio la raccolta delle testimonianze, avviata ascoltando le persone più anziane. Auspichiamo che entro fine anno queste attività possano concludersi per inviare gli esiti al Vaticano che poi farà le sue valutazioni». È quanto spiega Piero Siclari, presidente della Piccola Opera Papa Giovanni di Reggio Calabria. 

Una vita al servizio degli altri

Nato a Reggio Calabria il 26 settembre 1925, don Italo Calabro, fu educatore e insegnante nel Seminario Diocesano, assistente dei giovani in Azione Cattolica e poi degli uomini cattolici (Fuic), cofondatore della Caritas Italiana e per diversi anni ricoprì la carica di vicepresidente nazionale.  

Ricoprì cariche e incarichi di spessore, ma è ricordato come il prete dei poveri, come insegnante ed educatore che fece appassionare alla carità intere generazioni.

La vocazione arrivò presto. Ancora frequentava il liceo classico Tommaso Campanella di Reggio Calabria. Fu subito sostenuto dalla mamma Teresa Cilione. Il 25 aprile 1948 fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo Antonio Lanza del quale diventò subito segretario. Nel settembre del 1950 fu nominato arcivescovo di Reggio monsignor Giovanni Ferro che guidò la diocesi per 27 anni. Don Italo ne diventò suo stretto collaboratore. La sua vocazione lo portava, comunque, sempre in strada, nei i luoghi di sofferenza e solitudine.

Il visionario della Carità

«Nel 1968 – si legge sul sito della Piccola Opera Papa Giovanni di Reggio – coinvolgendo un gruppo di suoi studenti dell‘istituto tecnico industriale Antonio Panella ed altri giovani, don Calabrò avviò la Piccola Opera Papa Giovanni. Lo fece nella canonica della sua parrocchia di San Giovanni di Sambatello per accogliere sei giovani con disabilità. Gli anni seguenti furono un progressivo fiorire di comunità d’accoglienza, centri di riabilitazione, gruppi di volontariato da lui voluti e animati.

Nacquero così case famiglia per minori in difficoltà e ragazze madri, comunità per persone con disabilità, servizi per adolescenti con problemi con la giustizia. E ancora cooperative di solidarietà sociale per l’inserimento lavorativo di ragazzi emarginati, famiglie aperte all’affidamento e all’adozione. Un’attenzione particolare don Calabrò dedicò, sin dai primi anni ’70, alla piaga della disoccupazione, al problema dell’ospedale psichiatrico reggino. Immenso fu il dramma dei dimessi, scoppiato paradossalmente con l’emanazione della legge 180 del 1978. Alle attività di volontariato interno allo Psichiatrico si affiancarono, così, nel corso degli anni, varie comunità d’accoglienza per malati mentali.

L’ultimo progetto da lui voluto fu un Centro diurno polivalente per disabili, il centro Tripepi Mariotti, che non ha fatto in tempo ad inaugurare».

L’amore che si moltiplica

«Attento ai giovani, con i quali aveva un dialogo aperto e sincero si legge ancora sul sito della Piccola Opera Papa Giovanni di Reggio – avviò con alcuni di essi, sempre agli inizi degli anni settanta, il Centro Comunitario Agape. La comunità da lui realizzata per la comunione di vita con i più poveri divenne Ente Morale nel 1983.  Convinto che tutto andasse messo a servizio dei fratelli, l’11 marzo 1981 donò la sua casa. Continuò a vivere pagando un affitto mensile al Centro Comunitario Agape “per garantire maggiore stabilità” – scrisse ai suoi vicini condomini – “anche patrimoniale alla comunità Agape”. Nella Piccola Opera Papa Giovanni don Italo buttò un seme di amore. In questi anni esso è cresciuto e si è moltiplicato grazie all’impegno generoso e sapiente di tanti amici che sono rimasti fedeli alle motivazioni originarie».

La lungimiranza e il richiamo allo Stato

«Nel 1973 fu chiamato dall’allora Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Bartoletti, a collaborare ad un documento episcopale sul Meridione. Più tardi accolse con favore il testo redatto dai vescovi italiani nel 1989 sul Sud, di cui si fece propagatore in moltissime diocesi. Disoccupazione giovanile e mafia furono i due punti su cui concentrò il suo impegno per il Sud.

Non cessò mai di invocare un deciso intervento dello Stato per una reale crescita occupazionale, come argine al degrado della convivenza civile, allo strapotere mafioso e al dilagare di metodi clientelari e corrotti nella gestione della cosa pubblica e nella classe politica». Se già allora fosse stato ascoltato, i principali mali che lui aveva già individuato nella nostra società, oggi avrebbero potuto essere debellati o almeno contrastati in modo più efficace.

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