Dal primato negativo del Mezzogiorno al ruolo crescente della ’ndrangheta, emerge un sistema diffuso che investe politica, imprese e pubblica amministrazione
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Libera ha censito le inchieste su corruzione dal 1° gennaio al 1° dicembre 2025: 96 inchieste, alla media di otto al mese, con il coinvolgimento di 49 procure in 15 regioni e 1028 persone indagate.
Le regioni meridionali comprese le isole “primeggiano” con 48 indagini in totale, seguite dal Centro (25) e dal Nord (23). La Campania è “maglia nera” con 219 persone indagate, segue la Calabria con 141 e la Puglia con 110. La Liguria, con 82 indagati, è la prima regione del Nord, seguita dal Piemonte con 80.
Ci sono “mazzette” in cambio di attestazioni false di residenza per ottenere la cittadinanza italiana iure sanguinis o falsi certificati di morte. In altri casi le mazzette hanno facilitato appalti nella sanità, la gestione dei rifiuti, la realizzazione di opere pubbliche, il rilascio di licenze edilizie e l’affidamento dei servizi di refezione scolastica. Emergono scambi di favori per concorsi universitari truccati, inchieste per scambio politico elettorale e indagini sulle grandi opere con la presenza di clan mafiosi.
In vista della Giornata Internazionale contro la Corruzione, Libera ha scattato una fotografia delle principali inchieste dell’anno. L’istantanea mostra un quadro allarmante: l’avanzata sotterranea e senza freni della corruzione in Italia. Da Torino a Milano, da Bari a Palermo, da Genova a Roma, passando per Latina, Prato, Avellino e il salernitano, nel 2025 risuona un allarme incessante sulle mazzette, con il coinvolgimento di un migliaio di amministratori, politici, funzionari, manager, imprenditori, professionisti e mafiosi.
Dal 1° gennaio al 1° dicembre 2025 Libera ha censito 96 inchieste su corruzione e concussione, circa otto al mese (erano 48 nel 2024). Si sono attivate 49 procure in 16 regioni. Complessivamente 1028 persone risultano indagate per reati che spaziano dalla corruzione al voto di scambio politico-mafioso, dalla turbativa d’asta all’estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Dall’analisi emerge una corruzione “solidamente regolata”, spesso sistemica e organizzata, dove a garantire le “regole del gioco” sono figure diverse: l’alto dirigente, il faccendiere, il boss dell’ente pubblico, l’imprenditore, il mafioso, il politico d’affari.
Sono 53 i politici indagati (sindaci, consiglieri regionali e comunali, assessori), pari al 5,5% del totale. Di questi, 24 sono sindaci. Il numero maggiore riguarda Campania e Puglia (13), seguite da Sicilia (8) e Lombardia (6).
«Si tratta di un quadro sicuramente parziale, per quanto significativo, di una realtà più ampia e sfuggente. Oggi il ricorso alla corruzione sembra diventare sempre più una componente normale e accettabile della carriera politica e imprenditoriale. Una strategia spesso vincente, che avvantaggiando i disonesti induce una selezione dei peggiori e degrada in modo invisibile la qualità della vita quotidiana, dei servizi pubblici, della pratica democratica. La normalizzazione fornisce a molti una rappresentazione della corruzione come elemento ordinario e giustificabile. Ne scaturisce una rassegnazione che porta troppi cittadini a considerare corruzione e mafie come fenomeni invincibili, quando non è affatto così».
La ricerca conferma che le regioni meridionali, comprese le isole, guidano con 48 indagini, seguite dal Centro (25) e dal Nord (23). Prima la Campania con 18 inchieste, poi Lazio (12) e Sicilia (11). La Lombardia con 10 è la prima regione del Nord. Sul fronte degli indagati resta prima la Campania (219), seguita da Calabria (141), Puglia (110) e Sicilia (98). Liguria (82) e Piemonte (80) guidano il Nord.
La mappa è frutto di una ricerca basata su lanci di agenzia, quotidiani nazionali e locali, rassegne stampa istituzionali, comunicati delle Procure e delle forze dell’ordine.
«I dati ci parlano con chiarezza: la corruzione non è un’anomalia, ma un sistema che si manifesta in mille forme diverse. Dalle mazzette agli appalti truccati, dai concorsi pilotati alle forme ormai legalizzate di cattura dello Stato. Non basta invocare pene più severe: occorre un patto forte tra istituzioni responsabili e cittadinanza attiva. Le istituzioni devono rafforzare i presidi di prevenzione, la cittadinanza deve far crescere la cultura della segnalazione, del monitoraggio civico, della difesa dei beni comuni».
I dati calabresi – conclude Giuseppe Borrello – devono rappresentare un forte campanello d’allarme perché la corruzione è uno strumento privilegiato della ’ndrangheta, capace di infiltrarsi ovunque grazie a enormi capitali. I costi indiretti della corruzione pesano sulla vita dei cittadini, aggravando inefficienze in un sistema economico, sociale, sanitario e infrastrutturale già fragile.
Di fronte all’avanzata silenziosa dei fenomeni corruttivi e al depotenziamento dei presidi anticorruzione, la piattaforma nazionale “Fame di verità e giustizia” attraversa il Paese per riscrivere l’agenda contro mafie e corruzione. Nel documento vengono proposte, tra l’altro:
• approvare una regolazione stringente delle situazioni di conflitto di interesse;
• introdurre una normativa rigorosa sull’attività di lobbying;
• rafforzare i controlli sui finanziamenti privati alla politica;
• istituire corsi universitari di etica pubblica e anticorruzione;
• promuovere una trasparenza amministrativa pienamente accessibile;
• favorire la pratica del whistleblowing nel settore pubblico e privato.

